Ieri ho avuto un breve scambio via email con Roberta De Monticelli, dopo aver letto, su Facebook, la sua lettera aperta a Concita De Gregorio, scambio che abbiamo deciso di rendere pubblico: trovate tutto qui sotto.
Un grazie alla professoressa per la disponibilità e la gentilezza, e a Matteo Pascoletti per la segnalazione della nota su Facebook.
Di seguito in questo post:
• la lettera di Roberta De Monticelli a Concita De Gregorio
• la mia lettera a Roberta De Monticelli
• la risposta di Roberta De Monticelli
La lettera di Roberta De Monticelli a Concita De Gregorio
Cara Concita De Gregorio,
non sarò probabilmente la prima persona cui è venuta questa idea: che alle primarie del centro-sinistra, il candidato capace di essere per l’Italia quello che Pisapia è stato per Milano sia lei.
Ho sostenuto dovunque ho potuto (ultimo luogo “Repubblica” del 21 giugno e “Micromega” numero corrente) che il patrimonio di speranza ed energia che abbiamo ultimamente espresso va quanto prima canalizzato in voci capaci di dare espressione a una vera buona politica. Lì troverà anche, espresso nei termini ingenui di una persona qualunque che non ha altri strumenti che l’esercizio della ragione pratica, l’idea non personalistica di una leadership, ovvero di una capacità di guida che si esplica in quella di ascoltare bisogni e trovare persone esperte e competenti a mettere in atto soluzioni. Il modello Pisapia.
Sono convinta che lei, non solo per la popolarità e visibilità che si è guadagnata, ma anche per le indubbie doti di compostezza, sangue freddo e lucidità d’eloquio che ha mostrato in numerose occasioni televisive, potrebbe farcela a strappare più consensi di ogni altro candidato dell’attuale sinistra, portando al contempo un’istanza d’Unità. Nomen omen.
E poi anche dal punto di vista simbolico e d’età: chi se non lei potrebbe ben rappresentare la Primavera della ragione pratica?
Io ci spero. Ma soprattutto vedo che le peggiori previsioni, se lasciamo fare ai politici che ci sono, potrebbero avverarsi. E spero che, se questa lettera sarà pubblicata, molti lettori sottoscriveranno questa preghiera. Lei sarebbe la candidata fortissima di una società civile che si è risvegliata anche a partire da tutte noi. Se non ora, quando?
Grazie dell’attenzione,
Roberta De Monticelli
La mia lettera a Roberta De Monticelli
Buongiorno Professoressa,
non so se si ricorda di me: pubblicai sul mio blog una specie di recensione della Questione morale, e siamo in contatto su Facebook.
E’ proprio da estimatore del suo lavoro, senza il quale non esisterebbero la metà delle analisi che faccio (per esempio la rubrica che sto tenendo su Scrittori Precari), che le scrivo, perché, glielo devo dire, nutro qualche seria perplessità su quella che mi sembra una sorta di svolta – come dire? – mediatica nel suo pensiero, e vorrei capirla meglio, vedi mai che mi sto sbagliando io.
Sono abituato a pormi, nei confronti del suo lavoro, in una posizione di subordinato silenzio, anche quando, in passato, ho avuto qualche riserva su una certa interpretazione della filosofia di Socrate e su una certa lettura dello gnosticismo, perché immagino lei abbia molto da fare, e io ho abbastanza tempo, data la precarietà dei tempi, per spaccarmi la testa o anche, infine, pensarla in modo diverso senza che questo abbia delle conseguenze davvero dirette sulla mia vita.
Però in campo politico – e, anche qui, dati i tempi – le cose stanno diversamente. Da mesi intrattengo con i miei più o meno coetanei, più o meno del mio campo, un dialogo che è l’elaborazione collettiva di un’analisi della nostra società, del nostro tempo, della nostra situazione (a proposito, ho usato La questione morale anche nel mio ultimo intervento su Scrittori Precari, nella rubrica La società dello spettacaaargh!).
Se c’è qualche conclusione a cui siamo giunti è che il berlusconismo non coincide con Berlusconi, il quale del berlusconismo sembra essere solo un epifenomeno. E, per come la vedo, il berlusconismo è una forma avanzata di fascismo che con lo stato etico del fascismo storico condivide non tanto la coercizione quanto l’arbitrio, una relazione falsata con la verità e con la realtà (e qui il suo lavoro è stato fondamentale per la mia analisi), un allontanamento della realtà mediante la sovversione della logica e della dialettica, o l’uso di sostantivi magici che significano solo se stessi (e questo riguarda anche e soprattutto il berlusconismo del PD).
Ora, nelle sue ultime uscite pubbliche, ci sono davvero delle cose che mi lasciano perplesso, ma è una buona cosa: potrei sbagliare, voglio capire.
Vedo che su Facebook lei pubblica spesso appelli, raccolte di firme, adesioni a iniziative, che mi rimandano in modo inquietante alla democrazia del clic. Sia chiaro che non ho nulla contro la democrazia diretta, ma lei stessa sostiene che una democrazia, se abbandonata a se stessa, senza riflessione, senza formazione, non può che cadere nell’abisso del populismo e della demagogia, senza contare che quegli stessi clic mi sembrano un modo per allontanare la realtà.
Oggi ho letto la sua lettera rivolta a Concita De Gregorio, nella quale la invita a candidarsi alle primarie del centrosinistra. Io temo che a inseguire la popolarità e la visibilità, la compostezza e l’eloquio in televisione (uso parole sue), ci si ritrovi sempre dalle stesse parti, le parti della pancia e della mediatizzazione. Non ho nulla contro Concita De Gregorio – il mio non è, appunto, un argumentum ad hominem, ho invece il sospetto che tutte queste manifestazioni siano ad hominem – mi spaventano piuttosto i criteri che usiamo nel decidere chi debba rappresentarci.
Per farle qualche esempio, io sono convinto che i Saviano e i Travaglio, pur se in buona fede, possano diventare armi a doppio taglio, e credo che Benigni stia facendo un lavoro pessimo. Per farle un altro esempio: sarebbe stato meglio che a Vieni via con me fossero invitate persone come lei, come Claudio Giunta, come Mario Perniola, piuttosto che comici e cantanti, i quali non fanno che confermare che l’autorevolezza viene dalla fama televisiva, dall’essere bandiere di schieramento, piuttosto che dalla reale competenza; e mi sarebbe piaciuto che fossero smascherati i metodi subdoli della comunicazione, piuttosto che usarli per veicolare contenuti apparentemente diversi (da quanto tempo ormai sappiamo che il medium è il messaggio e continuiamo a credere che basti cambiare i contenuti?).
Io – ma credo anche i miei compagni di esplorazione (penso a Matteo Pascoletti, a Federica Sgaggio) – da tempo sto cercando di capire come entrare in relazione con Gli Altri, come porre questioni sul medium, sulla comunicazione, sull’autorevolezza dei testimonial senza distruggere il tessuto connettivo, senza porsi al di fuori del movimento, ma continuando a mettere in guardia dal Nostro berlusconismo, dal Berlusconi in me, come avrebbe detto qualcuno, che continuo a vedere – forse anche più pericoloso perché apparentemente emendato ma in realtà sublimato in un piano meta – nel movimento di opposizione che attraversa l’Italia e che condivide spessissimo, in un modo che mi allarma, le stesse dinamiche di tifoseria, di pancia, di televisibilità, di adesione acritica, di argomenti a uomo.
Nei suoi ultimi interventi vedo una tendenza a sorvolare su tutto ciò, anche – ma forse sbaglio – con qualche leggera contraddizione rispetto a quanto lei sostiene nei suoi libri.
Mi piacerebbe, se avesse tempo e voglia, capire come vede la situazione, come vede il movimento, e dove pensa si debba mettere un limite oltre il quale non spingersi per non far rientrare il berlusconismo dalla finestra, senza poi nemmeno accorgersi di averlo di nuovo in casa. Non avrei mandato una lettera del genere a nessun altro, ma senza i suoi libri oggi probabilmente non capirei niente dell’Italia e della mia vita.
La ringrazio in ogni caso dell’attenzione.
Con stima,
Jacopo Nacci
La risposta di Roberta De Monticelli
Caro Jacopo,
vorrei trovare un momento per vederci e discutere distesamente, ma non è facile adesso che ci sono esami e tesi e partenze e scadenze (del resto: dove abita? Forse l’ho saputo, ma non ricordo più). Vorrei intanto ringraziarla di questo messaggio che considero prezioso. Sono anche andata a vedermi il suo ultimo intervento sul sito che mi ha segnalato e naturalmente concordo in tutto – purtroppo non sono riuscita a ritrovare il testo cui il suo risponde. Cercherò di spiegarle perché, da un lato, quello che mi scrive è comunque prezioso, e dall’altro perché credo, anche esercitando il massimo sforzo possibile di sincerità, di poterle rispondere riguardo alle sue perplessità.
Prezioso è il suo intervento perché i rischi del bla bla mediatico mi sono presenti ogni giorno. Di poterle rispondere credo, perché non mi sembra di essermi scostata per nulla, nei miei interventi scritti sulla stampa (ultimamente soprattutto il Fatto, ma una cosa più sostanziale è nell’ultimo numero di Micromega, riportato in parte da Repubblica del 21 giugno, e un’altra un pezzetto che è di prossima pubblicazione) dal modo di argomentare e dai pensieri che aveva condiviso ne La questione morale.
Ma anche a me fa piacere dilungarmi un istante – me ne scusi, non vuol essere un’excusatio, solo una riflessione – su come la mia presenza nel dibattito pubblico si sia fatta ultimamente più fitta. Vede, per quasi tutta la mia vita, pur occupandomi, da fenomenologa, di aspetti della vita quotidiana – e dell’esistenza umana – che sono sotto gli occhi di tutti – non avevo mai provato un interesse specifico per l’attualità politica – ed ero anzi piuttosto infastidita da quelli che sono sempre “connessi” ai giornali, ai media eccetera. L’interesse per la cosa pubblica è veramente emerso in me a partire da una vera sofferenza morale, cioè dall’indignazione che mi esplose dentro – poi fuori – ai tempi del caso Welby (scrissi allora Sullo spirito e l’ideologia, Lettera ai cristiani) e poi del caso Englaro. Ma intanto, e per anni, la sofferenza di essere complice, col silenzio e l’inerzia, della devastazione morale e civile cui abbiamo assistito in tutti questi anni, cresceva dentro. Quante serate, caro Jacopo, a sentire amici, impotenti come me, eppure come noi tutti della mia generazione colpevolmente inerti – lamentarsi ormai ritualmente: “ma con questa sinistra, che cosa vuoi fare? non c’è alternativa…” E io esplodevo ogni volta: ma perché dare sempre la colpa agli altri? la sinistra, se questo vuol dire qualcosa, o piuttosto i progressisti, insomma quelli che credono nella possibilità di una società civile non marcia e di una polis funzionante, O SIAMO NOI O NON E’ NESSUNO: e chi se no? Questi miei coetanei non si accorgevano affatto che stavano facendo esattamente come tutti, tutti gli italiani, inclusa forse io stessa: scaricare la colpa sulle spalle altrui. Come i miei colleghi universitari che dicevano “il sistema funziona così, che ci vuoi fare?” – contribuendo ogni giorno a farlo funzionare così.
E’ in questo stato d’animo che ho scritto La questione morale. Il suo successo effettivamente inaspettato (a un certo punto l’editore ha detto “60.000 copie” – non so se è vero e non so controllare, benché credo sia esagerato) mi ha stupita, ma soprattutto mi è sembrato significare che quello che avevo scritto in quel libretto molte, molte persone avrebbero voluto dirlo o forse lo dicevano a se stessi e agli amici, e vederselo confermare infondeva coraggio e speranza e voglia di fare qualcosa – perché la ragione pratica come può essere pratica se non ci induce ad agire. Io non avevo praticamente, in questo senso, mai agito in vita mia: eppure ho trovato un tale consenso e una tale continua richiesta di ulteriori interventi quest’anno, da sentire come dovere quasi assoluto quello di sfruttare questo poco di visibilità per cambiare completamente rotta rispetto alla comoda e sarcastica contemplazione del peggio che in troppi avevamo esercitato per troppi anni, invece di muoverci e dire basta.
Forse lei non vive a Milano? Lo chiedo perché, con la sua sensibilità, se avesse sentito lo spirito di quella piazza, quella della vittoria di Pisapia, che ho “cantato” con voluto lirismo (ma francamente, anche, con tenerezza – come si scrive un biglietto di gratitudine – e certo non con “prosa di regime”, come ha scritto un livido Pigi Battista) – avrebbe forse sentito diminuire il suo giusto timore delle derive populistiche, conformistiche, eccetera eccetera. Li avevo accanto a me quei ragazzi, dell’età di mio figlio – perché con sprezzo del ridicolo mi ero arrampicata anch’io sul monumento a Vittorio Emanuele, per vedere e udire tutto – e sentivo sulle loro labbra, nella loro mente quella limpida concisione, quel riso e quella perplessa speranza che sono proprie del pensiero, della ragione, del giusto sentire quando si risvegliano. Sentivo accanto a me quella meravigliosa alba di una giovinezza che si risveglia all’esistenza – anche a quella di una Città – e per un momento sente il valore che la Città quando è degna del nome ha per la vita degli individui. La sente, per un momento, in tutta la profondità richiesta da una autentica percezione di valore – e io sono convinta che ogni valore colto in profondità, anche il meno elevato, è sfiorato da un riflesso di assoluto (un filosofo che io ammiro scrive: “ogni amore è un amore di dio incompiuto – e perduto”). Quei ragazzi si svegliavano così all’esistenza della polis – per una volta, forse, nel modo migliore e non in quello peggiore – allegria e autoironia facevano tutt’uno, di pericoli da gros animal (il popolo secondo Platone e Simone Weil) proprio non se ne vedevano. Un pericolo invece oggi io sento e grandissimo: ed è quello che questo fiore delicato della speranza di chi si affaccia alla vita comune e potrebbe portarvi un rinnovamento generazionale ma soprattutto di coscienza, di idee, di costume – sia subito calpestato sotto i piedi di politicanti ottusi oltre che probabilmente soltanto auto-interessati, come quelli che ieri e oggi (a partire da D’Alema) offrono sponda al verminaio del governo e del sottogoverno per coprirlo agli occhi del pubblico. Chi non si disgusterebbe di questo? Chi, appena risvegliato dal narcisismo dell’adolescenza alla consapevolezza che il fondamento di ogni potere e di ogni norma è ciascuno di noi, appena risvegliato all’impegno civile e alle sue umili, necessarie fatiche, non si sentirebbe ricacciato indietro, e non volterebbe con decisione le spalle all’illusione appena nata e subito uccisa che la “buona politica” è possibile, e sostenerla un dovere? A questo rischio terribile e che io sento concretissimo, con l’approssimarsi del sonno estivo e il compattarsi del verminaio di governo aiutato dalla cosiddetta opposizione, io credo SI DEVA opporsi come si può, con tutti i mezzi che si hanno. Come mi piacerebbe tornare subito a studiare. E lo farò, lo faccio, ma di notte: finché di giorno c’è da dire una parola che aiuti anche soltanto alcuni a non scoraggiarsi.
Quanto poi alle opinioni che mi faccio, certo sono fallibilissima, e anche passabilmente inesperta. Il sostegno a una “candidatura” di Concita De Gregorio, ad esempio, che mi sono accorta solo ieri (per via di un’intervista che mi hanno fatto) girare già sul web, può essere discusso: a me convinceva molto la sua figura simbolica, l’indubbia libertà che ha mostrato nel fare il giornale affidatole, l’efficacia e la chiarezza, oltre all’apparente giustezza, di molti suoi editoriali, la grazia e il sangue freddo, oltre al garbo e alla lucidità, esibiti in genere nei dibattiti televisivi anche quando fatta oggetto degli attacchi più violenti. Ma soprattutto ritenevo e ritengo urgente avviare un dibattito il più possibile diffuso da cui emerga una candidatura della società civile per le primarie del centro-sinistra, una candidatura che stia al Paese come quella di Pisapia è stata a Milano. Impossibile vivere qui e non percepire il miracolo di questa svolta inaspettata, che – basta questo a far sospirare di sollievo – porta Milano fuori dalla Padania. Vede Jacopo, questo le sembrerà uno slogan solo se non ha sofferto nelle sue orecchie e nell’anima il ringhio, il rutto e la bestiale protervia tribale che qui hanno chiamato “politica”. O la prepotenza delle falangi cielline che hanno occupato con metodi mafiosi l’intero sistema della sanità pubblica. O la vergogna della sindachessa che fa la casa al figlio “Batman” nel più sovrano disprezzo delle regole che vigono per gli altri (pochi altri, in verità).
Ultimo piccolissimo punto: forse più che su FB, dove mi aggiro da inesperta cercando di mettere in vista le cose che io stessa trovo utili, gli appelli le informazioni eccetera, dovrebbe visitare ogni tanto il nostro Phenomenology Lab, dove l’attività della piccola comunità filosofica che lo segue, e cui spero appartenga anche lei, è un pochino più rappresentata. Anche se mi dicono che il risveglio che ho chiamato “della ragione pratica” deve moltissimo al web, ai social networks eccetera. E anche se il rischio di perderci molto, molto tempo forse invano c’è, indubbiamente.
Ma spero non sia del tutto vana alle sue orecchie questa risposta, che è in sintesi: il vento che ci fa tornare a respirare smetterà di soffiare se non continuiamo a soffiare noi, ciascuno di noi, ciascuno con le sue forze. Ecco: se vuole rendere pubblico – intendo nella cerchia dei suoi amici e “scrittori precari”, o comunque crede – questo nostro scambio, se pensa che possa essere utile a qualcuno, io non ho niente in contrario! E magari la riflessione può continuare, così, e io capire meglio il fondo della sua perplessità…
Per ora dunque un caro saluto,
RDM