Ho realizzato un videocorso di filosofia antica per Oilproject.
Questi sono i link ai singoli video:
Tag: Socrate
GNAP! – la tecnica dello schiacciapatate
Prima o poi mi deciderò a compilare e pubblicare un elenco delle fallacie e delle mosse retoriche subdole che si stanno propagando in Italia in questi anni in modo massiccio e preoccupante: basti pensare all’uso diffusissimo e spensierato dell’argomento a uomo o del processo alle intenzioni. Temo abbiamo a che fare con la prole deforme nata dalle Nozze di Relativismo e Televisione: si tratta di fallacie e mosse che il loro stesso substrato ideologico incorona come uniche forme retoriche moralmente legittime; il medesimo substrato ideologico, intanto, rovescia senza pietà argomenti e dimostrazioni nel cestino delle dialettiche immorali; tutto ciò sta trasformando una parte della popolazione in troll (nel senso internautico) e l’altra parte in soggetti schizofrenici costretti a interrogarsi e rispondersi da soli; se gli schizofrenici che si interrogano e si rispondono da soli mi fanno venire in mente Socrate in Gorgia 506c-507c, i troll mi fanno venire in mente – più che sofisti come Gorgia, Callicle o Polo – i puffi neri, o i film di zombie dove i virus si impossessano dei cadaveri; e credo sia significativo che, nella filmografia sugli zombie, gli zombie si siano fatti via via sempre più rapidi e aggressivi.
Tu quoque Socrate
Si veda il Critone. Socrate è in galera, condannato alla cicuta. Critone vuole aiutarlo a fuggire, altrimenti gli Ateniesi lo considereranno un traditore degli amici. Socrate gli dice: ma ti rendi conto che non dovresti vergognarti di quello che pensa la gente di te, se ha torto? Ti rendi conto che dovresti vergognarti di vergognarti di una cosa come questa? Io non fuggo: ho stretto un patto con le leggi di Atene, ho scelto io di abitare qui, di sottostare alle leggi e di rischiare. Ora mi prendo le mie responsabilità. Non riesco a fare altrimenti: questa roba mi incatena come i ritmi dei coribanti.
L’interlocutore socratico, in genere, si vergogna solo di ciò che è sanzionato con il biasimo da parte della comunità, cioè si vergogna dei contenuti del suo pensiero e delle sue azioni, non della forma del suo ragionare. E si vergogna dei suoi pensieri biasimevoli solo se sono espressi o intuiti, e delle sue azioni biasimevoli solo se qualcuno vi assiste: se Socrate non fuggisse, Critone, pur se riconoscesse dentro di sé la validità dei ragionamenti socratici, si vergognerebbe di fronte agli Ateniesi.
Diversamente Socrate controlla continuamente Socrate sul piano formale: ho stretto un patto, dovrò rispettarlo; non posso permettermi X, non stringerò un patto in cui mi impegno a fare X. A Socrate non sembra interessare il biasimo o la lode sui contenuti: a Socrate sembra interessare solo la correttezza deduttiva, di cui lui stesso si fa testimone. Stante quella, lui non ha problemi.
Fila tutto liscio, a quanto pare, nel Critone. Però c’è da far caso a come fila tutto liscio. In questo dialogo non ci sono solo Socrate, Critone e gli Ateniesi di Critone.
Prima di tutto Socrate fa comparire il fantasma dell’Esperto, che è l’unico, dice, di fronte al quale ci si deve vergognare: l’Esperto sa riconoscere il buono stato dell’anima; tradotto dal socratico: sa vedere la simmetria delle opinioni e delle azioni.
Ora, non è che questo Esperto che non si sa dove stia ne sappia più di Socrate, dato che Socrate quella correttezza deduttiva la sta effettivamente mettendo in pratica. Ugualmente Socrate chiama a testimone questo fantomatico Esperto ponendolo come una figura esterna, probabilmente intendendo il dio.
Dopodiché, parlando degli impegni che ha preso con le leggi di Atene, Socrate fa comparire le Leggi. Dice a Critone: pensa se io fossi lì lì per fuggire e in quel momento arrivassero le Leggi a biasimarmi per la mia incoerenza. Non avrebbero ragione di svergognarmi?
E poi, quando morirò e andrò nell’Ade, non arriveranno le Leggi dell’Ade a farmi i medesimi discorsi? Caro Critone, come vedi non può fare.
Personificazioni. Queste sono personificazioni.
Nemmeno Socrate è riuscito a farsi unico testimone di se stesso. Nemmeno lui è riuscito a fare a meno dell’idea di uno sguardo esterno che vedesse la sua coerenza.
Pensare a voce troppo alta
Il pensiero più innovativo si fa strada nelle scuole? È circondato da un clima di riconoscimento generale? Raggiunge l’orecchio interno, anche se il processo uditivo è spesso ostinatamente lento e carico di volgarizzazione? O invece il pensiero autentico e la sua valutazione ricettiva sono impediti, perfino distrutti (Socrate nella città dell’uomo, la teoria dell’evoluzione tra i fondamentalisti), da un rifiuto a pensare di stampo politico, dogmatico e ideologico? Quale meccanismo sordido, ma comprensibile, di panico atavico, di invidia subconscia alimenta la «rivolta delle masse» e, oggi, la brutalità filistea dei media che hanno reso derisoria la stessa denominazione di «intellettuale»? La verità, insegnava il Baal-Shem Tov, è in esilio perpetuo. Forse deve esserlo. Laddove diventa troppo visibile, dove non può rifugiarsi dietro la specializzazione e la crittografia ermetica, la passione intellettuale e le sue manifestazioni provocano odio e derisione (questi impulsi si intrecciano con la storia dell’antisemitismo; gli ebrei hanno sempre pensato a voce troppo alta).
George Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero
De rerum paura (episodio 5 e ultimo)
Non facciamo i ciarlatani e dichiariamo francamente che a questo mondo non si capisce nulla. Soltanto gli imbecilli e i ciarlatani sanno e comprendono tutto.
Anton Čechov
Socrate e Joseph
Il teologo Joseph Ratzinger ha recentemente dichiarato che il cristianesimo non è una religione intellettualistica. Coerentemente con l’incoerenza, in molti, negli ultimi tempi, si sono riempiti la bocca con termini quali “natura”, “diritto naturale”, “relativismo”, “contronatura”, arrogandosi il diritto di definire la vita altrui con questi termini, combattendo la battaglia per nominare le cose, battaglia nella quale vince sempre chi ha più fretta. Chiedo scusa a me stesso, ma di questa gente io purtroppo non riesco ad avere alcun rispetto. Ma non è questo il punto. Scrivendo i post del De rerum paura ero consapevole che essi, plausibilmente, avrebbero contenuto errori logici, avrebbero potuto essere contestati mediante esposizioni diverse, probabilmente altrettanto, se non più coerenti, di quelle da me presentate. Esiste una vasta letteratura filosofica e scientifica nella quale è possibile rinvenire radici che sviluppino piante antagoniste. Sono esistiti pensatori enormi che probabilmente avrebbero soffiato via questo mio castello di carte solo respirando. E allora?
De rerum paura (episodio 4)
La sessualità a modello procreativo si manifesta per quello che è: una cultura, i cui valori e i cui tabù riflettono il concetto di “natura” che vi è stato elaborato in relazione agli scopi della civiltà che l’ha espresso.
Carla Lonzi
L’assunto (2) secondo gli organi sessuali – Callicle e Clito
Callicle potrebbe infine svegliarsi dal suo torpore e, «come ho fatto a non pensarci prima!», potrebbe rispolverare l’opinione vieppiù diffusa secondo la quale la procreazione sarebbe il fine dell’atto sessuale. Questo non basterebbe a riportare in auge l’assunto (3) ma sarebbe sufficiente a restituire una versione dell’assunto (2) circoscritta alla “natura” degli organi sessuali: infatti, secondo questa longeva convinzione, sarebbe il nostro corpo, sotto forma di ormoni, a protendersi verso la procreazione, e il piacere del sesso altro non sarebbe che l’inconsapevole carota mediante la quale la specie si è riprodotta.
È singolare che qualche decennio fa Carla Lonzi proferì una sua versione dell’assunto (3) nell’ambito della battaglia per la liberazione della donna. Carla Lonzi predicò infatti un’”etica naturale”, una morale di ritorno alla “natura” che, limitando l’assunto (2) alla “natura” degli organi sessuali, combacia perfettamente con l’assunto (3): per Carla Lonzi la donna doveva rendersi conto che il suo organo sessuale non è la vagina, e comportarsi di conseguenza.
De rerum paura (episodio 3)
L’assunto (2) secondo la predisposizione genetica
Se il nostro Callicle vivesse ai giorni nostri potrebbe affermare che in realtà la tendenza all’eterosessualità è universale, ma in certi casi viene sovrastata da tendenze opposte.
Potrebbe farlo asserendo che c’è un carattere naturale che appartiene a tutti gli esseri viventi che abitano il pianeta Terra: la spinta alla continuazione della specie. Senza attribuire alla specie la volontà di compiere un’azione in vista di una causa finale, immaginiamo che vi sia una predisposizione, sottoforma di DNA, alla ricerca della procreazione. Chiamiamo la tendenza generata da questa predisposizione “tendenza procreativamente corretta” e le tendenze opposte – che sa il dio da quanti desideri e accidenti possano scaturire – “tendenze procreativamente scorrette”.
Ora sarà d’uopo rilevare che le tendenze procreativamente corrette si manifestano sul piano dei desideri e dei comportamenti che ne conseguono (e non vedo come potrebbe essere altrimenti): ovvero la fisiologia “causa” dei modi di essere psichici.¹ Ora, se le tendenze procreativamente scorrette trionfano in me sarà necessario ammettere che, almeno sul piano psichico, la loro forza aritmetica si è dimostrata maggiore di quella delle tendenze procreativamente corrette. Ma non è necessario che le tendenze procreativamente scorrette trionfino: ci basta che ci siano, perché affinché i fenomeni psichici si verifichino è necessario che vi sia una fisiologia pronta ad accoglierli, che li renda possibili, che sia configurata in modo conforme o in modo da potersi conformare al loro verificarsi. Dunque è necessario ammettere che, accanto a una ipotizzata predisposizione genetica alla procreazione, esiste una predisposizione genetica, cioè una capacità del nostro sistema corpo-mente –prevista, quindi, dal DNA di cui esso è espressione – ad accogliere stimoli indifferenti o contrari alla procreazione. Domanda: una predisposizione genetica non è una predisposizione naturale?
Non può fare.
De rerum paura (episodio 2)
L’assunto (2) secondo l’osservazione dei comportamenti
Il concetto di “natura” di Callicle è, come dire, “naturalistico”: probabilmente non ci starebbero dentro i computer, non si capisce quale sia lo statuto “naturale” degli uomini, forse non è chiaro nemmeno quello degli alveari, per non parlare delle dighe dei castori. Instaurando questa distinzione, in cui l’uomo appare come questo animale un po’ a metà tra l’animale e non si sa bene cosa, egli sembra cercare nella “natura” animale extra-umana qualcosa che doveva esserci anche nell’uomo prima che esso si corrompesse con la civiltà. In altri termini, come si è detto, egli sembra prendere a modello i fenomeni comportamentali del mondo animale.
Bene. Come funziona la costruzione della categoria di “naturale” secondo l’osservazione dei fenomeni del mondo animale? A quali fenomeni ci si riferisce? Tipici di quali specie naturali? Se Callicle mi rispondessse “degli animali non umani”, non traviati dall’artificialità della legge, potrei rispondergli che, per esempio, è cosa nota e documentata l’omosessualità presso i bonobo e altre specie. Callicle potrebbe allora regredire nella scala evolutiva alla ricerca di animali ancora meno “sociali”, e io potrei con buona ragione chiedergli se non sia lui ad andare contro natura, nel voler far dell’uomo una raganella.
De rerum paura (episodio 1)
Assume Callicle
Duemila e circa quattrocentocinquanta anni fa alcuni sofisti contestavano l’ipocrisia e l’artificialità delle leggi umane, denunciando la loro mancata analogia con le “leggi di natura”. Platone ci ha lasciato, nel Gorgia, un meraviglioso affresco di questa tendenza critica, personificata in uno dei più temibili avversari di Socrate: Callicle.
Secondo Callicle, superuomo antelitteram, la “legge di natura” è la legge del più forte, mentre la legge degli uomini è la legge dei deboli. Tanti e deboli. Nelle parole di Callicle si avverte chiara la distinzione tra la rettitudine e la devianza, tra la salute e la malattia, tra la forza dell’uomo ferino e la debolezza dell’uomo civilizzato. Le sue convinzioni nascono da un’osservazione dei fenomeni “naturali”, con particolare riferimento alle altre specie animali. Da questa osservazione, Callicle trae la conclusione che conformarsi alle “leggi di natura”, e quindi, secondo lui, alla “vera natura umana”, significhi, per l’individuo, perseguire la ricerca del proprio bene, che per Callicle equivale al piacere, con ogni mezzo che egli abbia a disposizione. Per Callicle in una condotta del genere non v’è nulla di immorale: è “natura”. Rispettare le leggi e la collettività è solo un modo per non avere guai, dato che, purtroppo, le leggi esistono.
La morale di Callicle si basa su tre assunti:
1) che vi sia una “natura della specie”: la ricerca dell’utile e del piacere;
2) che siano possibili altri comportamenti: il rispetto del debole, la rinuncia al piacere;
3) che sia una buona etica il conformarsi a questa “natura”.