Non si tratta di accusare di new age qualsiasi opera che non aderisca a un rigoroso materialismo e non si tratta di snobismo nei confronti del pop. Si tratta, più onestamente, di riconoscere la new age e un cattivo uso del pop là dove si manifestano.
Avatar. Partiamo dal dato più visibile in questo senso: i Na’vi sono terribilmente anni novanta, sono la versione in computer grafica di una brutta copia disneyana di un anime molto scarso, sembrano disegnati da un tizio che fa i cartoni animati a sei euro l’ora per la pubblicità di un gelato. È un’estetica ormai talmente diffusa – il muso piatto a leoncino, gli occhioni – che è difficile anche ricomporne le radici, ma fin da subito appare meravigliosamente mainstream. Ed è una parte coerente col tutto.