Non posso lamentarmi, pure se le metafisiche vanno a pezzi tra le mani. Non ho sentimenti cosmici di pessimismo interstellare da postare. Non ho dèi da bestemmiare per errori di creazione. Però non ho la colazione, perché mi va di traverso, e la moka non funziona neanche bene. Ho da correre ogni giorno tra un bastone e un relatore e intanto ho un lavoro da aggiustare, ché così poi non va bene, non può fare. E fatico ogni nottata a prender sonno, e fatico anche a pensare a che cosa posso fare, dopo, domani, e temo ben dopodomani. È finita a quanto pare l’era dei vaneggiamenti. A giorni qua vaneggio solo perché non c’è più il pane. Devo stare dietro a tutti, e tutti nel frattempo vede bene di inculare. E non riesco neanche a dirti: dai, su, fammi sorridere. Perché io non ce la faccio, e non mi diverte affatto che il mio stato esistenziale abbia preso queste forme, che ai miei incubi di allora sia venuta questa idea di far gli anni assieme a me, maturare uguale uguale agli interessi dei strozzini, e in più con quella fotta tutta loro di farsi materiali: proprietà qualitativa. Profezia che si autoavvera? Dipartenza in auto nera. Chissà quando ho cambiato idea, sulla reincarnazione: quand’è che ho cominciato a non volerla. E non mi importa se non puoi più farci niente, non mi importa se i casini sono miei, se i cazzeggi sono miei, se le conseguenze poi alla fine resteranno tutte mie. Mi importa solo che hai capito. Sono io che non capisco, mo’, sono io che non capisco quando parli, non capisco ciò che dici, non ti seguo, nemmeno ad inventarti. Vedo bene che si muove la tua bocca, vedo bene che fai suoni articolati, ma non ne capisco il senso, e non posso farci niente, beibe, non ci posso fare niente, sono stanco di esser stanco e non trovo vie d’uscita. Il cliente che hai chiamato è al momento irraggiungibile.