Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona, la decima e l’undicesima)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Kappei spezza il cerchio blindato. Il primo tentativo di risposta di un incredulo Kappei alle accuse mosse da CBN8 ai terrestri è: I terrestri sarebbero tutti cattivi? Io conosco anche delle ottime persone. Non «i terrestri sono buoni» o «i terrestri sono comunque migliori di voi»: il suo unico pensiero è rivolto all’assurda assolutezza del discorso Gaizok, spezza l’insieme chiuso e con ciò spazza via ogni pretesa determinazione razziale: se esiste anche un solo terrestre per bene, allora il discorso razziale Gaizok crolla.
Si potrebbe obiettare: Kappei sta solo dicendo che è sbagliato sterminare i terrestri in modo non selettivo, e non che tutti i terrestri meritano di vivere. Direi di no, perché il secondo e ultimo tentativo di risposta di Kappei – quando CBN8 domanda se i Jin hanno combattuto per se stessi – è abbiamo combattuto per tutti, frase che ripeterà anche tra sé e sé ricadendo sulla Terra: dopo aver spezzato la chiusura razziale, Kappei misconosce il discorso meritocratico.
Per tutti. Abbiamo combattuto per tutti è la logica conclusione del percorso di Kappei: ha imparato che un essere umano, e lui per primo, è in grado di cambiare, e che se ha idee e comportamenti sbagliati è perché quelli la vita gli ha insegnato; tutta la sua storia è la storia di uno sforzo di contaminazione e inclusione: si contamina con la tecnica – Kappei dorme per un mese con una sonda in testa, per pilotare Zambot – e impara a controllarne la prerogativa annichilente, impara ad accogliere i suoi cugini nella squadra, la sfida lanciatagli dalla loro maturità, impara a comprendere le cause dell’odio dei terrestri nei suoi confronti.
Noi e loro. Kozuki non è un personaggio secondario, ha un ruolo fondamentale nel percorso di Kappei e ha un suo percorso personale che è una componente importante di Zambot: Kozuki è l’antagonista terrestre di Kappei, che al principio, complice una condizione sociale di marginalità e i contraccolpi psicologici della guerra, accusa i Jin dell’invasione e prende iniziative non proprio leggere: sobilla i terrestri, distrugge la sala base, sequestra Keiko, si presenta dai Jin con un fucile e lo punta in faccia alla madre di Kappei. In risposta ai traumi della vita e alla frustrazione delle proprie richieste di riconoscimento sociale – lui e Kappei sono rivali nella balotta del quartiere – Kozuki cerca un nemico esterno, e si radica a una comunità di appartenenza fondata sul sangue.
I Gaizok dentro. Kozuki e Kappei sperimentano in se stessi quella stessa volontà di nulla che giace sul fondo della metafora cosmica dei Gaizok e che entra in scena con l’appartenenza etnica, l’esclusione subita o inflitta, la rivalsa, il metro del potere tecnico.
A Kappei accade quando, in sella allo Zambo-Ace, bistrattato dalla folla, sferra un pugno fermandolo a pochissimo dal corpo di Kozuki, tentando poi in malo modo di buttarla sullo scherzo quando con tutta evidenza si trattava di un gesto di rabbia, e anche di potere (è interessante che questo accada con lo Zambo-Ace, che è diretta emanazione di Kappei e ciò che resterà di tutta la tecnologia Biar alla fine della serie: è inimmaginabile che sia Zambot, nobile servo della luna, a compiere un gesto del genere). Succede a Kozuki quando, con fare nemmeno troppo velatamente machista, imbraccia un’arma per puntarla prima su Keiko e poi sulla madre di Kappei.
Schiaffoni. Quando Kappei mette in discussione il proprio dovere per ripicca al razzismo di Kozuki si prende un ceffone dal padre: i Jin provengono da una civiltà più avanzata, hanno più mezzi e devono mettersi a disposizione dei terrestri perché è giusto e punto. Kozuki armato di fucile è richiamato a se stesso dalla madre di Kappei con uno schiaffo (di cui poi subito si scusa; gli schiaffi sono l’unica cosa che si può imputare a Zambot, ma va detto che volano solo in reazione a questioni di mancata inclusività). In Zambot è la rete di relazioni che fa rinsavire chi perde la testa: ciò che salva in Zambot non sono i rapporti di sangue, ma i rapporti, che sono sempre in movimento.
Da Nagai all’eternità. Il passato eternamente già stato che eternamente ritorna appare in Zambot con nuove implicazioni: Kappei ha dodici anni, i Gaizok sono millenari; i Gaizok si fanno evento storico solo per gli altri, nella misura in cui irrompono nella vita degli altri pianeti; in se stessi sono sprofondati in un immenso passato che pessima declinazione dell’eternità: la sensazione di fissità trasmessa da CBN8 come entità programmata; la confessione dello stesso CBN8: stava dormendo il suo sonno centenario quando è stato svegliato dalle vibrazioni emesse dai terrestri; la circolarità vuota del discorso Gaizok: tutto ciò si traduce nell’eterno ritorno dell’annientamento dell’altro da parte di quell’eternità, dell’altro che vive, evolve, si ibrida e sintetizza.
La diade. Sul fronte opposto, nell’arco di ventitré episodi, Kappei matura, attraversa una fase della vita, e di volta in volta risolve una dicotomia nella direzione dell’inclusione, entra in dialettica con gli adulti e con i suoi coetanei, e trova nuove sintesi. Fino all’irruzione nell’abisso, dove inizia un processo di spoliazione: Kappei perde il suo nume lunare, il suo robot, i suoi cari, e in ultimo perde la parola. Al fondo dell’abisso trova ciò che è fermo, che non cambia, ciò che esclude; e soltanto di fronte a questo Altro Kappei è incapace di sintesi: a questo livello c’è una diade irriducibile, testimoniata dall’impossibilità di comunicazione tra lui e CBN8, che è solo l’aspetto dialogico dell’impossibilità di CBN8 di rapportarsi alla storia: solo una volta morto sarà smentito dalla comunità terrestre che accoglie festante l’eroe Kappei, il campione extraterrestre della Terra. CBN8 non lo saprà mai, ma è un problema suo.
Il vuoto nella macchina. Kappei scopre di essere stato aggredito dalla macchina, un altro senza l’altro dietro: dietro c’è il vuoto, un vuoto che la macchina nomina Gaizok, vuoto eterno che non compare, inaccessibile, motore immobile che si riverbera nel mondo solo come discorso circolare, esclusione, sadismo, pretesa morale. Butcher e CBN8 sono maschere, coperchi senza pentole, soggetti inesistenti, illusioni; e sono insieme rete di parole che imbrigliano, giustificazioni, dover-essere che vengono richiesti: un nulla che si traveste da morale, e uccide, e lo fa nei modi più feroci.
Zambot 3 termina nel 1978, Yoshiyuki Tomino ha trentasei anni, e di lì a pochissimo finirà di smontare la pretesa morale della punizione degli inadeguati, mostrandone ancora una volta la natura sadica; ma lo farà in un modo impensabile per un anime super robotico: aggredendola dall’interno, con un’opera che di Zambot 3 è il rovesciamento: Daitarn 3. Poi creerà Gundam.
Nel prossimo post: Daitarn 3.