Ultrarno, Firenze, 30 aprile

> LIBRERIA CUCINA CUCULIA
via dei Serragli, 3R

19.00 Inizio del fast festival ULTRARNO / presentazione in prima regionale del libro “Pozzoromolo” di L.R. Carrino (Meridiano Zero, 2010), assieme all’autore: Francesca Matteoni e Marco Simonelli.

20.00 aperitivo, reading e expo con le riviste letterarie presenti al festival, con dj-set di Biga El Climatico. Riviste presenti: Il primo amore, Semicerchio, Collettivomensa, Onda creativa, Colla, inutile.

21.00 presentazione in prima regionale del libro di Antonella Lattanzi, “Devozione” (Einaudi, 2010) con Ilaria Giannini e Vanni Santoni.

> LIBRERIA CAFÈ LA CITÉ
via Borgo San Frediano, 20R

21.00 dj-set di Bobby Kebab.

22.00 sessione reading con (tra gli altri): Edoardo Nesi, Enzo Fileno Carabba, Rosaria Lo Russo, Paolo Ciampi, Sergio Nelli, Francesco Recami.

23.00  spettacolo di Rapsodi gruppo fonografico, “Mani in Altro”, di Luca Bombardieri e Tommaso Pippucci, con Luca Bombardieri, Tommaso Pippucci e Duccio Ancillotti; orchestre e dj sul palco: Duccio Ancillotti; regia di Leonardo Brizzi. A seguire, reading di Francesca Matteoni, Paolo Maccari e Tommaso Lisa.

> POPCAFÉ
Piazza Santo Spirito, 18A/R

23.00  dj-set di Manuele Atzeni e JohnnyBoy.

23.30 sessione reading con (tra gli altri): Marco Simonelli, Ilaria Giannini, Vanni Santoni, Gregorio Magini, Paola Presciuttini, Enrico Piscitelli.

dalle 00.00 fino a mattina live-set collettivo (in prima assoluta) di Overknights. Open-mic delle riviste e degli autori presenti.

Si ringrazia: Cuculia Libreria Cucina, Libreria Cafè La Cité, Popcafé, Lory – Copystore, Novaradio Città Futura 101.5.

A Bologna! A Bologna!

[ sabato 24 aprile 2010 h. 19.30 ]
Presentazione della collana letteraria Novevolt:
progetto, catalogo e aperitivo
nell’ambito di Dalla A allo Zammù 2010
presso Zammù Libreria, in Via Saragozza 32/a, a Bologna.

La collana Novevolt predilige ucronie e rappresentazioni selvagge del reale, autofinzioni sensoriali e piccoli gioielli di stile. Per l’occasione bolognese, Novevolt presenta, oltre alle due prime uscite, Fabrizio Venerandi e Jacopo Nacci, prossimi autori della collana. Accompagnati da Franz Krauspenhaar e Enzo Fileno Carabba, Vanni Santoni e le musiche di Simone Rossi e Cugino Lubitch.

Interventi di Enrico Piscitelli, curatore della collana Novevolt,
Franz Krauspenhaar, autore di Un viaggio con Francis Bacon,
Enzo Fileno Carabba, autore di Il molosso. La leggenda del cane

[ Segue alle 20.30 ]
AcusticoReading per Novevolt.
Testi e voci di Franz Krauspenhaar, Enzo Fileno Carabba, Vanni Santoni, Jacopo Nacci, Fabrizio Venerandi, Enrico Piscitelli.
Musiche di Simone Rossi e Cugino Lubitch.

a cura di MALICUVATA – Casa Lettrice

Concezioni altissime

Hiimelectric, Television, 2007

Su Il Fatto Quotiano è stato pubblicato uno scambio epistolare tra Nicola Lagioia e Antonio Ricci (la sequenza è: articolo di Lagioia, lettera di Ricci, lettera di Lagioia); lo scambio è riportato da Minima et moralia qui.
Nella lettera di Ricci si leggono tre argomenti.

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Le scuole teobaldiane – parte seconda

I calicantiani

Cézanne, Case sul bordo di una strada

Qui la prima parte di “Le scuole teobaldiane”

Non mi è particolarmente difficile incontrare l’esponente più autorevole dei calicantiani, Marta da Castelfidardo (intendendosi con Castelfidardo la via principale del Ghetto di Pesaro), dato che frequentiamo la stessa mente e abbiamo, grazie al cielo, gli stessi orari. Chiedo a Marta di parlarmi un poco della distanza che separa i calicantiani dai neoteobaldici.

– Siderale distanza, sicuramente. Non abbiamo mai capito certi tipi psicologici e le loro manie, troviamo angusti i loro immaginari; crediamo di guardare le cose con il giusto metro; non riteniamo corretto divinizzare un autore, non lo riteniamo corretto dal punto di vista dello studio né dal punto di vista morale: rispetto al primo, si rischia di non comprendere la sua costante ricerca, di ridurre la sua opera a una monumentale esposizione di un sistema fatto e finito; insomma, pensi a cosa si è fatto con Platone, come ha giustamente osservato Mario Vegetti. E poi, come dicevo, la divinizzazione dei grandi è scorretta anche sul piano morale: se escludi dal genere umano chi è capace di grandi cose, di fatto sminuisci il genere umano.

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Le scuole teobaldiane – parte prima

I neoteobaldici

Heikenwaelder Hugo, Universum, 1998
Heikenwaelder Hugo, Universum, 1998

Qui la seconda parte di “Le scuole teobaldiane”

Nella mia testa accadono di consueto cose inconsuete. Per esempio: nella mia testa esistono due scuole filosofiche che disputano sulla corretta interpretazione dell’opera di Paolo Teobaldi. La più antica di queste due scuole filosofiche, la scuola neoteobaldica, è una sètta d’ispirazione mistica; secondo i neoteobaldici l’opera di Paolo Teobaldi è la raffigurazione della totalità dell’Essere: una raffigurazione in fieri, perché ogni nuovo romanzo di Paolo Teobaldi che viene pubblicato rappresenta un piano dell’Essere rimasto nascosto fino a quel momento. Considerando cronologicamente l’opera di Paolo Teobaldi, dunque, i neoteobaldici ricostruiscono una struttura dell’Essere a sfere concentriche, che comincia dal centro dell’Essere, un nucleo oscuro e senza determinazione, e da lì si irradia progressivamente, sfera dopo sfera.

Il nucleo dell’Essere, per i neoteobaldici, è Scala di Giocca, il primo libro di Teobaldi, oscuro e insondabile. Oscuro e insondabile perché io non ho mai letto Scala di Giocca e, dato che i neoteobaldici vivono nella mia testa, per essi il nucleo dell’Essere è ineffabile, su di esso non si può dire nulla, è indeterminato, appunto, oscuro e insondabile. Il titolo stesso, Scala di Giocca, sarebbe un’espressione senza senso atta a rappresentare l’ineffabilità del principio (in realtà Scala di Giocca è una località in Sardegna, ma cerco di dimenticarmene per non privare i neoteobaldici della loro convinzione).

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Martiri della tecnica – parte terza:
la battaglia dei pianeti

Raffaello, La trasfigurazione, 1518-20
Raffaello, La trasfigurazione, 1518-20

Qui e qui la prima e la seconda parte.

Il silenzio è una reazione emotiva spontanea, ma è possibile opporre un discorso al discorso imposto dalla tecnica? L’analisi razionale della condizione antropologica. Il discorso biologico. Il discorso politico. Ma in questo modo è persa la dimensione squisitamente umanistica, la sola che davvero può illuminare un’assiologia.
In Corpo morto e corpo vivo (Transeuropa 2009) Giulio Mozzi ripete continuamente la formula: «la povera ragazza Eluana Englaro»: non lo fa quando parla del caso scientifico o del caso giuridico di Eluana Englaro: la formula entra nel testo quando al centro del testo è l’emergenza della persona dalla persona biologica e dalla persona giuridica, cioè laddove, in altri tipi di cornici e discorsi (telegiornali, social network, forum), ci si attende ormai automaticamente la strumentalizzazione affettiva nella forma dell’appropriazione dell’identità: la perdita dei cognomi, la moltiplicazione dei possessivi “mio” “mia” “nostro” “nostra”, fino alla manifestazione, nei pronomi del me e del noi, di pretese ripercussioni: «mi mancherai».1 Nella formula «la povera ragazza Eluana Englaro» non vi sono solo il nome e il cognome, che già allontanano il lettore da quell’assunzione di un’intimità indebita, ma anche un sostantivo e un aggettivo, come un distendere le braccia e le mani e le dita da parte dell’autore per porre tra sé e l’identità del soggetto la maggior distanza possibile.

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Così perfetto

Un mercante sulla Strada Reale, ai tempi del re persiano Dario

Non ci sarà mai un’altra strada come questa.
Voi non potete neanche immaginarla, perché è così lunga che non entra nelle vostre teste.
Seguo la carovana di enormi carri cigolanti.

Io sono stato ovunque. Da ragazzo, accompagnando mio padre che fumava, mi sono inerpicato in luoghi inimmaginabili. Ma da quando il Re dei Re ha compiuto la strada tutto è diverso. Sembra la traccia di una gigantesca lumaca che spiana tutto. Non c’è più bisogno di inerpicarsi. È qui il centro del mondo, un centro lungo, e chi vuole vivere deve avvicinarsi, se i soldati lo lasciano passare. Ci sono moltitudini per le quali avvicinarsi è impossibile, immagino che sia perché se lo meritano.
All’andata porto oppio, al ritorno schiavi. Ma preferisco l’oppio, perché gli schiavi sono merce infida.

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Martiri della tecnica – parte seconda:
la riduzione a cosa

Clemente Susini, Statua di giovane donna giaciente
Clemente Susini, Statua di giovane donna giaciente, 1782

Qui la prima parte.

Un discorso che tratti come una cosa quella parte di me che è una cosa non mi sembra una riduzione a cosa. Per esempio rispetto alla biologia io sono una cosa, e se un biologo nel suo discorso mi tratta come una cosa per ciò che concerne l’ambito della sua materia, io non avverto alcuna mancanza di rispetto da parte sua nei miei confronti. Quando il biologo userà il mio nome, lo userà per riferirsi non propriamente a me, alla mia identità, ma alla cosa che ha le mie caratteristiche biologiche. Diversamente, rispetto alle mie emozioni e alla mia capacità di decidere, sono una persona, che è anche una cosa, nella sua base biologica, ma non è solo una cosa.

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Martiri della tecnica – parte prima:
del non nominare

Ferruccio Mengaroni, Medusa, 1925
Ferruccio Mengaroni, Medusa, 1925

Sul caso relativo al finevita andato in onda in Italia negli anni appena trascorsi e in particolare l’anno scorso, non ho saputo trovare, per quello che rientra nelle mie capacità, alcuna alternativa al non nominare il nome della persona più di ogni altra coinvolta con il suo corpo e con la sua identità. Il nominare, in tutte le forme che mi sono venute in mente e in quasi tutte le formule di cui ho fatto esperienza, lo sento ricadere nel campo gravitazionale di un’antropologia che intuisco e che ancora non sono forse in grado di definire con precisione, ma che mi terrorizza. In tutte le forme che mi sono venute in mente e in quasi tutte le formule altrui di cui ho fatto esperienza, il nominare lo sento essere, in modo chiaro e distinto, uno strumentalizzare. Di tutte le strumentalizzazioni, quella ideologica mi sembrava e mi sembra il male minore. La strumentalizzazione che sento essere il male maggiore è quella che per ora, senza molta precisione, chiamo la strumentalizzazione emotiva, la quale avviene, mi sembra, per mezzo dell’appropriazione del nome e dell’immagine, ovvero dell’identità, e quindi, in un qualche modo, della persona.

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