Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona e la decima)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Nagai, di nuovo. Sembra un altro mondo, eppure Zambot è di nuovo un prodotto della possessione di Devilman sulla progenie di Mazinga Z: al fondo troviamo ancora ciò che torna dal passato abissale e il problema della tecnica. Ma Yoshiyuki Tomino innesca una reazione tra i due elementi: fa della tecnica il mezzo di fissazione del presente da parte del passato (e di reificazione del soggetto, inchiodato e quindi deanimato), e lo fa in modo immediatamente politico, sia nel senso di una riflessione sul rapporto tra potere, tecnica, sadismo e oggettivazione, sia nel senso di un ritorno prepotente della dimensione storico-politica legata alla Seconda guerra mondiale.
La dimensione storico-politica. Zambot lavora sulle mescolanze per neutralizzare le identità, o giocarsele di volta in volta a seconda della situazione: Butcher è un nazista quando rinchiude i terrestri nei campi e impianta loro le bombe, è un americano quando suona con il poster di Elvis alle spalle, è un samurai quando si presenta di fronte a Zambot armato di katana e dichiarandosi già da tempo preparato a morire. La stessa triplicità si riflette nel suo gesto più feroce: la creazione delle bombe umane, e non si può non rimanere impressionati dalla potentissima capacità di sintesi e rielaborazione simbolica di Tomino: controllo nazista dei corpi; allegoria del trauma atomico: dentro ognuno di noi è stata messa una bomba (e ancora: chi ha una bomba dentro può esplodere da un momento all’altro); caricatura grottesca della condizione del kamikaze, pervertita in dispositivo forzato, e dunque sollevando lo stesso problema del rinvio ontologico di responsabilità posto dai Gaizok, ma innestato direttamente nel soggetto: l’incapacità di comprendere se sono io a determinarmi o qualcos’altro, e sia sul piano ideologico sia su quello della macchina biologica.
A Tomino interessa il massacro più che il massacratore storico, il razzismo più che il dare del razzista a qualcuno in particolare. Non potrebbe essere altrimenti: Zambot è un grido contro ogni forma di inquadramento, di fissazione, di collocamento e manipolazione dell’altro; marchiare un nemico è quanto di più distante dal suo intento, e rispedisce al mittente ogni tentativo di annessione revanchista con una mossa di rifiuto frontale: i suoi eroi sono odiati dai giapponesi e combattono sotto l’insegna della luna crescente.
Ragione e impersonalità. I demoni di Devilman avevano delle ragioni, così gli Yamatai, i Vegani, i dinosauri di Getter: conquistare la Terra. I Gaizok no, il discorso circolare Gaizok non mostra ragioni e il suo esito non è la conquista ma la distruzione. Il discorso Gaizok non ha ragioni perché pone se stesso come la ragione; privo di mire materiali, impersonale perché vuoto e vuoto perché impersonale, in realtà occulta la sua ideologia, e questo, combinato al fatto che declama e afferma il potere Gaizok sull’universo intero, gli permette di ammantarsi di universalismo. Abbiamo una combinazione di due aspetti della tecnica: la tecnica che giudica secondo i suoi standard e la tecnica che ha il potere di annientare chi non sta ai suoi standard. È la tecnica nel discorso Gaizok a simulare la neutralità, la logica ferrea, la ragione, l’universalità; distrae, mentre occulta il godimento: il kitsch idealistico di CBN8, il sadismo di Butcher. Tomino sa benissimo che il male deve presentarsi come una verità, ovvero deve simulare i caratteri della verità: la logica, l’universalità; e porta alle estreme conseguenze il discorso sulla tecnica che attraversa l’animazione giapponese: ancora lo scontro tra il super robot mediatore e i mostri meccanici, certo, da tradizione, ma soprattutto la tecnica come disporre-di, controllo, trasformazione dei soggetti in oggetti, dei corpi in ordigni; fino a popolare l’abisso di soli avversari artificiali.
Gaizok: di che cosa è il nome. La pretesa ragione universale è talmente cieca da non rendersi quasi nemmeno conto che (a) nomina se stessa e i suoi imputati come comunità etniche, blindate, inchiodate a un tempo e a un pianeta: Gaizok, Terrestri; e che (2) stabilisce la moralità su base razziale – ennesimo assunto circolare: i Gaizok sterminano e sono buoni; i Biariani erano pacifici e meritavano lo sterminio; il giudizio morale non si basa sull’azione ma su un’equivalenza tra moralità e provenienza.
Gaizok è un nome del tecnopotere. I Gaizok sono la razza dominante perché sono quelli che dispongono della maggiore potenza di fuoco nel loro raggio d’azione. Tutti i loro assunti si basano semplicemente su una triangolazione di moralità-razza-tecnica che rimandano l’una all’altra, e ognuna di esse rimanda al passato, che torna e qui inchioda, immortala, fissa. La circolarità del discorso Gaizok non è solo vacuità di ragioni: è in se stessa ritornello – Chi ve lo ha chiesto? Ti ringrazieranno? – il ritornello prende possesso del corpo, lo costringe alla danza delle macchine.
Gaizok come meritocrazia. Il discorso Gaizok appare logico e universale perché è meritocratico: non tiene conto delle cause ambientali, del divenire, del livello di evoluzione dei terrestri come fatto storico e stabilisce lo standard presunto imparziale appiattendo la moralità sulla combinazione razza-capacità tecnica. Si basa su assunti sui quali molti terrestri potrebbero concordare: la malvagità che disturba l’armonia del cosmo, la necessità di estirparla. Tutto così apparentemente neutrale e ragionevole.
Nello scontro finale, prima fase della spoliazione dell’abisso, Butcher si presenta al cospetto di Zambot brandendo una katana, che fino all’episodio precedente aveva l’aspetto di una scimitarra. Non c’è dubbio che Butcher abbia eseguito gli ordini, e ora dichiara con la massima serietà di essere preparato a morire già da molto tempo. L’essenza del Bushido, recita l’Hagakure, è prepararsi alla morte, mattina e sera, in ogni momento della giornata; e ancora: quando un samurai è sempre pronto a morire padroneggia la via. In superficie il tecnopotere si presenta nelle vesti di un’etica.
La malvagità che disturba l’armonia del cosmo, la necessità di estirparla. Ma cosa intendiamo qui con malvagità? E con armonia del cosmo? E perché mai questo dovrebbe condurre alla necessità di estirpare non le cause della presunta malvagità ma gli esseri che in una determinata fase della loro storia ne sono portatori? Tra loro vi è odio, menzogna, egoismo; si uccidono! stuprano! dice CBN8, e non lo si può smentire. Tomino compie un’operazione semplice e intelligente: prende un discorso che milioni di persone usano ogni giorno contro alcuni fra i loro simili e lo applica a quelle stesse persone, lo spettatore riconosce il carattere di assurdità degli assunti Gaizok solo perché lo investono in quanto terrestre: l’ideologia borbottata dell’igiene del mondo si allarga a ideologia gridata dell’igiene del cosmo e tutto stranamente diventa orrendo e ingiusto.
Il marchio. Ancora una volta una chiave di accesso sono le bombe umane: la tecnica che nel passato recente ci ha marchiati – le bombe umane hanno una stella viola sulla schiena: dove non possono vederla – diventa chiave interpretativa dell’essenza stessa della tecnica del potere come metro di valutazione e insieme imposizione del metro di valutazione che inchioda il soggetto al presente come se il passato fosse un luogo di eternità e non di evoluzione storica, come se tutti fossero già da sempre quelli che sono e non potessero diventare altro da ciò che sono, e per confermare che non potranno essere altro vengono inchiodati al presente: vengono uccisi.
Nel prossimo post chiuderemo il discorso su Zambot 3 con un occhio alla storia di Kappei.