Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Telestiké. La scoperta dell’esistenza del robot da parte dell’eroe, l’apertura del varco e l’emersione del sommerso arrivano insieme. Perché i mostri non sono i mostri dell’eroe prima della scoperta dell’esistenza del super robot: specialmente nell’era post-nagaiana, la scoperta dell’esistenza del robot e l’assunzione di responsabilità dell’eroe coincidono con la presa di coscienza della propria predestinazione, dunque del fatto che l’abisso è il suo abisso: il super robot è stato costruito per combattere mostri che fino a quel momento, se anche si erano già affacciati sul mondo reale, non sembravano rappresentare una faccenda personale dell’eroe, e l’eroe non era ancora eroe. Il super robot è il mediatore fra i due mondi e il guardiano del varco. In alcune serie, come Raideen e Diapolon, il carattere divino del super robot è esplicitamente affermato. E non è forse Getter Robot, in tutte le sue incarnazioni, quel costrutto della tecnica in grado di convogliare in sé i raggi getter, l’energia cosmica misteriosa che stimola l’evoluzione, tanto che i raggi e il robot si intrecceranno come spirito e corpo, e si svilupperanno in forme sempre più forti e complesse, fino a sviluppare le pupille, lo specchio della coscienza?
A sua volta il fatto che il super robot non sia un’arma prodotta in serie, ovvero il fatto della sua unicità – che lo distingue dai mostri seriali e ne alimenta lo status di divinità e la funzione di mediazione – si riverbera sulla natura dell’abisso oltre il varco e contribuisce a caratterizzarlo come dimensione altra rispetto al reale quotidiano.