Zambot 3: la luna di Tomino

La famiglia Jin è approdata sulla Terra trecento anni fa in seguito alla distruzione del pianeta Biar da parte delle armate dei Gaizok. Ora i Gaizok attaccano la Terra. Kappei, Uchuta e Keiko sono tre giovanissimi Jin cresciuti per pilotare i tre moduli dello Zambot 3, il robot che difenderà la Terra dai Gaizok. Al di là dell’odio dei terrestri nei confronti dei Jin, ritenuti a torto causa dell’invasione (che peraltro è un motivo già presente in Kyashan), il canovaccio di Zambot 3 (Yoshiyuki Tomino, 1977) è a prima vista privo di qualunque originalità; le animazioni sono faticose, i disegni spartani; il mondo di Zambot è rudimentale, fatto di mare aperto o montagne rocciose. Un elemento particolarmente fastidioso poi è la rappresentazione dei Gaizok: il luogotenente Butcher entra sempre in scena con una risatina mefistofelica; le buffonate nella nave nemica sono patetiche, talvolta imbarazzanti.
Eppure a metà serie, all’improvviso, mentre stai per addormentarti, ecco che i Gaizok si travestono da protezione civile e cominciano a radunare profughi terrestri in campi di accoglienza fasulli. In questi campi i Gaizok operano i profughi installando nel loro corpo bombe a orologeria; dopodiché cancellano loro la memoria e li liberano. L’unico segno che distingue le bombe umane è una piccola stella viola sulla schiena, dove il diretto interessato non può vederla.
Tomino non si limita a raccontare questa storia, né a mostrare individui che all’improvviso esplodono. Entra nella vita dei personaggi e mette in scena la disperazione.

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Brìllar was a gas

– Buongiorno signora, la chiamo da Al Qaeda cellula di Pesaro, spero di non averla disturbata. Vede, noi ci occupiamo di dirottamenti aerei, armi di distruzione di massa e allestimento di attentati kamikaze. Dato che siamo in promozione la stiamo contattando per proporle il nuovo pacchetto composto da mini-atomica a raggio monochilometrico, perfetta per l’eliminazione dei vicini, più schermo anti-radioattivo per l’abitazione.
– Co-cosa…?
– Scherzo, signora. Chiamo dalla Brìllar e oggi vado in ferie.

Call Center from Mars (bonus tracks)

– Buongiorno signora, la chiamo dalla Brìllar, ci occupiamo di climatizzazione, stiamo proponendo delle consulenze gratuite a chi volesse valutare le nostre offerte. Lei possiede già un climatizzatore?
– No, non ce l’abbiamo il climatizzatore.
– Le può interessare una consulenza con il nostro tecnico, signora, naturalmente senza alcun impegno e nel momento che lei preferisce?
– Ma le ho detto che non ce l’abbiamo il climatizzatore!
– Appunto, signora, infatt…
– Insomma, come glielo devo spiegare, non ce l’abbiamo il climatizzatore!
Clic.

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Principi di devozione II (parte 3 di 3)

Ricordi quando uscì Songs Of Faith And Devotion? Avevi tirato fuori di nuovo, chissà da quale cassetto, quel fermaglio per i capelli a forma di conchiglia. Io ero ancora capace di avvertire i contorni netti dei simboli, rileggere distintamente le storie del passato, attribuire correttamente memorie e suggestioni perché la vita era stata ancora breve, fino a quel momento. Arrivai sotto casa tua, ti aspettai all’ombra del pino marittimo, proprio davanti al negozio di dischi. Sando aveva comprato Songs Of Faith And Devotion, che era appena uscito, saremmo andati da lui ad ascoltarlo. Noi avevamo visto solo il video di I Feel You, il singolo che lanciava il nuovo album. Io ero rimasto incollato allo schermo del televisore. Mi faceva impazzire il modo in cui Dave alzava la gamba e batteva le mani. A te piaceva, il singolo, ma non lo reputavi l’evento del secolo. Chissà per quale motivo eri già grande. Certo, anche io di qualcosa mi ero accorto, I Feel You mi diceva che erano cominciati gli anni ’90, più sporchi, più eccitati, più disperati. Guardandolo avevo capito che ero cresciuto e che prima o poi sarei morto. Però pensavo fosse bello, perché pensavo che sarei morto con te. Ancora una volta, per l’ennesima volta, il futuro non voleva presentarsi problematico al cospetto della mia coscienza che, da parte sua, era ancora ben lungi dall’allestire un tribunale. Tutti a casa propria, tutti in pace, i muri belli dritti. Nothing to fear.

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Principi di devozione II (parte 2 di 3)

Quell’inverno un programma per l’Amiga lasciava che ragazzini senza senso di realtà potessero credere di comporre musica. Quattro piste correvano parallele in verticale sullo schermo azzurro. Orizzontale, la linea del tempo tagliava le piste e faceva suonare ciò che la attraversava. Quando un campione appoggiato su una pista passava la linea del tempo, suonava, e la sua immagine si illuminava: sembrava, in questo dinamico alterco, che le piste si rincorressero l’una con l’altra senza superarsi mai. Fui chiuso in camera di mia sponte per pomeriggi interi, quell’isolamento forse non giovò alla mia coscienza e mi ritrovai infine a credere d’aver prodotto qualcosa di valore: una pietosa composizione che il dj di una radio locale mi aveva promesso di trasmettere. Tutto sommato, se lo avesse fatto sul serio, oggi non me ne sarei vergognato: l’esaltazione ingenua della nostra adolescenza è bella e la perdoniamo pur avvertendo che in fin dei conti sarebbe stato meglio per noi non essere così.
Nel programma azzurro dell’Amiga erano inclusi dei demo per mostrarti come prima di te altri avevano fatto le musiche sull’Amiga: lasciavi scorrere la composizione altrui sul sequencer, lasciavi che si illuminassero i campioni cercando di capire dove si dovevano mettere i pezzi della musica. Fu solo quando mi convinsi d’aver completato la mia creazione che li ascoltai tutti. Uno era spettacolare. Si chiamava “Ice Machine”. La resa del suono era terribile, ma la melodia era semplice e magnifica, stupida e sconvolgente. Usciva dall’Amiga: piripiripì-ppirì-ppippi, pi-piripiripì-ppirì-ppippi. Piangevo commosso per l’uomo che aveva composto quella musica celestiale e tristissima su un tristissimo e celeste programma per credere di fare la musica elettronica con l’Amiga. Quell’uomo doveva aver avuto un infarto lungo tanto quanto il tempo di comporla.

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Principi di devozione II (parte 1 di 3)

Ancora oggi, d’estate, a CristoRe i bambini camminano a piedi nudi. Noi vivevamo proprio là, in quel triangolo che si forma prima che mare e ferrovia si accostino. A maggio le mercanzie dei negozi del mare invadevano con gioia i marciapiedi, i terrazzi si riempivano di panni colorati, le donne toglievano dalle cantine e dagli sgabuzzi le sedie fatte con i fili di gomma, le stesse che usavano le Suore del Sacro Cuore su via Amendola, che porta diretta dentro il mare. Tutti si sedevano sui terrazzi, davanti ai portoni dei condominii, alle entrate dei negozi, tutti discorrevano orizzontalmente e verticalmente. CristoRe brulicava di voci e di gente in costume e maglietta, a piedi o in bicicletta, voci e gente che attraversavano strade, salivano scale, entravano e uscivano dai cortili, dalle case, dai negozi. Quando non eravamo al mare passavamo da una casa all’altra con dischi, computer, libri, floppy, fumetti, console, pistole ad acqua, ghiaccioli. I panni stesi aggiungevano il loro profumo al vento che veniva dal mare. A volte potevi sentire l’odore del frigo dei gelati venire dal bar all’incrocio delle strade. Ci lavavamo nelle cantine o per strada, con gli scioni. Cercavamo inutilmente di levarci la sabbia dai costumi prima di entrare nelle case.
Sando lo conoscevo da anni, da prima che si trasferisse al Cristo, e credevo di sapere ogni cosa di lui, quando all’improvviso mi accorsi che era appassionato di quel gruppo. Mi disse che era strano che non lo sapessi: non ne avevamo mai parlato?

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One day one trip 8

19:29
Capo: -A che ora hai l’autobus?
Jago: -Alle 19 e 31.
Capo: -Sono le 19 e 28.
Jago: -Finisco la scheda e vado.
Capo: -Voglio che me la fai diversa. Mettimi come ti dico io… alloraaa… “confermare martedì”.
Jago: -…
Capo: -…
Jago: -Va bene così?
Capo: -Sì.
Jago: -Ok, allora proseguo, sennò perdo l’autobus.
Capo: -Ascolta io vendo la moto.
Jago: -M.
Capo: -Non vuoi comprare la mia moto?
Jago: -Non in questo momento… dunque, nominativo…
Capo: -Cos’è, non ti fidi?
Jago: -Certo che mi fido, ma non ho né i soldi né l’intenzione… indirizzo, zona…
Capo: -Guarda che l’ho fatta revisionare tutta. È a postissimo, funziona alla perfezione.
Jago: -Non ne dubito.
Capo: -Allora perché non la vuoi comprare?
Jago: -Perché non mi interessa comprarla.
Capo: -Hai finito la scheda?
Jago: -Provo.
Capo: -Ah, no aspetta: cambiami la formula dell’indirizzo, voglio metterla così.
Jago: -Come?
Capo: -Aspetta… Ma pensaci alla moto.
Jago: -Va bene, ma come lo metto l’indirizzo?
Capo: -Dai va bene lo stesso, muoviti, la finisco io, che sono le 19 e 33. Forse fai ancora in tempo a prendere l’autobus.

One day one trip 7

18:48
Capo: -Perché non gli interessa?
Jago: -Ha detto che sono sopravvissuti finora senza, e non hanno voglia di affrontare la spesa, ci penseranno l’anno prossimo.
Capo: -Con chi hai parlato?
Jago: -Con lui.
Capo: -Ah sì, eh?
Jago: -Sì, con lui.
Capo: -E perché lui stesso l’altra volta aveva detto che su queste cose decideva la moglie e invece adesso ti ha detto che non erano interessati?
Jago: -Magari ne hanno parlato, non lo so.
Capo: -Come non lo sai?
Jago: -Non sono nella sua testa, non posso saperlo.
Capo: -Ma ti sembra normale che uno tre mesi fa dice che decide la moglie e oggi lui si permette di dire che non sono interessati?
Jago: -…
Capo: -Ah non lo so: nel primo rapporto dici che decide la moglie, nel secondo dici che lui ha detto che non sono interessati. Fa’ un po’ te.
Jago: -Io scrivo quello che dice lui.
Capo: -Ma tu devi capire.
Jago: -Bene. Lo richiamo e gli chiedo come si permette di dirmi che non sono interessati quando l’altra volta mi ha detto che decideva la moglie?
Capo: -Ma cosa stai dicendo?
Jago: -Non ne ho idea.

One day one trip 6

18:12
Capo: -Cosa fai? Selezioni tutti i nominativi?
Jago: -Devo spostarli uno per uno?
Capo: -E certo! Sei matto?
Jago: -Forse, ma perché devo spostarli uno per uno?
Capo: -Perché se li selezioni tutti e ti si cancellano?
Jago: -Eh?
Capo: -Se li selezioni tutti e ti si cancellano?
Jago: -Cioè: se li seleziono tutti, premo il tasto destro, dico ‘cancella’, rispondo ‘sì’ al ‘sei sicuro?’ e poi svuoto il cestino? Mi sembra un’ipotesi improbabile.
Capo: -Perché?
Jago: -Perché dovrei farle io, tutte queste cose.
Capo: -Certo, tu sei l’unico che sa usare il computer, vero?
Jago: -…
Capo: -Non mi piace per niente questa tua presunzione.