Da “L’argine delle abitudini”, in L’ora migliore e altri racconti, di Simone Ghelli:
«Abbandonò il suo film preferito – perché quel viaggio era sempre in qualche modo lo stesso film: guardava le stesse cose e si atteneva agli stessi limiti proprio come se ci fosse sotto un calcolato lavoro di taglio e di montaggio – per buttare uno sguardo fuori del suo campo visivo. Lungo l’argine di destra, sul limitare di una piazzola di sosta, colse quello stesso riverbero sul filo argentato che addobbava un piccolo abete sistemato in un vaso. La croce di ferro che spuntava da una selva di mazzi di fiori la notò subito dopo, ma a causa della velocità non poté scorgerne i particolari – da un punto di vista spaziale della composizione l’albero veniva dopo e dunque dovette ruotare la testa all’indietro per quanto gli fu possibile, cioè senza abbandonare del tutto la visuale della strada.