Il tao di Nina e Francesco

Il tao di Nina e Francesco
Il tao di Nina e Francesco

In occasione di “Urbino e le città del libro”, Il tao di Nina e Francesco è stato pubblicato nella “Piccola libreria dei libri che si trovano solo a Urbino” in quattro volumetti diversi a cura di quattro illustratori: Elia Alaimo, Chiara Bettega, Marta Fioravanti, Alessandro Baronciani.

Fa caldissimo. Sto pedalando verso l’ultimo tratto di spiaggia; chiudo gli occhi, li riapro: vedo in bianco e nero per un istante. Arrivo in fondo alla strada, scendo dalla bici, scendo la scaletta: punto il luogo più lontano, accanto agli scogli, dove il colle e il mare si accostano e il mare è un acquario trasparente di sassi levigati. Le ciabatte affondano nella sabbia, a ogni passo di più. Oltrepasso una coppia di adolescenti che si baciano, una coppia di adulti che si tengono per mano, una coppia di anziani sulle sdraio, che si lasciano vincere dal sole, con gli occhi chiusi e le teste all’indietro. Ancora venti passi nella sabbia e mi fermo, apro lo zaino, ne tolgo l’asciugamano, lo stendo, mi levo la maglietta, mi levo le ciabatte; lascio cadere la schiena sull’asciugamano. Nel giro di una trentina di secondi il sole inizia ad assimilarmi. Lo lascerò fare per un po’, poi andrò in acqua. Per ora ascolto il ritmo dell’onda piccola sulla spiaggia; immagino le disintegrazioni di conchiglie: passarci sopra con il piede nudo, pezzi di mondi tra le dita; il minuscolo gelo dell’acqua a due dimensioni della riva; le miniature nere e rapide dei granchi di scoglio; la sabbia sotto il mare: scura, rigata, compatta. Tra poco. Ora osservo le orbite delle creature poligonali che abitano il mondo dei miei occhi chiusi: viaggiano, talvolta collidono, allora si sovrappongono e si incastrano.

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Till death do us party

Till death do us party è stato pubblicato su Argo

Madonna - True Blue

Cecilia aveva messo sul piatto il vinile di True Blue, aveva acceso il giradischi, aveva appoggiato la puntina sul bordo del disco ed era andata a sedersi al centro del divano, distendendosi sullo schienale e lasciando che le braccia si adagiassero ai lati occupando quasi tutto lo spazio, e ora fissava Ferruccio con occhi duri, dalle palpebre immobili. Ferruccio la guardava, poi volgeva la testa a destra e a sinistra, gemeva, si grattava il capo e poi passava le mani sui pantaloni all’altezza delle cosce, e di nuovo la guardava con gli occhi lucidi, implorando una spiegazione.
– Non vali niente, – disse lei, – sei un incapace totale senza cervello e pure brutto, una merda di scimpanzé, un fallimento senza speranza.
Batté una mano sul cuscino del divano.
– Io e te abbiamo chiuso. Mi fai schifo. La tua faccia mi fa schifo, il tuo corpo mi fa schifo.
Ferruccio abbassò il capo e mandò un altro gemito. Tornò in cucina, a sorvegliare la preparazione della cena. L’orologio segnava le 20.31: gli ospiti sarebbero arrivati a momenti.

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Pescibanana Lab in full effect

Perepepè

Ci siamo. Il 21 settembre inizia la seconda edizione di Perepepè.
Il Pescibanana Lab – ovvero Federica Campi e il JN di quartiere – è lieto di presentare i suoi appuntamenti:

29 settembre, ore 21.30: “Un posto piccolo”
– Esplorazioni narrative urbane di Federica Campi e Jacopo Nacci.

17 ottobre, ore 21.30: “Saturnalia”
– Sacrifici narrativi di Simone Ghelli, Vanni Santoni, Wu Ming 2.

Pescibanana Lab interverrà anche come
laboratorio di scrittura creativa (in prosa):

Federica Campi piloterà
un laboratorio aperto a tutti, mercoledì 9 ottobre, alle 16.30,
e un laboratorio per bambini dai 6 agli 11 anni, mercoledì 16 ottobre, alle 16.30;

io piloterò
un laboratorio – a offerta libera – aperto ai maggiori di 18 anni, in quattro sedute, ogni venerdì del Perepepè: 27 settembre, 4, 11, 18 ottobre, alle 16.30.

Non sono necessarie iscrizioni o prenotazioni.
Per maggiori dettagli è sufficiente scrivere a
pescibananalab[at]gmail.com.

Porpora commenta Dreadlock

Giulio Giordano, i Laureati
I Laureati visti da Giulio Giordano

Curioso come il rapporto con le forze del Male – qui interpretato principalmente dal Grottesco nel volto del comico, dall’opposizione sistemica dei Laureati, nonché da persone a lui vicine che reinterpretano il Reale e la sua faccia come faccia cosmetica – intorti in qualche modo sia Matteo che Dreadlock, incapaci di reagire in maniera convincente di fronte a queste azioni che invece che essere di violenza pura sono reazioni spesso estetiche, spesso etiche.

Qui, sulla Nottola di Minerva, Ivano Porpora prende note a margine di Dreadlock.

Lundi

Simone Weil

Perdonare. Non si può. Quando qualcuno ci ha fatto del male, si creano in noi determinate reazioni. Il desiderio della vendetta è un desiderio di equilibrio essenziale. Cercare l’equilibrio su di un altro piano. Bisogna andare da soli fino a quel limite. Là si tocca il vuoto. (Aiutati che il ciel ti aiuta…)

Tragedia di coloro che, essendosi inoltrati per amor del bene in una via dove c’è da soffrire, giungono dopo un certo tempo ai propri confini; e si degradano.

Afferrare (in ogni cosa) che c’è un limite e che non sarà possibile oltrepassarlo senza aiuto sovrannaturale (o, altrimenti, di pochissimo) e pagandolo successivamente con un abbassamento terribile.

Una persona amata che delude. Gli ho scritto. Impossibile che non mi risponda quel che ho detto a me stessa in nome suo.
Gli uomini ci debbono quel che noi immaginiamo ci daranno. Rimetter loro questo debito.
Accettare che essi siano diversi dalle creature della nostra immaginazione, vuol dire imitare la rinuncia di Dio.
Anch’io sono altra da quella che m’immagino essere. Saperlo è il perdono.

Da La pesanteur et la grace, di Simone Weil.
Traduzione di Franco Fortini.

Lupi del bosco orientale – L’outro

Il pezzo declamato in chiusura al concerto-reading con i Lupi del bosco orientale.

Stella Rossa, il valoroso compagno d’acciaio

Non sapevamo cosa fossero i Disinfestatori. Se fossero automi, o forme di vita meccanica, o droidi pilotati a distanza, o pilotati dall’interno, da uomini, o da esseri che somigliano a uomini, o da esseri che non somigliano a uomini, se venissero da un altro paese, da un altro pianeta, o se non venissero né da un altro paese né da un altro pianeta. Non sapevamo nulla. Quelli che riuscivamo a distruggere esplodevano, quelli che riuscivamo a catturare si facevano esplodere, di essi non rimanevano che frammenti di una lega metallica nera composta di tungsteno, molibdeno e ferro.
Quando il professor Skoro mi scelse per pilotare il soldato d’acciaio Stella Rossa e il mio addestramento cominciò, erano trascorsi tre anni dalla morte del Maresciallo Tito e due anni dal pomeriggio di febbraio durante il quale i Disinfestatori erano scesi dal cielo sulle città dell’Europa e avevano aperto le bocche di fuoco dei loro lanciafiamme a petrolio; il pomeriggio di febbraio in cui avevo visto Spalato trasfigurarsi in un panico di creature incendiate, mentre, contro le nubi striate di viola, si fondeva e colava la gigantografia del Maresciallo.

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Lupi del bosco orientale – L’intro

Lupi el bosco orientale – Intro
Il pezzo letto in apertura al concerto-reading con i Lupi del bosco orientale.

Quando scoprimmo la Terra – così chiamavano quel pianeta i suoi abitanti – la sua civiltà era crollata da un paio di secoli, e il suo popolo quasi estinto. I sopravvissuti erano per lo più ridotti allo stato selvatico. Su una montagna dell’emisfero australe conoscemmo un uomo, ci disse di essere un sacerdote e che riteneva sua missione conservare la memoria di ciò che il popolo della Terra era stato, e di come e perché fosse giunto all’autodistruzione.
Ci mostrò la sua biblioteca: milioni di file di testo.
Gli domandammo cosa contenessero. Ci rispose che erano metafore.
Voi sapete cos’è una metafora? ci domandò.
Lo sapevamo, e volevamo sapere perché conservasse solo metafore: non ci sono libri di scienza, qui? domandammo, storie vere? Manuali?
No, rispose, quelli non ci sono mai mancati. A dire il vero nemmeno queste, aggiunse indicando le cartelle sulla parete-schermo, solo che a un certo punto nessuno è stato più in grado di leggerle.
Gli domandammo se una qualche epidemia cognitiva avesse colpito il suo popolo rendendolo incapace di esercitare la lettura.
Qualcosa del genere, rispose. È successo che abbiamo cominciato a non capire più, cosa fosse una metafora; romanzi di fantascienza, trattati di teologia, poemi: tutto ciò che non poteva essere identificato con uno stato di cose materiale, visibile e documentabile là fuori, venne declassato a inutilità e danno. Avevamo una storia bellissima, pensate, di un uomo che percorreva l’inferno, il purgatorio e il paradiso, possedeva un valore analogico notevole; ebbene cercarono invano sulla Terra l’inferno, il purgatorio e il paradiso, senza trovarli, e invece che comprendere meglio quell’opera, non la compresero più, e divennero come bruti. E così l’Inferno lo creò questo popolo che riduceva il reale al controllo del territorio.
E dunque, domandammo, cosa accadde allora?

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