Il discorso dell’altro

Io il “delizioso contrappasso” di cui parla Federica Sgaggio un po’ lo vedo. Ma non da qui, sia chiaro: lo vedo, per così dire, dal futuro. Immaginando il futuro, e immaginando che Berlusconi sia stato condannato, e che il fato abbia voluto che a giudicarlo fossero tre donne, riconosco alla storia un certo sapore mitologico. Ma chiaramente il piano simbolico e il piano delle ragioni rimangono e devono rimanere separati, quindi sono d’accordo con Federica quando scrive:

Possibile che tre donne non possano essere in disaccordo fra loro? Poiché son donne son tutte fieramente compatte?

Credo che ciò sia un sintomo di quanto scrivevo tempo fa in merito all’assunzione indebita che si fa, da una parte e spesso anche dall’altra, in relazione ai motivi per l’azione:

Continua a leggere questo post

È infelice chi è solo

Nel 2010, in ottobre, il presidente della Provincia di Pesaro e Urbino Matteo Ricci ha annunciato, per il giugno del 2011, il Festival Nazionale della Felicità: «Non possono toglierci la voglia di progettare il futuro», ha dichiarato.

A novembre del 2010, il molo del porto si è spezzato. Sul serio: il molo del porto di Pesaro si è spezzato e si è inclinato verso il mare durante l’interruzione dei lavori per trasformare il porto in porto turistico.

A Natale, Matteo Ricci auspicava la trasformazione del centro storico in un «centro commerciale naturale». In quegli stessi giorni veniva eretta in Piazza del Popolo la tensostruttura per il cenone di capodanno. Tutt’attorno, nella piazza, una dozzina di casette di montagna prodotte in serie vendeva oggetti artigianali prodotti in serie e/o oggetti artigianali che tentavano disperatamente di sembrare oggetti prodotti in serie. Insomma, «un Natale sobrio», come ha riassunto soddisfatta la copertina di Con, il notiziario del Comune.

La notte di Natale, sotto l’albero della Piazza, sono state contate solo quattro risse.

Continua a leggere questo post

Facciamo che ci siamo svegliati

Non è un film su Berlusconi, ma è arrivato il momento di seppellirli con una risata.
Giulio Manfredonia parlando di “Qualunquemente” (leggi l’articolo)

È arrivato il momento di, davvero, ridere di questo.
Antonio Albanese riferendosi a non tutti i politici italiani (guarda il video)

Il giorno dopo Berlusconi, non ci sarà un post–berlusconismo. Ci sarà solo un paese, ci si sveglierà e inizierà una nuova giornata raccontandosi un sogno che non è diventato realtà. E forse avremo anche la forza, ripensandoci, di riderci un po’ su…

Così scrive Filippo Rossi in un articolo che non trovo più in rete (discutendo, tra le altre cose, del mimetico film di Albanese e Manfredonia, sul quale forse c’è da riflettere più di quanto mi pare si stia riflettendo).
Ma ci sto: immaginiamo di svegliarci, come dice Filippo Rossi, facciamo che un giorno ci siamo svegliati. Facciamo che tutto questo è finito, che siamo nell’Italia delle lenzuola fresche di bucato appese ai fili dei terrazzi, l’Italia del vociare innocente, dei gerani sui balconi, degli spaghetti gettati nell’acqua limpida, dei tetti rossi di tegole, delle rondini, una seconda repubblica nata dal sacrificio di Falcone e Borsellino, dall’ottimismo progressista post-mani pulite, da “Avanzi”, dalle posse, dai film di Salvatores, dalla rai de “I ragazzi del muretto”; insomma: facciamo che improvvisamente ci siamo risvegliati in un universo parallelo, l’altro ramo della biforcazione, l’altra storia che poteva svilupparsi dal 1993 (perché non credo che Filippo Rossi intenda dire che ci risveglieremo nel 1993). Facciamo anche finta, dunque – affinché si possa pensare davvero che ci siamo destati da un sogno, come vuole Filippo Rossi –, che la Lega Nord sia un minuscolo, irrilevante partito di fanatici; che ci siano lavoro e diritti per tutti; che il G8 di Genova non sia andato come è andato.

Continua a leggere questo post

Dichiarazione politica

Essere berlusconiani non è avere in tasca la tessera del PDL. È la riduzione del linguaggio a superficie, e poi la sua stratificazione a oltranza; è ridere, nel linguaggio, dei corpi mercificati.

Essere antiberlusconiani non è andare al noBday, guardare Vieni via con me. Essere antiberlusconiani è rendere ragione e sentimento, è pretendere il riconoscimento della realtà logica e assiologica.

Fenomeni linguistici incontrollabili

Roberta De Monticelli, La questione moraleIl saggio di Roberta De Monticelli, La questione morale, ha il merito non irrilevante di offrire una ricognizione sui costumi di casa nostra – si parte da Guicciardini, si passa per Leopardi, si arriva a Corona e Ratzinger, a Bobbio e Zagrebelsky – portandone alla luce i presupposti filosofici, psicologici, culturali e politici, per porli all’attenzione di un lettore non necessariamente specializzato in filosofia e che però sia interessato, appunto, alla questione morale; l’operazione riesce, anche grazie al sostegno di una struttura semplice e chiara, in tre parti: “Male nostrum”, “Lo scetticismo etico” e “Tornare a respirare”, ovvero le radici del male, un falso rimedio che è parte del problema, e il rimedio reale.

Questo libro è soprattutto un gesto: da queste parti, infatti, non è per nulla scontato che la politica abbia qualcosa a che fare con la morale, e nemmeno che la morale possa essere oggetto di una riflessione in ambito morale. Si percepisce l’urgenza di estendere al di là delle pareti dell’accademia la discussione su temi che sì, sono tipicamente demonticelliani (assiologia fenomenologica, relativismo, nichilismo, decisionismo), ma che altresì rappresentano una strumentazione necessaria qualora si voglia realmente comprendere la nostra vita sociale e politica*; perché tanto si dice, di tanto si parla, ma ciò che sembra sempre sistematicamente fuori dal discorso sono le connessioni concettuali che il discorso implica, e il vocabolario necessario a dirimerle.

Continua a leggere questo post

Radio Genica 2 e ¾ – note sparse intorno a RG2½


Pesaro, foce del Genica
Pesaro, foce del Genica


Mad Max

Città in Comune, la lista civica di sinistra che si presentò alle ultime amministrative come alternativa seria al PD, tappezzò la città con manifesti che invitavano a votarla “perchè la cultura non è un rinfresco”, sbagliando l’accento del perché. Chi controlla i controllori? Posso credere in qualcuno che mi parla dell’importanza della “cultura” e che nel contempo con ciò che chiama “cultura” non ha familiarità? Lo scenario è oltre la sfera del tuono: a parte pochi solidi luminari, attorno a me e dentro me vedo poca familiarità con la “cultura” e un elettore che riempie la rete di commenti sgrammaticati nei quali denuncia l’ignoranza dei leader leghisti, cioè un elettore che sta dicendo «io (per diversi casi della vita) non sono “colto”, ma pretendo che lo sia chi mi governa», mi sembra un elettore saggio. Allo stesso modo, anche senza sapere nulla di medicina, pretendiamo che chi ci cura abbia una laurea. Si potrebbe obiettare che nemmeno un politico deve per forza essere colto: ricopre un incarico che non è direttamente coinvolto con la “cultura”; oppure: è coerente con la linea anticulturale del suo partito. Ma un politico, un intero staff, che volesse difendere la “cultura”, che ponesse la difesa della “cultura” nel suo programma, potrebbe permettersi di non avere familiarità con la “cultura”?

Continua a leggere questo post

Radio Genica 2 e ½. Reverenza e disprezzo

Pesaro, ultimo ponte sul Genica
Pesaro, ultimo ponte sul Genica

Si è parlato di due atteggiamenti diffusi, manifestazioni di un unico pensiero: se questa cosa, la “cultura”, (-A) non ha regole, non ha logica, non ha complessità (e non preclude l’autoproclamazione attraverso il sostantivo magico: io sono un artista! io sono uno scrittore! io sono un poeta! io sono un filosofo!), e (-B) è astratta, vale niente più del suono delle parole che enuncia e sta, come si dice, cagata, allora è una cosa bellissima e tutti la onoriamo. Ma se la “cultura” non solo (A) rivendica la sua complessità (escludendo dal novero degli artisti, degli scrittori, dei poeti, dei filosofi chi desidera liberamente annettervisi), ma pretende anche di (B) dire la sua nelle questioni reali, davvero importanti, quotidiane, pratiche, ecco che chi (ha deciso che) non ha i mezzi per accedere alla complessità, e se ne sente escluso, nega rilevanza pratica alla “cultura”, perché ciò significherebbe ammettere che in lui o in lei manca qualcosa di rilevante (in alternativa c’è chi vede nella “cultura” una devianza, e negli “intellettuali”, cioè nei pervertiti, i fautori di un oscuro complotto ordito per sostituire la “cultura” alla normalità).*

Continua a leggere questo post

Nessuno uscirà vivo di qui

Continuiamo pure a dirci che il problema è Lui, che il problema sono le televisioni, che il problema sono gli Italiani (gli Italiani sono sempre gli altri) e a ritenerci del tutto autorizzati, intelligenti, simpatici e soprattutto mentalmente normali nel ripetere bungabunga sghignazzando, come se l’espressione fosse neutra, come se non si portasse dentro l’umiliazione e la reificazione delle donne che vige nella fogna merdosa che è l’ambiente da cui quell’espressione è saltata fuori, ripeterlo zompettando sulla terrificante sovrapposizione semantica tra sesso e stupro, come se potesse esserci, e come se facesse ridere, o si potesse ridere comunque, dal “popolo della rete” fino al patetico Elio, che a quanto pare fa ridere perché esiste, visto che la sua opera consiste nel ripetere su base musicale parole ed espressioni proliferanti dai bar ai media e dai media ai bar, e, assieme ai Morgan e ai Busi, nel fornire, a chi si dichiara fuori, chili di para-normalità per stare dentro comunque, ché un divano, un televisore e un biglietto per il grande spettacolo della circolare produzione e fagocitazione di polifosfati organici evidentemente sono ideali universali dell’umana natura. Poi dice che Ferretti è passato coi cattivi. Ohibò, questo è scandaloso. Poi dice che quelli delle battute da bar sono “loro”, quegli altri. Anche no. E che “Silvio Berlusconi non è il mio presidente”. Anche sì.

Radio Genica 2. La “cultura”

Pesaro, ultimo ponte sul Genica
Pesaro, ultimo ponte sul Genica

Fino a qualche anno fa avevo un problema con l’arte. Per questioni scolastiche (ho fatto il liceo classico), ho spesso frequentato persone che, provenendo da ambienti dove il visivo e il concettualmente sottile li si respira fin dalla tenera età, avevano sviluppato una comprensione (che sembrava innata) proprio per ciò che più difficilmente può essere spiegato. Questa difficoltà della spiegazione, a me, che quella facoltà non la avevo mai acquisita, dava sui nervi; il mondo dell’arte mi appariva esoterico, fino al punto di indurmi a pensare che di fatto non ci fosse nulla da comprendere: per molto tempo ho creduto che chi “scegliesse” di dire bellissimo di fronte a un quadro – che avesse magari meno di centocinquant’anni di storia – lo facesse per sentirsi e dichiararsi parte di un’élite intellettuale.

Continua a leggere questo post

Radio Genica 1 e ½. Dire le cose

Pesaro, Genica
Pesaro, foce del Genica, particolare

Ho sentito dire – in giro, al bar, in rete – che in parlamento, il giorno della fiducia, “Di Pietro le ha cantate a Berlusconi”, che “Di Pietro ha detto le cose come stavano”. “Di Pietro distrugge Berlusconi” recita il titolo di un ormai noto video (link tolto, causa scomparsa del video, NdJ), ovvero: Di Pietro chiama Berlusconi “stupratore della democrazia”, “spregiudicato illusionista, anzi: pregiudicato illusionista”.
Un paio di giorni fa Vendola (cioè lo staff di Vendola) ha pubblicato sul suo profilo Facebook queste parole: “Il lavoro fondamentale da fare è lo scavo nel suolo delle parole. Il centro sinistra oggi è un palcoscenico che non ha parole”. Molti commentatori hanno contestato questa dichiarazione.

Continua a leggere questo post