Principi di devozione II (parte 2 di 3)

Quell’inverno un programma per l’Amiga lasciava che ragazzini senza senso di realtà potessero credere di comporre musica. Quattro piste correvano parallele in verticale sullo schermo azzurro. Orizzontale, la linea del tempo tagliava le piste e faceva suonare ciò che la attraversava. Quando un campione appoggiato su una pista passava la linea del tempo, suonava, e la sua immagine si illuminava: sembrava, in questo dinamico alterco, che le piste si rincorressero l’una con l’altra senza superarsi mai. Fui chiuso in camera di mia sponte per pomeriggi interi, quell’isolamento forse non giovò alla mia coscienza e mi ritrovai infine a credere d’aver prodotto qualcosa di valore: una pietosa composizione che il dj di una radio locale mi aveva promesso di trasmettere. Tutto sommato, se lo avesse fatto sul serio, oggi non me ne sarei vergognato: l’esaltazione ingenua della nostra adolescenza è bella e la perdoniamo pur avvertendo che in fin dei conti sarebbe stato meglio per noi non essere così.
Nel programma azzurro dell’Amiga erano inclusi dei demo per mostrarti come prima di te altri avevano fatto le musiche sull’Amiga: lasciavi scorrere la composizione altrui sul sequencer, lasciavi che si illuminassero i campioni cercando di capire dove si dovevano mettere i pezzi della musica. Fu solo quando mi convinsi d’aver completato la mia creazione che li ascoltai tutti. Uno era spettacolare. Si chiamava “Ice Machine”. La resa del suono era terribile, ma la melodia era semplice e magnifica, stupida e sconvolgente. Usciva dall’Amiga: piripiripì-ppirì-ppippi, pi-piripiripì-ppirì-ppippi. Piangevo commosso per l’uomo che aveva composto quella musica celestiale e tristissima su un tristissimo e celeste programma per credere di fare la musica elettronica con l’Amiga. Quell’uomo doveva aver avuto un infarto lungo tanto quanto il tempo di comporla.


Un giorno, facendo i compiti, alzandomi a spegnere il noioso lettore cd per lasciar risuonare il demo del programma blu dell’Amiga, mi resi conto per la prima volta che quel pezzo doveva avere una storia. Presi a telefonare a tutti i miei amici ripetendo a voce la melodia della canzone azzurra del computer.
-Sai di chi è questo pezzo? Piripiripì-ppirì-ppippi, pi-piripiripì-ppirì-ppippi. Piripiripì-ppirì-ppippi, pi-piripiripì-ppirì-ppippi. Si chiama  Ice Machine…
Nessuno la conosceva, e tutti, meno isolati di me o forse solo più ricchi, domandavano perché, con tutta la musica che c’era a disposizione, mi importasse così tanto di quel pezzo.
Fino a che non chiamai Sando, otaku nel midollo spinale.
-Sando, sai di chi è questo pezzo? Piripiripì-ppirì-ppippi, pi-ripiripì-ppirì-ppippi. Piripiripì-ppirì-ppippi, pi-ripiripì-ppirì-ppippi. Si chiam…
-Icemachine. È dei Depeche Mode. Bellissima non trovi?
Era tutto così: semplice. Tutto: così maledettamente semplice.
-Sando, devi farmi ascoltare quella vera. Non è sulla raccolta 81-85. Io ce l’ho la raccolta 81-85, me l’hai fatta copiare quell’estate, ricordi? Come è possibile che non sia sulla raccolta delle cose migliori? Perché Icemachine non è un singolo?
-Il tuo concetto di “migliore” mi sconcerta – affermò Sando – comunque non ho Icemachine.
-Ma come? Ma se hai tutti gli album.
-Ma Icemachine non è su un album e che fretta che hai. Icemachine è il lato b del singolo di Dreaming Of Me, il primo singolo dei Depeche Mode, dell’81. Pare che si trovi sui nuovi cd del primo album, Speak and Spell, come bonus track. Ma devi sentire cos’è la versione live dell’84. Devi sapere che i Depeche, in ogni tuor, scelgono di fare un pezzo che non suonavano dal vivo da almeno due tour, un pezzo di qualche album addietro. Nell’84 toccò ad Icemachine. Scritta da Vince Clark, sottovalutato primo leader dei Depeche, fu riarrangiata dal quartetto nell’84 in occasione del tour di Some Great Reward. Lo trovi su una versione particolare del singolo di Blasphemous Roumurs. È un disco giallo, al centro c’è un quadrato nero: è una foto, moltiplicata nove volte. Una foto di due mani di due equilibristi: una sta tenendo l’altra, le impedisce di cadere.
Era tutto così difficile, più di prima.
-E tu… non ce l’hai?
-No.
-E… e ce la fai?!
Mese dopo mese comprai tutti gli album. Comprai anche Bong!, il libro di Minale, con l’elenco di tutti i remix, gli strumentali, i live, tutto ciò che stava sui singoli e che, insieme ai singoli, non si trovava più. Non si trovava più. Sogno, chimera, mito. Di Icemachine sapevo solo l’esistenza trascorsa, lo davo ormai per defunto, innegoziabile. Solo questo mi spingeva a rinunciare, perché non di rinuncia si trattava, ma di accettazione. A rinunciare non avevo ancora imparato. Il giorno in cui imparai a rinunciare non me ne accorsi nemmeno.

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