Sabato 11 dicembre, alle 18.oo, presso il circolo l’Otto, parlerò con Federica Sgaggio del suo nuovo romanzo, L’avvocato G. C’è un’immagine che mi viene in mente quando leggo i romanzi di Federica Sgaggio, un’immagine in movimento. I personaggi di Federica Sgaggio sono mostri, e nel contempo sono davvero persone, cioè: Federica Sgaggio descrive dei mostri, e io, dai tratti che descrive, mi rendo conto che quei mostri sono persone, hanno facce e corpi da persone, vivono in un mondo di persone, e di conseguenza mi rendo conto che le persone sono mostri. Con mostri non sottintendo alcuna connotazione morale, penso al senso biologico del termine. Non voglio dire che Federica Sgaggio scriva romanzi di mostri: in realtà scrive romanzi realistici, e i suoi protagonisti sono persone.
Però quando chiudo il libro io ho questa immagine in testa: quando penso ai suoi personaggi, alla loro scena archetipica, vedo una specie di radura spoglia, gialla, circondata da rocce grigie, e in mezzo a questa radura ci sono due mostri, che sono anche creature umane (come se fossero persone curve, muscolose, con i fianchi un po’ grossi, la pelle giallastra e la testa di animale come in un antico graffito, una specie di lupo); ci sono insomma queste due creature umane, fatte di carne nuda, che si fronteggiano, che comunicano con grugniti, magari si sfiorano – e quello che si esprimono è incomprensibile: affetto? minaccia? eros? una vibrazione preverbale che è tutte queste cose insieme? – poi all’improvviso queste due creature si separano e cominciano a camminare all’indietro, tutt’e due, finché sempre all’indietro imboccano dei buchi neri nella roccia – è allora che ti accorgi che le rocce tutt’attorno sono piene di quei buchi neri – e scompaiono nel buio; allora mi immagino il cunicolo in cui una di queste creature si infila, come se lo vedessi in sezione: vedo la creatura inerpicarsi, camminando all’indietro, su per il cunicolo che va in salita, stretto da contenere appena la misura del corpo curvo della creatura; la creatura cammina sempre più su, finché la schiena non tocca il fondo del cunicolo; allora si ferma, e se ne sta lì, rannicchiata, come un animale deforme dal cervello incomprensibile. Per ore, per giorni, immobile. Fino a quando, all’improvviso, senza che io capisca bene perché, si muove, e veloce ridiscende il cunicolo, esce alla luce, ed ecco che si trova di nuovo davanti un suo simile, e nella radura ci sono solo loro. E così avvengono tutti gli incontri tra questi esseri, non più di due esseri alla volta. E poi di nuovo risalgono, all’indietro, e si ritirano.