Esco dalla fotocomposizione, chiudo la porta di vetro e dietro di essa vedo la tipa della fotocomposizione che mi fa ampi gesti. Perché, mi domando, la tipa mi sta facendo ampi gesti?
Seguo i gesti e vedo, oltre il vetro della porta, una borsa nera appoggiata alla parete della fotocomposizione. Perché mi indica quella borsa nera, identica alla mia borsa nera, al di là della porta?
È la mia borsa. Riapro la porta. Ringrazio la tipa. Riprendo la borsa.
Vado alle poste, devo fare una raccomandata. Prendo il numero per lo sportello. Mi metto al trespolo dei moduli e incredibilmente c’è il modulo per una raccomandata (non c’è mai). Al trespolo siamo io e un tizio intento a compilare i suoi moduli. Compilo il modulo e proprio quando ho finito il tizio mi fa:
– Ma quello era il mio modulo!
– Oh, mi scusi, pensavo fosse qui.
– Era qui: infatti era il mio modulo.
– Volevo dire: pensavo fosse già qui, offerto all’utente delle poste.
– No, era mio; ovvero: lo avevo richiesto affinché lo divenisse.
– Mi scusi ancora, gliene prendo un altro.
– No. Lasci stare.
Va via. È quasi ora che scatti il mio numero. Mentre aspetto guardo fuori oltre i vetri delle poste. C’è un piccione. Zampetta con l’aria imburnita, barcolla, non sembra del tutto sveglio. Mi somiglia: entrambi stiamo rimanendo da qualche parte dove non è il caso di rimanere.