L’altro me (parte dodicesima)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona, la decima e l’undicesima)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Zambo-Ace (Zambot 3 – Sunrise, 1977)
Zambo-Ace (Zambot 3 – Sunrise, 1977)

Kappei spezza il cerchio blindato. Il primo tentativo di risposta di un incredulo Kappei alle accuse mosse da CBN8 ai terrestri è: I terrestri sarebbero tutti cattivi? Io conosco anche delle ottime persone. Non «i terrestri sono buoni» o «i terrestri sono comunque migliori di voi»: il suo unico pensiero è rivolto all’assurda assolutezza del discorso Gaizok, spezza l’insieme chiuso e con ciò spazza via ogni pretesa determinazione razziale: se esiste anche un solo terrestre per bene, allora il discorso razziale Gaizok crolla.

Si potrebbe obiettare: Kappei sta solo dicendo che è sbagliato sterminare i terrestri in modo non selettivo, e non che tutti i terrestri meritano di vivere. Direi di no, perché il secondo e ultimo tentativo di risposta di Kappei – quando CBN8 domanda se i Jin hanno combattuto per se stessi – è abbiamo combattuto per tutti, frase che ripeterà anche tra sé e sé ricadendo sulla Terra: dopo aver spezzato la chiusura razziale, Kappei misconosce il discorso meritocratico.

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L’altro me (parte undicesima)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona e la decima)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Killer the Butcher (Zambot 3 – Sunrise, 1977)
Killer the Butcher (Zambot 3 – Sunrise, 1977)

Nagai, di nuovo. Sembra un altro mondo, eppure Zambot è di nuovo un prodotto della possessione di Devilman sulla progenie di Mazinga Z: al fondo troviamo ancora ciò che torna dal passato abissale e il problema della tecnica. Ma Yoshiyuki Tomino innesca una reazione tra i due elementi: fa della tecnica il mezzo di fissazione del presente da parte del passato (e di reificazione del soggetto, inchiodato e quindi deanimato), e lo fa in modo immediatamente politico, sia nel senso di una riflessione sul rapporto tra potere, tecnica, sadismo e oggettivazione, sia nel senso di un ritorno prepotente della dimensione storico-politica legata alla Seconda guerra mondiale.

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L’altro me (parte decima)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava e la nona)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Zambot 3 (Sunrise, 1977)
Zambot 3 (Sunrise, 1977)

In questo post tenterò l’esplorazione di quella che nel precedente ho definito la dimensione psico-filosofica di Zambot 3.

Fughe. Le mosse dialogiche di Butcher e CBN8 sono fughe, vale a dire che Butcher e CBN8 non si assumono la responsabilità del loro operato.

(1) Butcher: Chi ve lo ha chiesto? Ti ringrazieranno? I Gaizok si appellano a una ragione di scambio, non contemplano l’atto gratuito.

(2) Butcher: La Terra si autodistruggerà. Mossa deterministica: tanto è così che deve andare.

(3) CBN8: Io sono il computer programmato per mantenere lo stato etico cosmico. Morale dell’obbedienza: io eseguivo l’ordine. Oppure di nuovo mossa deterministica: sono stato programmato per.

(4) CBN8: Chi ve lo ha chiesto? Ti ringrazieranno? Avete difeso la Terra solo per voi stessi? No? Ma allora ti ringrazieranno? Ne valeva la pena? Ritorno alla prima fuga.

Ne consegue una circolarità di quello che da qui in poi chiamerò “il discorso Gaizok”.

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L’altro me (parte nona)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima e l’ottava)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

La Bandok (Zambot 3 – Sunrise, 1977)
La Bandok (Zambot 3 – Sunrise, 1977)

Tomino. Al polo opposto rispetto al Combattler di Nagahama–Yatsude sta Yoshiyuki Tomino. Tomino culminerà nel realismo vero e proprio, e lo farà passando per la riduzione all’osso, rendendo tributo più al logos che al mythos. La profondità abissale dei demoni di Nagai e delle figure archetipiche di Nagahama-Yatsude si allontana, sostituita da un sempre maggiore grado di realismo, di crudezza e di sublimazione filosofica; passando attraverso il poema della guerra e dello spirito di Zambot 3 (1977) e la parodia sociologica di Daitarn 3(1978), Tomino esaurisce l’animazione super robotica abissale per eccesso di riduzione all’essenziale; infine cadrà completamente nel realismo creando Mobile Suite Gundam (1979), il primo real robot (ma reintroducendo la dimensione psichica con i newtype).

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L’altro me (parte ottava)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta e la settima)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Malik e Oreana (Combattler V – Toeri-Sunrise, 1976)
Malik e Oreana (Combattler V – Toeri-Sunrise, 1976)

Dopo Nagai. L’era classica post-nagaiana è dominata dalle figure di Yoshiyuki Tomino e Tadao Nagahama con Saburo Yatsude, nome dietro il quale si cela uno staff misto Toei/Sunrise. Nagahama e Yatsude cominciano a collaborare con Combattler (1976), poi fanno Voltes (1977), Daimos (1978), e arrivano al capolavoro con Daltanious (1979). In Combattler gli avversari sono quasi più importanti dei protagonisti. Nagahama e Yatsude – mi riferirò sempre a entrambi perché le mie fonti sono contrastanti in merito all’attribuzione dell’effettiva paternità dei soggetti e dei concetti – sono affascinati da questa dimensione, trafficano con questa dimensione, con il risultato inevitabile che il loro universo dell’avversario sarà via via sempre più articolato, ma anche meno onirico e quindi meno oscuro, meno intrauterino di quello di Nagai, e si assesteranno lentamente ma inesorabilmente su quel (relativo) realismo che prevede la specularità dei due schieramenti contrapposti; eppure, proprio passando per questa strada, che apparentemente tende a riportare le due dimensioni dell’essere sullo stesso piano, annullando l’effetto abisso, nel 1979, con Daltanious, Nagahama e Yatsude produrranno un’opera impressionante nella quale il clima onirico evapora quasi del tutto perché il perturbante si afferma proprio con la specularità; ci torneremo.

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Una suggestione su “Urbino, Nebraska”.

Urbino, Nebraska di Alessio Torino (minimum fax, 2013) è insieme un romanzo e una raccolta di quattro racconti ambientati nello stesso universo, con quattro protagonisti ritratti mentre attraversano quattro soglie cruciali delle loro vite, in tempi diversi, ma tutti coinvolti – emotivamente, più che materialmente – da uno stesso evento: il ritrovamento, nel 1987, di due ragazze, Ester e Bianca, morte di overdose su una panchina della Fortezza Albornoz a Urbino.

I quattro protagonisti sono:

1) Zena Mancini: studentessa urbinate dell’università di Urbino nel 2010: mentre cambia corso di laurea e decide di seguire la sua nuova professoressa in un viaggio a Berlino.
2) Nicola Chimenti: giovane uomo nel 1994: mentre sta per farsi frate.
3) Mattia Volponi: grafico urbinate a Vienna nel 2013: mentre tenta di tenersi alla larga da Urbino.
4) Federico: ragazzino nel 2012: mentre attraversa la morte del nonno.

I quattro attraversamenti sono influenzati dalla conoscenza della vicenda di Ester e Bianca, i quattro attraversamenti non ci sarebbero se i quattro protagonisti non fossero a conoscenza della vicenda di Ester e Bianca, o non sarebbero gli stessi attraversamenti. I quattro protagonisti non sembrano sempre coscienti di questo. La vicenda di Ester e Bianca è la fonte di una consapevolezza che sta nello sguardo sul mondo: dona la capacità di vedere il reale.
Urbino, Nebraska è una storia di soglie.

Una storia di soglie è un campo di tensioni.

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L’altro me (parte settima)

Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta e la sesta)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Getter Robot (Toei, 1974)
Getter Robot (Toei, 1974)

Telestiké. La scoperta dell’esistenza del robot da parte dell’eroe, l’apertura del varco e l’emersione del sommerso arrivano insieme. Perché i mostri non sono i mostri dell’eroe prima della scoperta dell’esistenza del super robot: specialmente nell’era post-nagaiana, la scoperta dell’esistenza del robot e l’assunzione di responsabilità dell’eroe coincidono con la presa di coscienza della propria predestinazione, dunque del fatto che l’abisso è il suo abisso: il super robot è stato costruito per combattere mostri che fino a quel momento, se anche si erano già affacciati sul mondo reale, non sembravano rappresentare una faccenda personale dell’eroe, e l’eroe non era ancora eroe. Il super robot è il mediatore fra i due mondi e il guardiano del varco. In alcune serie, come Raideen e Diapolon, il carattere divino del super robot è esplicitamente affermato. E non è forse Getter Robot, in tutte le sue incarnazioni, quel costrutto della tecnica in grado di convogliare in sé i raggi getter, l’energia cosmica misteriosa che stimola l’evoluzione, tanto che i raggi e il robot  si intrecceranno come spirito e corpo, e si svilupperanno in forme sempre più forti e complesse, fino a sviluppare le pupille, lo specchio della coscienza?

A sua volta il fatto che il super robot non sia un’arma prodotta in serie, ovvero il fatto della sua unicità – che lo distingue dai mostri seriali e ne alimenta lo status di divinità e la funzione di mediazione – si riverbera sulla natura dell’abisso oltre il varco e contribuisce a caratterizzarlo come dimensione altra rispetto al reale quotidiano.

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L’altro me (parte sesta)

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(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta e la quinta)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Signore del Drago (Jeeg – Toei 1975)
Signore del Drago (Jeeg – Toei 1975)

Due gradi dell’essere. È vero che, come spesso si dice, negli anime super-robotici la separazione e l’opposizione tra bene e male sono piuttosto nette, ma non si comprende appieno il significato di questa divaricazione finché non la si guarda nel complesso della rappresentazione: la separazione e l’opposizione sono dimensionali, sfruttano la metafora del luogo oscuro e alieno, non terrestre: il dislocamento dei cattivi nello spazio o nelle profondità della Terra.

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L’altro me (parte quinta)

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(La prima parte, la seconda, la terza e la quarta
)

L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica

Un mecha-oni (Getter Robot G – Toei, 1975)
Un mecha-oni (Getter Robot G – Toei, 1975)

Ciò che torna dall’abisso. Che significa passare dal raffigurare l’avversario come una potenza straniera che aggredisce dall’esterno (Mazinga Z), al raffigurarlo come un passato preistorico universale o mitologico (Getter Robot, Il Grande Mazinga), al raffigurarlo come un passato storico e mitologico, non privo di tinte horror, che ci appartiene, nel quale siamo radicati (Jeeg, Getter G)?

Significa sperimentare il male scontrandosi con un nemico apparentemente esterno; di quel male isolare la dimensione astratta e universale; e in questa riconoscere qualcosa che ci appartiene e a cui apparteniamo, un passato che ha a che fare con noi, che rivendica il possesso di ciò che riteniamo nostro, che ci aggredisce.

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