– La nostra razza non esiste, – ha detto, – le persone, per esistere, devono pensarsi con molta forza. Invece noi non siamo fatti di pensiero, siamo fatti di paura. Se ci pensassimo davvero non saremmo ciò che siamo, saremmo qualcos’altro. E questa debolezza la sveliamo: camminiamo sulle punte, ci confondiamo con il muro, voliamo via se ci soffiano addosso. E a soffiare sono il popolo e i signori. Noi siamo un’altra cosa. Pensaci: anche quando crediamo di far male al prossimo per un nostro tornaconto, un po’ di soldi, un voto, una pigrizia, un interesse, noi facciamo del male perché far del bene ci sembra presuntuoso, immorale, ci sembra un passare per quello che non siamo.
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
In Combattler, il professor Stevens, lo scienziato che controlla la base, sul banco del computer della sala di controllo ha gli indicatori della risposta psichica dei cinque piloti: per condurre a buon fine l’agganciamento delle navette e formare Combattler, i piloti devono dare un assenso, e la convinzione di questo assenso è misurata attraverso dei contatori, simili a quelli della pressione, che devono raggiungere il massimo. Ebbene, i contatori sono disposti verticalmente, in basso c’è quello corrispondente al ragazzino della squadra, sopra c’è quello della ragazza, e sopra quello del grosso, e però gli ultimi due contatori, quello dello smilzo e quello dell’eroe, sono disposti orizzontalmente: lo smilzo a destra e l’eroe a sinistra (e sintomaticamente, al primo agganciamento, sono loro a porre il problema, dovuto presumibilmente alla loro rivalità).
Nel secondo episodio la strana struttura che sostiene i contatori si alza, parla e si muove: è un robot, si chiama molto amabilmente Robotto e ha il compito di sintonizzare le onde cerebrali dei piloti; mentre i contatori del resto della squadra sono disposti sul tronco, i due contatori dell’eroe e dello smilzo sono gli occhi di Robotto.
Al termine del post tornerò sul carattere di alter-ego dell’eroe, di altro me al di qua del varco, che contraddistingue lo smilzo; prima cercherò di individuare il suo carattere e la sua area simbolica.
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Padri e specchi. L’abisso psico-teologico o psico-mitico di Daltanious è certo meno onirico di quello di Combattler. Essendo costruito esclusivamente su figure umanoidi e su un elemento di chiara impronta scientifica come la clonazione, qui è l’aspetto squisitamente psichico a dominare negli schemi dello specchio e della funzione paterna, riassorbendo in sé la proiezione mitica e teologica (ma paradossalmente, come vedremo, mantenendola e complicandola).
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Il doppio del padre. Kento scopre che il suo nemico Kloppen è il doppio di suo padre Harlin. Il doppio si auotoproclama vero e gli dà del figlio del falso: il padre biologico di Kento, l’uomo che incarna la legge dell’impero e che è scomparso, sarebbe una copia dell’uomo con il quale Kento è in conflitto aperto, l’uomo della distruzione. Ma Harlin è paradossalmente più estraneo a Kento di quanto non lo sia Kloppen: non solo perché l’ordine imperiale è completamente ignorato da Kento, ma soprattutto perché Kento non ha praticamente mai conosciuto Harlin, mentre è certamente in più stretto rapporto – sebbene conflittuale – con Kloppen, il quale, se anche è il doppio di Harlin, è però l’altro di Kento, il suo avversario, colui con il quale Kento si confronta raffinando la definizione di sé.
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Daltanious. Dopo che Tomino ha smontato il super robot pezzo per pezzo, Nagahama e Yatsude, nel 1979, al super robot erigono un monumento.
Il protagonista di Daltanious, Kento Tate, è membro di una gang di orfani di strada che sopravvivono di furti ed espedienti in uno scenario di rovine, a occupazione aliena in corso. Kento e i suoi amici, tra i quali Danji Hiiragi (Dani Hibari, nell’edizione italiana) che diventerà il secondo pilota, scoprono il nascondiglio del Dottor Earl, scienziato di corte del pianeta Helios, fuggito sulla Terra molti anni prima quando Helios venne occupato dagli Akron di Zaar, guidati da tale Ormen, un tizio piuttosto tombale, sorte che ora sta toccando alla Terra.
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Specchi. Il penultimo episodio di Daitarn 3, il 39, quello con il comandante meganoide mutaforma che già richiama un’idea di non-identità a sé, insiste sul concetto di rovesciamento: prospettive innaturali, automobili che volano e uccelli che camminano, il comandante meganoide sul Daitarn e Banjo sulla nave meganoide, ed è anche una delle puntate in cui si ripropone più platealmente l’interrogativo sulla reale natura di Banjo. Ma ancora più esplicito in questo senso appare l’episodio 13: Don Huan, alto gerarca meganoide illustra a Koros e Zauser il suo piano per sconfiggere Daitarn mediante delle illusioni, e per farlo pone uno specchio di fronte all’altro, e poi in mezzo un dito: l’oggetto tra due specchi si moltiplica, ma doppio specchio significa anche rovesciamento del rovesciamento, e il rovesciamento del rovesciamento è l’originale, ed è interessante che in questo episodio lo scopo ultimo di Don Huan sia conquistare la Terra e da lì attaccare Koros.
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Realismo scafato. Perché questo immaginario da spy story? Perché è scafato. Il mondo dello spionaggio, degli affari, dei trucchetti è l’universo della gente pratica che sa come stanno le cose, la gente che ha poco spazio per l’immaginazione e si confronta con la pretesa realtà, cioè quel posto nel quale i personaggi sono inchiodati ai loro ruoli di genere e classe come i componenti del team di Banjo.
La realtà è finta. Se nel mecha classico l’eroe ha le carte in regola per confrontarsi con l’abisso, ed è per questo che il varco si apre e l’abisso si articola come altro dall’eroe, in Daitarn la quotidianità contemporaneamente è e occulta l’abisso, e ciò accade perché Banjo è cieco o reticente rispetto alla sua appartenenza all’abisso: Banjo vive il meganoide come totalmente altro da sé proprio perché non riconosce o non ammette che il meganoide non è totalmente altro da lui.
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
La società dello spettacoborg. Nel post precedente dicevo che lo stile è «uno dei vettori del conflitto tra Banjo e i meganoidi, conflitto interno alla società dello spettacolo che Daitarn 3 non solo rappresenta quando ritrae il mondo contemporaneo – non potrebbe essere altrimenti – ma della quale si pone come rappresentazione consapevole attraverso una serie di stratagemmi che vanno dalla fissità dei ruoli stereotipati, alla ripetitività, all’uso caricaturale e insistente dei cliché del culto dell’immagine – come i riflessi brillanti dei denti – alla comparsa talvolta di vere e proprie macchine da presa nella storia, alle ossessioni narcisiste di Banjo e dei comandanti meganoidi».
Quale sia il campo da gioco lo chiarisce subito il primo episodio, che si apre con un concorso di bellezza femminile indetto da un meganoide allo scopo di trasformare le partecipanti; e in generale, per tutta la serie, sarà lo stesso stilema dell’anime mecha a citare se stesso e porsi come palcoscenico; tutto si svolge sempre come una recitazione, come se ogni personaggio si sentisse sotto l’occhio di una telecamera e ci fosse sempre un pubblico (e spesso effettivamente c’è, nel senso che è rappresentato dentro la narrazione).
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
L’altra metà del cielo. Dopo Zambot 3, nel 1978, Tomino realizza Daitarn 3. Ci sono almeno due precisi suggerimenti che invitano a leggere Daitarn in connessione a Zambot: il 3 nel nome del robot, e l’evidente rovesciamento operato nell’arma finale, che è anche il nume di riferimento: Zambot aveva la luna, Daitarn il sole. Non si tratta solo di una contrapposizione tra la serie più drammatica e la serie più divertente di Tomino: Daitarn è tutto tranne che disimpegnato e leggerlo alla luce di Zambot ne illumina la natura meno visibile. Serie parodica, decisamente post-moderna, post-mecha o meta-mecha, Daitarn declina la sua tominiana essenzialità in chiave sociologica.
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