Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta e la quinta)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Due gradi dell’essere. È vero che, come spesso si dice, negli anime super-robotici la separazione e l’opposizione tra bene e male sono piuttosto nette, ma non si comprende appieno il significato di questa divaricazione finché non la si guarda nel complesso della rappresentazione: la separazione e l’opposizione sono dimensionali, sfruttano la metafora del luogo oscuro e alieno, non terrestre: il dislocamento dei cattivi nello spazio o nelle profondità della Terra.
Si tratta di un dualismo tra due gradi dell’essere, incommensurabile e non speculare, non orizzontale quanto verticale, con la differenza, rispetto alla tradizione platonica, che qui il regno delle idee non è il regno del bene ma il regno dei mostri che ci vomita mostri addosso; c’è un mondo con la vita sulla Terra, le democrazie e l’Onu, il Giappone del dopoguerra, la distruzione, la fame e il contendersi il cibo con i cani fra le macerie, gli amori e le amicizie regolari; e c’è un regno delle idee e dei mostri, un regno esiodeo di rapporti fra simboli-concetto, nelle cui dinamiche sono radicate le cause di ciò che di male accade al primo livello. Gli eroi degli anime robotici classici scoprono di essere nati e di vivere sul limite del varco tra un mondo realistico e minimale e un mondo onirico e barocco.
Da Nagai ai buchi neri. È sulla prospettiva nagaiana che vengono a incardinarsi i nuovi temi ricorrenti, ereditati anche da serie non robotiche (penso a Babil Junior): il super robot è il guardiano del varco; l’eroe che possiede in sé una componente significante dell’universo dell’avversario si assesta come orfano extraterrestre, nella misura in cui l’avversario va a assestandosi come invasore extraterrestre. A queste strutture portanti si aggiungono il tema contestuale dell’irruzione degli eroi oltre il varco nell’ultima puntata, e il tema contestuale del doppio, dell’androide come copia falsa dell’umano.
L’orfano. Nell’animazione giapponese è ovunque, ma nel mecha classico, dati i presupposti, assume caratteristiche assolutamente peculiari: a cominciare dal rapporto con il padre della tecnica, lo scienziato della base o il progettista del robot, con il quale può intrattenere una relazione filiale ufficiale – nel caso di adozione – o velata, relazione che spesso contempla insieme rispetto e conflitto; per finire con il rapporto con l’avversario, un avversario che spesso è la causa della scomparsa dei genitori biologici.
Orfani extraterrestri sono Daisuke Fleed, cioè Actarus; Takeshi di Ufo Diapolon; Tempei/Yanosh di Astrorobot; Kento di Daltanious; Marin di Baldios. In Tomino questa condizione si divide in due tra serie lunare e serie solare: Kappei di Zambot è alieno; Banjo di Daitarn è orfano (e comunque viene da Marte come colonia terrestre).
L’oscurità sui propri natali o la perdita precoce del genitore – o la sua dislocazione nel tecno-mitico: ciò che rimane del padre di Hiroshi Shiba (Jeeg) è un computer senziente che trasmette il suo volto sul monitor – aprono una voragine nella quale facilmente si insedia l’abisso psico-mitico. Ora, se con Nagai l’eroe è contagiato da una componente significante dell’universo organico dell’avversario, e se l’universo dell’avversario è la proiezione dell’universo interiore nella forma di un passato già da sempre eternamente passato e quindi sempre ritornante, e se il passato è rappresentato come ciò che è alieno, altro dal mondo della superficie terrestre o direttamente extra-terrestre, allora l’orfano sarà un orfano alieno o con almeno un’ascendenza aliena, cioè avrà un legame di coinvolgimento diretto e radicale con il mondo alieno, cioè con il suo mondo sommerso che costantemente torna.
Ciò dà vita a sua volta a una macro-articolazione tutta interna all’universo psico-teologico o psico-mitico: quella fra alieni aggressori e alieni aggrediti, nel mitico conflitto-già-stato, nel passato dello spazio mistico interstellare.
L’irruzione di là. La tradizione dell’ultima puntata come irruzione nell’altro mondo, rappresentata nell’attacco definitivo alla base nemica – cioè sono gli eroi che partono per il viaggio nel mondo al di là del varco – comincia già da Mazinga Z e diviene un classico. L’articolazione dei momenti finali della storia può avvenire in diversi modi a seconda della configurazione dell’altro mondo, per esempio può essere composta da una o due tappe: una sul pianeta di provenienza dell’eroe e una sul pianeta aggressore.
Rovesciamenti nell’abisso. In certi casi molto interessanti l’aggressore tenta di trapiantarsi di qua del varco perché perde il controllo del proprio pianeta, per motivi politici o ambientali (un golpe, una catastrofe ecologica, una ribellione), e si ritrova in una terra di nessuno spaziale dalla quale può solo andare a parare sulla Terra. Accade per esempio in Grendizer/Goldrake: nel finale, in seguito a una catastrofe radioattiva, ai Vegani è rimasta la sola base sulla faccia nascosta della Luna, luogo dal quale Vega attacca la Terra fin dall’inizio della serie.
Che sia la Luna il luogo – vicino, roteante, ossessivo, asfissiante – del passato che continua a tornare, e il luogo sul quale si dovrà andare a combattere l’ultima battaglia, non mi pare cosa di poco conto in una psico-mitologia dell’abisso. E no: alla fine Daisuke/Actarus non distruggerà la base lunare, che invece esploderà per dissidi interni alla gerarchia di Vega: a Re Vega non rimane che approdare sulla Terra, lasciar irrompere l’abisso nel reale; e quando anche la sua nave sarà irreparabilmente danneggiata in seguito allo scontro con gli eroi nello spazio sublunare, e le possibilità di salvezza e conquista gli saranno negate, deciderà di schiantarsi sulla Terra inondandola di radiazioni vegatron: gli ultimi due episodi di Grendizer/Goldrake vivono di un geniale intreccio tra psico-teologia e riferimenti storici traumatici, trasfigurando così l’accadere storico in cosmogonia.
La distruzione della base lunare è la conseguenza di dissidi interni alla gerarchia di Vega, si è detto. Nell’ultimo episodio, Lady Gandal, la moglie del comandante Gandal che vive nel suo stesso corpo, prende il sopravvento su Gandal, fedelissimo a Re Vega, offre ai terrestri un’alleanza e si reca da Re Vega con una pistola in pugno per ucciderlo. Re Vega, schiacciato in un angolo, le promette la carica di comandante supremo se lo risparmierà. Lady Gandal ha un istante di esitazione: è allora che la coscienza di Gandal si sveglia, occupa metà faccia, metà corpo, e riesce a rivolgere la pistola contro l’altra metà, e a uccidere Lady Gandal.
Nel prossimo post daremo uno sguardo al robot come mediatore dimensionale.