1. QUANTO ROSIKATE / CHI TI PAGA / QUANTE CAZZATE / Mi pare che le risposte automatiche segnalino un deterioramento dialettico anche rispetto alla vecchia situazione del trolling nella comunicazione politica (che ho affrontato qui e qui tempo fa): si riducono ormai alle tipologie elencate da Giuliano Santoro in questo commento (avere interessi nascosti, essere invidioso, fare discorsi da intellettuale). Segnalano un ulteriore deterioramento perché, mentre permane la forma dell’argomento contro l’uomo, oltre alla solita accusa di intellettualismo, la riduzione della gamma delle risposte dà l’idea di un aumento dell’automatismo. Le alternative più pacifiche a queste tipologie di risposta consistono nell’esaltazione del nuovo come valore in sé o nel terribile ritornello della richiesta di proposte alternative – indizio dell’ingombrante presenza di un mostruoso incrocio tra l’ideologia dell’efficienza e la forma mentis da par condicio, la quale viene trasposta fuori dal contesto mediatico-elettorale ed elevata a valore in sé, e in questo mi sembra recare con sé l’idea che una critica sia un attacco alla persona mosso da personalissime motivazioni, e che dunque si dovrebbe prestare il fianco a un colpo riparatore dell’onore, oppure tacere.
In merito al leggere ogni dissenso come attacco alla persona, nel secondo degli articoli linkati poco fa mi dichiaravo autorizzato a ribaltare l’accusa implicata dall’argumentum ad hominem addosso al suo utilizzatore: in altri termini, se qualcuno risponde a una mia manifestazione di dissenso attaccando me e insinuando ragioni che riposerebbero alle spalle del mio dissenso, in quel caso io mi ritengo autorizzato a considerare il mio interlocutore mosso dagli stessi motivi di cui mi accusa: se mi accusa di invidia, lo reputo generalmente mosso da invidia, se mi accusa di avere interessi economici o di potere, lo reputo generalmente mosso da interessi economici o di potere, e così via.
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A cosa serve ciò che non serve a niente (6)
Come si è detto, la nutrizione “a biberon” dei recettori delle dimensioni extra-utilitaristiche sposta tutta la potenza pulsionale sulla dimensione meccanico-estensionale, determinando a lungo andare l’atrofizzazione dei recettori, e, da Callicles in poi, questo riguarda anche i recettori della dimensione logica extra-utilitaristica.
Dal momento del suo rilascio, Callicles ha facilitato di molto il lavoro degli sviluppatori, aumentando in misura consistente la compatibilità delle opinioni del giorno con i sistemi operativi a differente orientamento; compresi i sistemi operativi che girano sulle menti degli sviluppatori di opinioni del giorno.
A cosa serve ciò che non serve a niente (5)
Come è apparso chiaro fin da subito, il soggetto elegge i suoi scopi ed elabora le strategie per perseguirli nell’ambito della dimensione utilitaristica, o meccanico-estensionale, e lo fa – per tutto ciò che non concerne direttamente il soddisfacimento delle comuni esigenze vitali – in base all’orientamento del sistema operativo che gira sulla sua mente, cioè al riduzionismo da esso privilegiato, che sia esso politico, economico, giuridico o fisico. Abbiamo osservato come la prima versione di Solipsium si limitasse a soddisfare, mediante il soggettivismo, le esigenze pulsanti relative alle dimensioni extra-utilitaristiche, come le esigenze morali, estetiche o metafisiche. Abbiamo anche notato come la carica emotiva – o senso sacro – sottratta alle dimensioni spirituali soddisfatte e progressivamente atrofizzate da Solipsium, è deviata e investita dal soggetto sugli scopi eletti nell’ambito utilitaristico, o meccanico-estensionale che dir si voglia.
A cosa serve ciò che non serve a niente (4)
Ricapitolando, la mente ha in dotazione diversi recettori per diverse dimensioni del reale e per diversi gradi di una stessa dimensione; i sistemi operativi sono nati per semplificare la ricezione del reale, la semplificazione consiste nell’escludere dalla ricezione tutte le dimensioni tranne quella meccanico-estensionale, decodificabile dalla mente in base alle tecniche economiche, giuridiche, fisiche, e ai concetti di conveniente/non conveniente, legale/illegale, utile/inutile, ovvero le opposizioni che i robot chiamano non gratuite. La selezione operata dal sistema lascia dunque fuori le altre dimensioni – morale, culturale, estetica, spirituale – dove valgono le opposizioni che i robot definiscono gratuite, come buono/cattivo, giusto/ingiusto, bello/brutto, logico/illogico. In gergo si dice che queste dimensioni vengono “annientate” dal sistema operativo; eminenti robot hanno rilevato il monismo tecnico sotteso a questa espressione, e che sarebbe già un effetto dell’uso dei sistemi semplificanti: se si pensa che non considerare certe dimensioni del reale equivalga ad “annientarle”, significa che le si concepisce pregiudizialmente come immaginazioni, proiezioni; memi, come le definiscono le software house.
A cosa serve ciò che non serve a niente (3)
Generalmente le applicazioni – cui ho accennato nella prima parte di questo resoconto – servono a leggere singole situazioni emergenti dal continuum, per esempio il cosiddetto fatto del giorno; costano poco: sono talmente facili da copiare che le case di produzione hanno deciso di venderle on-line a prezzi stracciati, puntando soprattutto sulla fidelizzazione dell’utente. La fidelizzazione è realizzata quasi esclusivamente dagli aidoru, opinion maker carismatici che lavorano come testimonial per le software house.
A cosa serve ciò che non serve a niente (2)
Immaginiamo che esista un mercato di software per la mente: diversi sistemi operativi, e relative applicazioni, la cui funzione è la semplificazione dei dati di realtà, ovvero la riduzione della complessità.
A cosa serve ciò che non serve a niente (1)
Qualche considerazione a margine dell’ultimo pezzo su Scrittori Precari, dove scrivo «dell’attacco che la tecnocrazia spesso muove alla formazione umanistica: non servendo quest’ultima ad altro che allo strato più spirituale della nostra persona, secondo un paradigma tecnocratico, essa non serve a nulla, e questo perché, là dove serve, la tecnica vede il nulla».
Di solito non parlo di letteratura* – e nemmeno di filosofia – in generale, perché, se dovessi dire qualcosa in generale, direi che la letteratura – come la filosofia – non serve a niente. Però ho deciso di cogliere l’occasione e provare – non so se ci riuscirò – a dire perché secondo me la letteratura non serve a niente.
Il peggiore tradimento possibile
Fino a quando non troveremo la possibilità di evitare questa oppressione degli apparati sulle masse nel corso della produzione e del combattimento, ogni tentativo rivoluzionario avrà qualcosa di disperato. Infatti, mentre ci è noto di quale sistema di produzione e di guerra noi agogniamo con tutte le nostre forze la distruzione, ignoriamo quale sistema accettabile potrà prendere il suo posto. D’altra parte, qualunque tentativo di riforma appare come puerile nei confronti delle necessità cieche implicite nel funzionamento di questo, mostruoso ingranaggio. La società del presente assomiglia a una immensa macchina che afferri gli uomini e di cui nessuno conosca le leve di comando; e coloro che si sacrificano per il progresso sociale assomigliano a gente che si aggrappi alle ruote e alle cinghie di trasmissione nell’ansia di arrestare la macchina, facendosene a loro volta stritolare. Ma l’impotenza in cui ci si trova a un dato momento, impotenza che non deve essere mai considerata come definitiva, non può dispensare dal rimanere fedeli a se stessi, né scusare la capitolazione davanti al nemico, di qualunque maschera si copra. Comunque si travestano linguisticamente il fascismo e la democrazia o la dittatura del proletariato, il nemico capitale resta l’apparato amministrativo, poliziesco e militare; un nemico non identificabile con quello che ci sta di fronte, identificabile perché si presenta come nemico dei nostri fratelli, bensì è il nemico che dice di essere il nostro difensore, mentre ci rende schiavi. In qualunque circostanza il peggiore tradimento possibile consiste sempre nell’accettare la subordinazione a questo apparato e nel calpestare in se stessi e negli altri, per servirlo, tutti i valori umani.
Simone Weil, “Riflessioni sulla guerra”, Incontri lbertari
Traduzione di Maurizio Zani
GNAP! 2 – l’ira di Troll
Lo schiacciapatate è brutto, ma almeno non ti attribuisce secondi fini. Esiste anche un livello più basso, in cui a minare la dimensione del dialogo è il presupposto che chiunque parli lo faccia non per sostenere ciò che dice – per riferirsi a qualcosa, per giustificare le proprie scelte, per affermare dei valori – ma per colpire qualcuno e/o allearsi a qualcun altro, per invidia o per interesse.
Il meccanismo è quello del trolling: a una critica nel merito, di qualsiasi tipo e in qualsiasi campo, si risponde con domande e affermazioni che implicano la certezza di moventi altri e che saltano a piè pari il merito della critica – «Perché ti rode?» o «Adesso che hai fatto il tuo lavoro, il tuo padrone è contento?» o «Brutta l’invidia!» – come se le opinioni fossero tutte uguali e servissero solo a segnalare una qualche posizione in qualche schieramento o consorteria; insomma, per il troll, se dici «Rubare è sbagliato» lo stai dicendo perché ancora non hanno beccato i tuoi amici, o per chiamarti fuori prima della catastrofe, o semplicemente perché questa volta hanno beccato un altro, magari di un altro schieramento, e non te, o perché vorresti rubare anche tu ma non te lo puoi permettere. Mai e poi mai perché credi che rubare sia sbagliato (e poi, direbbe un troll particolarmente patatista, che significa “sbagliato”?); come nello schiacciapatate, anche nel trolling il reale è distrutto: rimangono solo le intenzioni oscure, i moventi nascosti, le strategie, i livori, le alleanze, gli interessi.
Complottismo vs complottismo
Prendiamo, per esempio, un “Precario anticasta” come quello che sta imperversando su FB e del quale parla Repubblica.
Può avere una funzione strategica: convincerci che siamo tutti zozzi, perché il precario finché gli ha fatto comodo ci è stato, e mo che l’hanno licenziato fa “il moralista” (però m’arcmand: non chiediamoci come stiamo psicologicamente sopravvivendo in questa condizione di compromesso alienante che è in gran parte reale per molti di noi).
Può avere una funzione tattica: il gusto del sordido, il complotto che nasconde la stessa cosa che vedi alla luce del sole (il valore aggiunto è appunto il complotto, non la cosa), la scarica adrenalinica dell’indignazione, il gioco delle parti, l’ennesimo match settimanale nel quale perderemo altre energie contrapponendo sovrastruttura a sovrastruttura.