Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona, la decima, l’undicesima, la dodicesima, la tredicesima, la quattordicesima e la quindicesima)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Specchi. Il penultimo episodio di Daitarn 3, il 39, quello con il comandante meganoide mutaforma che già richiama un’idea di non-identità a sé, insiste sul concetto di rovesciamento: prospettive innaturali, automobili che volano e uccelli che camminano, il comandante meganoide sul Daitarn e Banjo sulla nave meganoide, ed è anche una delle puntate in cui si ripropone più platealmente l’interrogativo sulla reale natura di Banjo. Ma ancora più esplicito in questo senso appare l’episodio 13: Don Huan, alto gerarca meganoide illustra a Koros e Zauser il suo piano per sconfiggere Daitarn mediante delle illusioni, e per farlo pone uno specchio di fronte all’altro, e poi in mezzo un dito: l’oggetto tra due specchi si moltiplica, ma doppio specchio significa anche rovesciamento del rovesciamento, e il rovesciamento del rovesciamento è l’originale, ed è interessante che in questo episodio lo scopo ultimo di Don Huan sia conquistare la Terra e da lì attaccare Koros.
Perseguitare l’abisso. Come si è visto nel post precedente, il particolare modo daitarniano del realismo, letto contestualmente al mecha classico, ha l’effetto di spostare l’abisso nel quotidiano. Ma Daitarn, nel suo continuo rovesciare, permette anche un’altra lettura: nel finale l’aggressività meganoide, per quanto agita, a livello emotivo si dissipa, quasi si estingue, mentre Banjo appare più spietato che mai: l’abisso vorrebbe essere lasciato in pace, se ne avesse i mezzi sarebbe disposto a ritirarsi, e Tomino trasforma l’eroe da colui che combatte un proprio abisso, abisso che ha effetti devastanti sulle persone, a colui che combatte un proprio abisso e così facendo ottiene effetti devastanti sulle persone.
L’abisso allo specchio. E la persecuzione dell’abisso non è l’unico risultato: accogliendo la versione di Koros – senza con ciò santificare i meganoidi, i quali comunque rapiscono i terrestri per trasformarli – Banjo è l’abisso di Koros (e Zauser il padre della tecnica): Banjo continuamente torna dal passato umano di Koros per impedire il salto evolutivo, e infatti nell’ultimo episodio abbiamo una doppia e speculare irruzione oltre il varco: è Koros ad avvicinare Marte all’orbita terrestre, e solo a quel punto Banjo e i suoi decidono di partire per sferrare un attacco contro Marte.
Un finale bellissimo. Per trentanove episodi Banjo ha incontrato sul suo cammino decine di meganoidi dai più svariati sentimenti, spesso bassi, a volte elevati, e ha continuato a ripetere e a ripetersi che i meganoidi non sono umani, non hanno cuore. Ora si trova davanti a Koros e dice:
– Quello che provavi per Don Zauser ti ha trasformata in una meganoide cancellando dal tuo cuore ogni altro sentimento che non fosse la fedeltà assoluta ai suoi principi.
– Sì, l’ho fatto per Don Zauser: amarlo e seguirlo è tutta la mia vita, – risponde lei.
Si noti che Banjo accorda capacità di amare all’umana e fedeltà meccanica alla meganoide. Per Koros è tutto molto più semplice: ama, segue. È difficile dire se ciò è umano o meganoide, cosa ne sappiamo.
Intanto Banjo si è spinto oltre la contraddizione eppure è come se ancora non riuscisse a vederla, sente solo la furia e getta la maschera:
– Voi mi apparite con il fantasma di mio padre sulle vostre spalle: per questo io vi ucciderò.
Koros chiede aiuto a Zauser e Zauser si sveglia, trova Koros ferita ed è tutto quello che deve sapere: aggredisce Banjo, di fronte alla sua resistenza fisica gli chiede se sia forse un meganoide, e scopre che è il figlio di Sozo Haran:
– Ma eri solo un bambino l’ultima volta che ti ho visto. Che cosa ho fatto per tutto questo tempo?
– Sei stato manovrato da Koros, come un burattino.
– Ora capisco, – fa Zauser, e poi dice cosa ha capito, l’unica cosa che vede, che gli interessa, che può concepire, – tu, Banjo: sei stato tu, sei stato tu a causare tutte quelle sofferenze a Koros.
Umano o meganoide? Ma cosa vuol dire? Cos’è una macchina, cos’è una macchina biologica umana, cos’è l’amore e cosa ne sa Banjo? Zauser si fida di Koros, o comunque le parole di Banjo per lui significano nulla di fronte al fatto che Banjo ha fatto soffrire Koros, e questa è la sua unica spinta.
Zauser attacca Banjo, che se la vede brutta e durante l’aggressione sente la voce di suo padre dirgli che lo spirito umano è più forte; ma reagisce male: risponde che ce la farà da solo, che non ha bisogno dei suoi consigli, e scatena l’attacco solare – specularmente – nella parte bassa della fronte di Zauser, nel luogo della concentrazione e dello spirito, cancellando così ciò che non può ammettere che esista. Poi guarda Koros spirare, protesa verso Zauser, e forse per la prima volta ha qualcosa che assomiglia a un’illuminazione: Che cosa ho fatto? si domanda. E un istante dopo l’esplosione riporta Marte nella sua orbita.
Un pessimo finale per Banjo. La guerra sotto le insegne della luna era terrificante, ma ne nasceva la speranza; la guerra sotto l’insegna del sole è stata una divertente scampagnata, ma si conclude nel conflitto interiore, nella contrazione irrisolta; Kappei perdeva la luna e ascoltava ammutolito il discorso Gaizok, Banjo piomba su Marte, non ascolta, distrugge, tutto ciò che dice esprime odio e ripugnanza, spara a Koros, con l’attacco solare infine vince Zauser, cioè uccide un vecchio cyborg appena uscito dal coma, alienato in un mondo suo di cui fa parte solo la donna che ama e che si è presa cura del suo sonno fino a quel momento, accettando di captare di lui solo le onde cerebrali.
Koros e Zauser appaiono soli e indifesi, due falliti a cui rimarrebbe soltanto l’amore su un pianeta triste e invivibile o l’esilio nello spazio extraterrestre, due malinconici già condannati, che trasmettono una reciproca fedeltà e un dolore la cui dimensione sfugge completamente al Banjo che lo spettatore ha imparato a conoscere, e mai un eroe dei mecha era uscito così male dal suo finale.
Nel prossimo post: Daltanious di Tadao Nagahama e Saburo Yatsude.