Pubblico, in una serie di post, l’intervento al ;Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda e la terza)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Troppo umani. Torniamo dunque alla Mazinsaga. Quando il livello della guerra si alza, cioè quando Hell è sconfitto e i Micenei deviati riaffiorano dalla terra, Mazinga Z non è più competitivo: è il momento del potente Grande Mazinga, che rispetto allo Z ha i tratti demoniaci accentuati: spigoloso, puntuto, ha le spade, ha il fulmine. Anche la greca Afrodite è sostituita dalla sua versione romana: Venus.
Il Grande Mazinga e Venus sono veri e propri demoni della tecnica, per questo hanno bisogno di ghiandole pineali più umane: Tetsuya è più sofferente, più duro, più fragile e più maturo di Koji: è un orfano che non ha mai conosciuto i suoi genitori biologici, di fatto comprato dal dottor Kenzo Kabuto e sottoposto a una disciplina devastante volta a trasformarlo nel pilota del Grande Mazinga; Tetsuya è uno a cui è stata negata una vita ma a cui è stato dato un ruolo da sostenere, e nell’oscillazione tra l’accettare e il non accettare questa morte già da sempre avvenuta sta la fonte della sua rabbia, ma anche della sua generosità e del suo coraggio. Qualcosa di simile, rispetto a Sayaka, vale per Jun, la meticcia afro-giapponese, complessata, terrorizzata dal razzismo, ritratta mentre prende atto della propria ineluttabile diversità. Anche la sensualità, in Tetsuya e Jun, appare più accentuata rispetto a Koji e Sayaka. La condizione adottiva di Tetsuya e Jun è ambigua, sconfina nella schiavitù, si gioca sulla loro dipendenza affettiva e sul loro bisogno di riconoscimento: sono figli nella misura in cui sono disposti a combattere per un padre sfruttatore, e l’assenza di una seconda figura genitoriale acuisce il senso di implacabilità della situazione. Tetsuya e Jun sono due soggetti bollenti, due animali da combattimento che si dibattono nel bipolarismo tra disciplina e natura selvaggia.
Solitudine. E sono due sradicati, anche piuttosto estranei e isolati rispetto al paese in cui vivono: il rapporto con il Giappone sembra farsi meno trionfalistico e più problematico rispetto a Mazinga Z. E il topos dell’orfano certamente rimanda alla guerra, e quindi al passato prossimo nazionale, ma la guerra stessa, la perdita e l’abbandono divengono contemporaneamente questioni private, stati dello spirito, risultati di un passato individuale, interiore, radicato nel cuore dei protagonisti.
Il passato come profondità. E questo è un altro nodo fondamentale: Tetsuya e Jun hanno, per così dire, più passato rispetto a Koji e Sayaka, non solo perché sono più adulti, ma soprattutto perché dal passato sono segnati in modo più traumatico e indelebile: sono quelli che sono in quanto individuati, soggettivati dal loro passato. E la sigla di chiusura, con il suo Giappone delle potenze della natura – le onde, il Fuji –, sta lì ad affermare che questi due ragazzi disperati sono di fatto i nuovi giapponesi, e che la loro disperazione è una forza naturale primordiale: Mazinga Z usciva dall’ambiente protetto di una piscina, il Grande Mazinga esce dal mare.
Specularmente, il passato è il luogo anche della profondità dell’avversario, e anche qui non si tratta più del passato prossimo e ricondotto alla sua ultima incarnazione politica: non si tratta dei nazisti, della Seconda guerra mondiale; si va alla radice, ai Micenei del sottosuolo: un passato millenario, abissale (come i demoni di Devilman); presso il quale troverà una nuova, infera esistenza lo stesso Hell, trasformato dall’Imperatore delle Tenebre nel Maresciallo dell’Inferno, quasi un premio per il piccolo uomo che nella sua abiezione ha saputo farsi veicolo della tenebra.
Data la direzione del percorso, il passo successivo non poteva che essere, per i motivi che vedremo nel prossimo post, Grendizer/Goldrake.
Nippocentrismo meno marcato? Si potrebbe obiettare che i Micenei sono comunque una forza occidentale. Risponderei: sì, ereditata dalla continuity di Mazinga Z, mentre su un altro fronte lo staff di Nagai si sta impegnando nella realizzazione di Getter Robot, dove l’avversario è l’impero dei dinosauri: un passato non solo universale, ma nemmeno umano. Di più: quando nel 1975 la dimensione storico-politica in Nagai tornerà ad avere connotazioni nazionali, sarà per prendersela con un altro sé stesso: la vecchia generazione giapponese.
Il passato giapponese. Guardiamo Jeeg. Il regno Yamatai e i guerrieri Haniwa, creature di roccia che risorgono dalle caverne del sottosuolo, appartengono a un passato squisitamente giapponese, e non appaiono meno violenti dei Micenei; è un passato ctonio, fatto di terra, di oscurità tombale.
Questo passato va ricacciato giù da dove è venuto, con la tecnica nei pugni (il robot) e con la tradizione nel cuore (la campana di bronzo). E chi può farlo? Un mezzo teppista rockabilly, giapponese, a cui piace guidare moto e macchine veloci: è l’unico che può opporsi agli Yamatai perché suo padre lo ha trasformato in un cyborg, ma a Hiroshi questo non è piaciuto per niente: per lui l’America, la modernità e la tecnica sono il rock e le auto, non un corpo di metallo; e Hiroshi non ha nessuna intenzione di confrontarsi con il passato militarista e imperialista del Giappone rappresentato dagli Yamatai. Anche se ne sarà costretto, perché ha a sua volta nel petto un’antica campana di bronzo che gli Yamatai reclamano per sé.
Hiroshi non accetta né che il Giappone abbia un passato oscuro né che la tecnica e l’Occidente abbiano un aspetto annichilente, eppure il suo corpo è segnato da entrambe queste realtà, e per responsabilità di suo padre. Accetterà di battersi solo quando vedrà i suoi affetti in reale pericolo.
Esplorazioni dell’abisso. In Getter Robot G, che come Jeeg è del 1975, all’impero dei dinosauri del primo Getter Robot (1974) si sostituisce l’impero degli oni; è un chiasmo interessante: se Getter aveva per avversario un universale materiale, Getter G ha un avversario mitico ma più connotato culturalmente e ideologicamente: demoni del folklore giapponese, che si esibiscono in saluti nazisti e vestono con qualche riferimento alle uniformi del Giappone Imperiale, guidati dal supremo Burai Taitei e dal suo luogotenente Hidler.
L’impressione è che, mescolando in vari modi gli elementi di Devilman e Mazinga Z, Nagai e il suo staff stiano esplorando diverse possibilità di rappresentazione dell’abisso, e che dopo le esperienze del 1974 – l’universalità non umana dell’impero dei dinosauri di Getter e l’approfondimento psicologico e mitologico del Grande Mazinga, che però risente ancora della riferimento miceneo all’occidente – nel 1975, con Jeeg e Getter G, siano sulle tracce di una soluzione narrativa che implichi una maggiore assunzione di responsabilità, sia umana sia nazionale e ideologica, e che stiano dunque sperimentando sintesi orientate sì a una più netta distillazione dei concetti e a una loro rappresentazione più potentemente onirica attraverso un maggior peso del fantastico, ma immettendovi, in una trasfigurazione mitica, la critica alla vecchia generazione giapponese (Jeeg), senza slegarla del tutto dalle suggestioni traumatiche legate alla Seconda guerra mondiale (Getter G).
Nel prossimo post spenderemo due parole sul varco nagaiano come soglia attraversata da ciò-che-continua-a-tornare.