Questa recensione è apparsa sull’Indice di gennaio.
Nel Regno la libertà di coscienza e di fare progetti è negata. Ciò è deciso affinché nessuno soffra; ma, pure, affinché nessuno metta in moto la storia, ferma da sessant’anni all’ordinamento paraplatonico che vede i Grandi Avvilenti – cioè i sacerdoti della dissoluzione delle speranze – al vertice del regime morale e, subito sotto di loro, i guardiani del Regno, gli Uominineri; infine la gran massa dei popolani: contadini, pescatori, artigiani. Tristano è un Grande Avvilente, si reca in missione nei territori di sua competenza, accompagnato da Otre, l’Uomonero che lo affianca, per svolgere il compito più alto e sacro: denutrire le speranze, sgonfiare le gioie, calpestare la volontà. Perché, dice, la vita fa male, poi ti tradisce, le illusioni crollano, e a nessuno venga in mente di maturarne. E tuttavia nel Regno qualcosa si muove: piccoli centri si ribellano un po’ dappertutto, gli Eroi del popolo sorgono qua e là, belli, biondi, con gli occhi azzurri.
Forlani crea un secolo XVII alternativo e la lingua barocca adatta a descriverlo: ogni soggetto, oggetto o atto è iperdefinito, semanticamente isolato in gabbie fatte di molteplici termini; spesso l’azione è descritta da più verbi che si inseguono senza vocaboli intermedi; la scomparsa delle virgole tra i sostantivi disposti in lunghi elenchi disegna paesaggi dove non esiste il vuoto.