Desiderio, o intelletto. O.
Schelling, che è panteista, sembra quasi dire che Dio viene alla luce nel venire alla luce progressivo della natura, e che egli perviene alla coscienza di sé attraverso quell’evoluzione della natura che è l’uomo. Alla base di questo dispiegarsi Schelling pone da un lato il Fondamento oscuro, che non è esistente, ma è proprio il fondamento stesso dell’esistenza, e che per Schelling è puro desiderio cieco; dall’altro lato Schelling pone il Logos, quel Logos ontologico che è la forza ordinatrice, il Logos come grammatica della natura, che illumina il Fondamento oscuro e man mano che lo illumina trae alla luce, e quindi le ordina secondo le sue regole, le cose che esistono e i loro istanti; e man mano che lo illumina il Fondamento si ritira in sé stesso. La dialettica tra Fondamento e Logos (e la Terza Forza che da essi procede e alla quale penserò un’altra volta) è il divenire di Dio, è la vita stessa di Dio.
C’è qualcosa di meraviglioso nella concezione schellinghiana, e probabilmente sta nella sua capacità di dare soddisfazione sia al nostro sentimento di trascendenza sia alla nostra esigenza intellettuale di una visione scientifica del mondo. Ma rimane in qualche modo una narrazione ontologica che forse crolla proprio laddove ci si aspetta non una spiegazione del venire al mondo del mondo, ma l’insegnamento di uno stile di vita: è un Logos nel senso ontologico di grammatica naturale, quello di Schelling. Nient’altro, almeno per ora. Almeno finché non sorge la Terza Forza. Ma quello che mi interessa qui sono le concezioni della Prima e della Seconda.
Per Schelling l’essere originario, il Padre, inteso come Fondamento dell’esistente, è desiderio. Un desiderio cieco e oscuro che poi, evolvendo se stesso, si esprime in un Logos che è conoscenza e organizzazione razionale.
Altri invertono i ruoli, prendendo Giovanni molto sul serio, come mi pare faccia Eckhart: la prima essenza è intelletto, è il Logos, perché «in principio era il Verbo».
Fondamento oscuro e Logos: desiderio e intelletto. Pressoché tutta la corrente neoplatonica, corrente non solo nel senso di movimento di pensiero ma anche di movimento ascensionale verso Dio, è mossa o dal desiderio o dall’intelletto. Entrambi rappresentano, mi pare evidente, solo una possibile configurazione maschile, che, se rivela una psicologia – che non mi interessa in quanto carattere dell’autore, bensì in quanto oggetto della conoscenza di sé di chi cerca di capire l’essere attraverso la comprensione di sé – e un metodo che da essa scaturisce, non può che rivelare una psicologia maschile, e un metodo che, di conseguenza, non può che andare a incocciare con il Padre nel suo aspetto di Padre, e non incontra la Madre: il desiderio di risalire incontra solo il desiderio, e l’intelletto che tenta di ricostruire incontra solo l’intelletto. I valori come gratuità del darsi del mondo sembrano esclusi da una concezione del genere che anela, vuole capire, è sempre in affanno e non si perdona nulla.
Mi sembra precisamente l’errore del razionalismo totalizzante, quello denunciato dai Valentiniani con il racconto della caduta di Sapienza che ha voluto partorire da sola.
In questa prospettiva le facoltà vengono ridotte a due, e poi ogni pensatore attribuisce un ruolo fondamentale – e quindi di fondamento e quindi di essere originario – a una di queste due facoltà, rivelando soprattutto in esse la propria psicologia e anche il proprio metodo di ricerca. Gli ‘erotici’ credono che tutto il cosmo sia mosso dal desiderio del Bene perfetto, che è Dio, in una concezione erotica che probabilmente da Platone arriva fino a Freud. Gli ‘logici’ hanno un cosmo un po’ più fermo, dove Dio è somma ragione e conoscenza, mentre noi di quel piano possiamo partecipare ricostruendo un microcosmo nella nostra testa per mezzo di una ragione non meno esatta ma solo più limitata nel tempo.
In entrambe le concezioni è sostanzialmente un desiderio di controllo, un eros di sapere, a manifestarsi, e infatti le due concezioni, malgrado qualche dissidio, si sposano bene l’una con l’altra. Tuttavia l’unico risultato cui possono pervenire è la conoscenza della natura, regolata dal Logos strettamente ontologico; difficilmente da queste basi è possibile accedere all’insegnamento cristiano che rappresenta la vera rivoluzione antropologica, il sapersi rapportare al Padre, e di fatto la rivoluzione cristiana è esclusa: queste determinazioni dell’Essere sembrano essere passate indenni attraverso il messaggio di Gesù, salvo che il concetto di desiderio si è complicato ed evoluto in quello di volontà, estraneo ai Greci, ma che rimane pur sempre un concetto erotico, che riguarda la parte pulsionale dell’anima e quindi che tratta l’oggetto del desiderio come una cosa capace di soddisfare i propri bisogni e non come qualcosa che abbia in sé valore. Siamo, pare, molto lontani dal concepire un Dio d’amore, intendendo amore qui come Agape in greco, o Caritas in latino (la terza delle virtù teologali) e non appunto come Eros.