…oggi 26 dicembre alle cinque o alle sei del pomeriggio mio fratello ha accesa la televisione, io stavo in salotto a chiacchierare con mia sorella e mia zia e con Letizia e non ho potuto non sentire la televisione, c’era Fabrizio Frizzi che parlava e straparlava, stava facendo un gioco con i proverbi, annunciava per la sera un gioco che chiamava il gioco della zingara, e io senza guardarla ma soltanto ascoltandola ho pensato, ecco, la televisione è nichilista, Fabrizio Frizzi è nichilista, quello che fanno è trascinarci verso il nihil, verso il niente, tutti allegri ci faranno diventare niente, ci annichiliranno; a cosa serve questo orrore, mi sono domandato, a che cosa serve negli scopi di chi lo produce, di chi investe soldi per produrlo, questo orrore che ci viene fornito con l’allegra faccia dell’intrattenimento e il compìto volto dell’informazione; a che cosa serve questo orrore quotidiano, meticoloso, porta a porta, che si concretizza, che si incarna, quasi, ormai in questo oggetto-feticcio del quale tutti siamo preda, nella televisione? Allora all’improvviso ho pensato, mentre Fabrizio Frizzi continuava a dire scemenze: la televisione serve a far dimenticare Auschwitz. A cos’altro può servire, ho pensato, questa miscela di divertimento osceno e sguaiato e di informazione orroristica, se non serve a far dimenticare Auschwitz.
Ogni giornata televisiva con la massima precisione è costruita per questo: ci fanno vedere orrori insopportabili, così tanti e così insopportabili da mettere i nostri cervelli in stato di prostrazione e da costringerci, per sopravvivere, a ottundere la sensibilità; e poi ci fanno sperimentare come il divertimento osceno e sguaiato possa, almeno per un certo tempo, far dimenticare il più orribile degli orrori: perché questo è vero, che il divertimento più osceno e sguaiato è sufficiente a cancellare dalla nostra mente gli orrori, perché la nostra forza volontaria è quasi niente in confronto alla forza automatica che ha la nostra mente quando cerca di liberarsi dagli orrori, di conservare la forza di continuare a esistere, di abolire il mondo per continuare a esistere. Il ritmo della televisione è sempre più veloce, ormai, basta guardarla un minuto e si vede subito l’alternanza del divertimento e dell’orrore; il cantante di grido promoziona il suo cd raccontando di essere andato in quella che era la Iugoslavia a vedere gli orrori che ci sono lì, la storia tremenda e compassionevole ci viene raccontata in primo piano mentre, sullo sfondo, le ballerine fanno vedere il culo; non sono più i tempi del varietà, era una cosa così innocente il varietà, lo stesso divertimento che la tv propone è ormai diventato, a sua volta, orrore puro. Come si può ancora parlare di dio, mi sono chiesto, come si può parlare di dio nell’epoca del divertimento? Ci occorre, forse, questo lo dico a me che scrivo libri, una letteratura che abbia il coraggio di essere storia sacra, il coraggio di guardare le persone e le cose nella loro perennità e nella loro caducità, ma amandole. Mi fanno orrore questi personaggi allegramente trashisti, che s’immergono nel male puro con allegra faccia, si propongono quali arbitri di pensiero e d’eleganza, fanno cash e odiens. Finti stomachi pelosi, reagiscono come signorinelle dei romanzi dell’ottocento a qualunque caduta di stile: ma la caduta di stile, a guardare appena un pochino bene, è esattamente ciò che ci vuole: lasciamo cadere lo stile, freghiamocene dello stile.
Giulio Mozzi, “Coro”, Il male naturale