Fino a quando non troveremo la possibilità di evitare questa oppressione degli apparati sulle masse nel corso della produzione e del combattimento, ogni tentativo rivoluzionario avrà qualcosa di disperato. Infatti, mentre ci è noto di quale sistema di produzione e di guerra noi agogniamo con tutte le nostre forze la distruzione, ignoriamo quale sistema accettabile potrà prendere il suo posto. D’altra parte, qualunque tentativo di riforma appare come puerile nei confronti delle necessità cieche implicite nel funzionamento di questo, mostruoso ingranaggio. La società del presente assomiglia a una immensa macchina che afferri gli uomini e di cui nessuno conosca le leve di comando; e coloro che si sacrificano per il progresso sociale assomigliano a gente che si aggrappi alle ruote e alle cinghie di trasmissione nell’ansia di arrestare la macchina, facendosene a loro volta stritolare. Ma l’impotenza in cui ci si trova a un dato momento, impotenza che non deve essere mai considerata come definitiva, non può dispensare dal rimanere fedeli a se stessi, né scusare la capitolazione davanti al nemico, di qualunque maschera si copra. Comunque si travestano linguisticamente il fascismo e la democrazia o la dittatura del proletariato, il nemico capitale resta l’apparato amministrativo, poliziesco e militare; un nemico non identificabile con quello che ci sta di fronte, identificabile perché si presenta come nemico dei nostri fratelli, bensì è il nemico che dice di essere il nostro difensore, mentre ci rende schiavi. In qualunque circostanza il peggiore tradimento possibile consiste sempre nell’accettare la subordinazione a questo apparato e nel calpestare in se stessi e negli altri, per servirlo, tutti i valori umani.
Simone Weil, “Riflessioni sulla guerra”, Incontri lbertari
Traduzione di Maurizio Zani