[“Eppure sembrava che fosse finita” di Enrico Piscitelli è il terzo racconto della raccolta Lo zelo e la guerra aperta, libro scritto a sei mani dalla Cooperativa di narrazione popolare. Il primo racconto – Inadatto al volo di Ilaria Giannini – lo trovate su Milanoromatrani. Il secondo racconto – Radici di Jacopo Nacci – su Tracce nella rete. Da questa sera Lo zelo e la guerra aperta sarà disponibile gratuitamente in formato epub e pdf sul blog della Cooperativa di narrazione popolare]
Eppure sembrava che fosse finita
di Enrico Piscitelli
È finita. È finita da tanto. È finita da così tanto tempo che Michela son mesi che si chiede se non sarebbe il caso di farlo sapere anche a Luca. Specie mentre lo abbraccia, e lui si lamenta del lavoro e delle cazzate di sua madre, perché quel cretino di Luca vive ancora con sua madre e lei lo odia, lo odia perché anche lei vive ancora con sua madre e con suo padre, a casa, nella stessa stanza di quando era bambina. E odia Luca perché è sceso così in basso, ha trasformato il suo mondo, il loro mondo, in un banale conflitto col Mondo intero, roba che manco i tizi della rivista marxista-leninista dell’università erano così banali. E supponenti allo stesso tempo.
«Oggi ho smesso di fumare per mezz’ora», dice Luca, e Michela proprio non ne può più di quell’ironia intelligente, di quel prendersi sul serio, del sorrisino che c’ha, lui, stampato sulla bocca, per quella ironica e intelligente battuta, che nessuno capisce, e che Michela capisce, ma solo perché lui l’ha educata a quella sua ironica, inutile, intelligenza.
E allora glielo dice, fra i denti, e non vedeva l’ora, in fondo:
«Mi sono rotta il cazzo», dice, fra i denti, «della tua intelligente ironia. E mi sono rotta il cazzo delle tue storie, di tua madre, del tuo lavoro a metà, del tuo sentirti superiore a tutto».
Luca non è che sia del tutto convinto di quanto sta accadendo, di quanto Michela sta dicendo.
«Come?», dice, «di cosa parli?», dice, ancora.
«Dico che della tua presunta arguzia, io, mi sono rotta i coglioni. Dico che non ce la faccio, più, a stare con uno come te, che si sente eccezionale, e non è altro che l’ennesima testa di cazzo che si lamenta del Mondo, delle cose che non vanno, del Sistema».
«Ma è il Sistema, che ci mette contro…», e non sa bene cosa sta dicendo, Luca, e non ha più il sorrisino ironico e intelligente, stampato in faccia, no.
«Ho scopato con un altro», dice lei, ora quasi a bassa voce.
Luca ripete, automaticamente:
«Hai scopato con un altro», e si mette le mani sulle orecchie, ma non per tapparle, dev’essere una cosa non cosciente, perché ci sente lo stesso, benissimo.
«Ho scopato con un altro. È semplicemente uno che me l’ha chiesto, che mi ha detto: dovremmo scopare, noi due. E io ho detto: sì, scopiamo».
E “io ho detto: sì, scopiamo”, Luca l’ha sentito benissimo. “Dovremmo scopare, noi due”, pure. Ma, ancora, Luca, è convinto che sia tutto uno scherzo. Ne è convinto sul serio, uno scherzo di pessimo gusto. È già successo: una volta lei gli disse che stava per morire. Erano al mare, era ottobre, c’erano andati da soli, solo loro due, e lei gli disse proprio: sto per morire. Stavano insieme da quattro mesi. Luca sentiva davvero di amarla. Fu uno scherzo. Uno scherzo brutto, pensa Luca. Uno scherzo di merda. Lei disse: sto per morire, non te l’ho detto ma sono malata, ho pochi mesi. Mi amerai lo stesso? E Luca disse: sì. Immediatamente, lo disse. E poi, sì, era solo uno scherzo di merda, ma lui pianse.
Questo pensa Luca. In realtà non pensa solo questo, ma anche: la lalalala lala la lalalaalala. E poi pensa: sto pensando la lala lalalla lalala, come nei fumetti, come nei film, non è possibile.
«Sai che c’è? Mi è piaciuto. E allora mi sono fatta scopare di nuovo, e di nuovo, e di nuovo. Scopiamo da un sacco di tempo, ormai».
Lalalaalalaaallaalala e la. E un là con l’accento.
Una volta anche sua madre ha fatto uno scherzo. Se ne andò. Per giorni interi. Il padre di Luca lo ripeteva di continuo: tua madre ci sta facendo uno scherzo. È solo uno scherzo. Uno scherzo.
Ora le mani di Luca si sono spostate, non coprono più le orecchie, ma stringono le braccia di Michela – che sono attaccate al corpo di Michela, aderiscono perfettamente ai fianchi e alle cosce di Michela – e Luca la sbatte piano, Michela, ma con vigore. È buffo, perché lei, ora, sembra una bambola. Grande, a dimensioni reali.
Quella volta, la volta dello scherzo di sua madre, quando lo scherzo finì, anche suo padre strinse sua madre. Le fece male. Luca aveva otto anni, ma ora, mentre stringe Michela ricorda benissimo la faccia di suo padre, e sua madre che finisce contro un muro, e poi lui sopra di lei, che la riempie di calci. Uno scherzo di merda, fece, sua madre. E suo padre se ne andò, e Luca, da allora, non l’ha mai più visto.
«Lasciami!», urla Michela, mentre le mani di Luca stringono più forte di prima.
«Lasciami, mi fai male», e a Luca sembra di sentire sua madre, prima che suo padre la prendesse a calci nella pancia e a pugni in faccia. E a Luca sembra di essere suo padre, che sta per prendere sua madre a calci nella pancia e a pugni in faccia.
«È uno scherzo», urla, «dimmelo, che è uno scherzo», e la sbatte per l’ultima volta, poi la molla, cade per terra, si ritrova seduto, con le mani davanti agli occhi, per non vedere, per non assistere allo scempio di sua madre piena di sangue, in faccia, il sangue che le esce dalla bocca e dal naso, e per non farsi vedere, mentre piange, come quella volta che Michela gli disse che stava per morire.
Lui è a terra, seduto, con le mani che gli coprono la faccia, e lei è rimasta immobile, ha ancora le braccia lungo i fianchi, è come addormentata, guarda fisso davanti a sé, dove prima c’era la faccia di Luca. Michela non pensa nulla, si sta solo rendendo conto che non avrebbe dovuto farlo. Non avrebbe dovuto dirglielo. Sa che c’è una sola cosa da fare, e la fa.
Si siede, accanto a Luca, gli dice:
«È uno scherzo. Era solo uno scherzo», forza un sorriso e lo abbraccia, stretto.