Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona, la decima, l’undicesima, la dodicesima, la tredicesima, la quattordicesima, la quindicesima, la sedicesima, la diciassettesima, la diciottesima e la diciannovesima)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
In Combattler, il professor Stevens, lo scienziato che controlla la base, sul banco del computer della sala di controllo ha gli indicatori della risposta psichica dei cinque piloti: per condurre a buon fine l’agganciamento delle navette e formare Combattler, i piloti devono dare un assenso, e la convinzione di questo assenso è misurata attraverso dei contatori, simili a quelli della pressione, che devono raggiungere il massimo. Ebbene, i contatori sono disposti verticalmente, in basso c’è quello corrispondente al ragazzino della squadra, sopra c’è quello della ragazza, e sopra quello del grosso, e però gli ultimi due contatori, quello dello smilzo e quello dell’eroe, sono disposti orizzontalmente: lo smilzo a destra e l’eroe a sinistra (e sintomaticamente, al primo agganciamento, sono loro a porre il problema, dovuto presumibilmente alla loro rivalità).
Nel secondo episodio la strana struttura che sostiene i contatori si alza, parla e si muove: è un robot, si chiama molto amabilmente Robotto e ha il compito di sintonizzare le onde cerebrali dei piloti; mentre i contatori del resto della squadra sono disposti sul tronco, i due contatori dell’eroe e dello smilzo sono gli occhi di Robotto.
Al termine del post tornerò sul carattere di alter-ego dell’eroe, di altro me al di qua del varco, che contraddistingue lo smilzo; prima cercherò di individuare il suo carattere e la sua area simbolica.
La squadra a tre e la squadra a cinque. La squadra a cinque – eroe, smilzo, ragazza, grosso, ragazzino – credo appaia per la prima volta in Gatchaman (1972), la squadra a tre – eroe, smilzo, grosso – in Getter Robot (1974), e si ripetono in diverse serie con qualche variazione marginale; il caso Starzinger e il caso di Gatchaman mostrano rispettivamente come le squadre a tre e a cinque non siano necessariamente connesse al mecha; il discorso è ancora più ampio per lo smilzo, che quasi certamente proviene dalle squadre a tre e a cinque dei techno-team, robotici o no, ma che metterà in circolo, anche in parte disgregandolo, il suo patrimonio archetipico, e ne troviamo di volta in volta i tratti in diversi personaggi che appaiono nei contesti più differenti: per esempio Tristano di King Arthur, Vegeta di Dragonball, Jigen di Lupin, Rei di Hokuto no Ken, Kojiro Hyuga (Marc Lenders) e Genzo Wakabayashi (Benji Price) di Capitan Tsubasa, Shiryu/Sirio di Saint Seiya, Sasuke di Naruto, Tetsuo di Akira.
La squadra a tre come trinità. Perché Jigen e non Goemon? Ci viene in aiuto il fatto che il compito di portare nel gruppo la ricchezza dell’eredità tradizionale giapponese è del numero tre, il grosso; così come lo smilzo è spesso – come vedremo – legato alla scienza, il numero tre è legato alla spiritualità e alla tradizione, una differenza che riecheggia anche nei nomi: mentre i numeri uno e i numeri due hanno di solito nomi brevi, veloci, che talvolta approfittano di assonanze internazionali – Joe, Ken, Kento, Rio, Ryu, Go, Danji, o al limite nomi ordinari come Takeshi – i numeri tre hanno nomi che suonano nazionalpopolari e coriacei, da samurai o da pescatore: Musashi, Benkei, Bunto, Kiraken, Yamatake, Goro, Daikichi.
Numero uno, due e tre si dividono anche gli elementi (e i colori: rosso, blu e giallo): se il cielo è sicuro appannaggio del numero uno, lo smilzo e il grosso si contendono acqua e terra. Il primo numero tre pilota di navetta da agganciamento, Musashi di Getter Robot, ha come elemento il mare, ma già Hacca, il grosso di Starzinger, si prende la terra e lascia l’acqua allo smilzo Gorgo. Si presume che il grosso, con il suo portato di tradizione e radici, sia più legato all’elemento terra, ma – come si è visto nel caso di Musashi – non è detto: prima di tutto perché banalmente il Giappone è un’isola, in secondo luogo perché l’acqua ha una sua funzione simbolica che richiama la Grande Madre.
Lo smilzo universale. Torniamo al numero due, lo smilzo. Capelli lunghi neri, alto, magro, aspetto misterioso, modi furtivi, mira precisa, scatto velocissimo spesso unito a un falso basso profilo, mani in tasca, occhi chiusi e il sorriso beffardo di chi attende che gli altri si accorgano che quella cosa incredibile che è appena stata fatta è stato lui a farla; talvolta lo smilzo ha un occhio coperto da un ciuffo, segno dell’impossibilità di una sua definizione ultima, e l’iride ridotto alla pupilla, che è un tratto che di solito troviamo negli avversari, un particolare che lo rende dunque minaccioso, ne mette in luce le potenzialità di rivalità e doppiezza; lo smilzo è sempre coraggioso, è introverso, e appare fuori da tutto, disinteressato a ogni cosa, ma spesso nasconde un animo sensibile che non ama rendere pubblico, talvolta si occupa di un personaggio più fragile. Joe il Condor di Gatchaman e Danji di Daltanious sono due ottimi esempi di questo carattere e di questa estetica, e ciò li rende probabilmente i personaggi più vicini all’archetipo dello smilzo. Ma vi si avvicina anche Tristano – come vedremo personaggio ibrido – animo solitario e poetico, con la sua arpa che da un momento all’altro può trasformarsi in un arco: lo smilzo predilige le armi da lancio – shuriken, pugnali, sassi, frecce – e tutto ciò che non consente di risalire immediatamente dal colpo all’identità e alla posizione di chi lo ha inferto: se l’eroe incarna il samurai, lo smilzo incarna il ninja; l’habitat naturale dell’eroe è la luce solare, quello dello smilzo è l’ombra.
Lo smilzo fuori dalla seconda posizione. Se è vero che nella squadra a tre o a cinque lo smilzo occupa quasi sempre la seconda posizione, è anche vero che lo smilzo è talmente codificato che lo si può riconoscere anche quando è eccentrico rispetto alla struttura, come nel caso facile di Danji di Daltanious che pilota il terzo modulo ma è chiaramente lo smilzo. Un tipo diverso dello smilzo è Gorgo di Starzinger, che occupa la seconda posizione nella squadra a tre e ha i tratti estetici dello smilzo – i capelli neri lunghi, l’altezza e la magrezza – ma è molto educato e timido, mentre lo smilzo tipicamente ostenta disinteresse per l’opinione altrui; tuttavia Gorgo è certamente un coraggioso, e ha il suo particolare modo di essere solitario, che nel suo caso si esprime nella sua indole nerd; non è un caso isolato: da Hayato di Getter a Julian di God Sigma, come si è già accennato parlando della divisione dei tre elementi fisici e astratti, lo smilzo può anche essere l’uomo della scienza, come estensione del suo carattere di stratega – come Uchuta di Zambot – che a sua volta è sviluppo del tipo che pianifica nell’ombra. Insomma, stiamo parlando di somiglianze di famiglia: talvolta è l’aspetto, talvolta il modo di fare, talvolta la posizione nella squadra, talvolta il carattere, e quando due o più di queste componenti si aggregano riconosciamo lo spettro dello smilzo, che riecheggia sul personaggio rendendo significanti anche le sue differenze rispetto alla reiterazione seriale del tipo.
Lo smilzo androgino. Un caso in cui la differenza rispetto al seriale è altamente significante è quello di Tristano, che in King Arthur è lo smilzo o la ragazza a seconda di quali siano i caratteri su cui ci si concentra: da un lato è impossibile non riconoscergli le caratteristiche fisiche, l’introversione, il gusto per le armi da lancio tipici dello smilzo; dall’altro nella squadra a cinque di King Arthur la seconda posizione è occupata dall’abbronzatissimo e irruento Lancillotto, vero alter-ego di Artù, e così Tristano scivola in terza posizione, nel posto della ragazza, cioè del personaggio sensibile e intimista, ruolo che però, a ben guardare, il malinconico, poetico e solitario Tristano ricopre perfettamente; la mossa di Satomi Mikuriya è geniale: avendo a che fare con un team di soli maschi, si rende conto che una certa declinazione dello smilzo si sovrappone ad alcuni tratti che il senso comune annette allo stereotipo di genere della ragazza, e decide di scagliare l’archetipo del personaggio sensibile contro lo stereotipo del personaggio sensibile, che va in pezzi.
Questa sovrapposizione è possibile perché nel tipo dello smilzo è presente una componente di androginia che è funzione dell’ombra, dell’impossibilità della definizione ultima, dell’inafferrabilità del ninja. L’esempio massimo è il ballerino hippie progressivo alieno nero biondo androgino Andro Umeda di Tekkaman, autentica stella danzante partorita dal caos.
Lo smilzo in libera uscita dopo l’era classica. Come già accennato, il patrimonio di caratteri dello smilzo di disgrega con il passare degli anni e delle serie in diversi tipi: quello oscuro e quello sensibile, quello con l’occhio coperto e quello che semplicemente occupa la seconda posizione: in Captain Tsubasa, cioè Holly e Benji, abbiamo una vera esplosione di numeri due attorno a Holly (userò i nomi dell’edizione italiana e me ne scuso con il lettore), una selva di numeri due che si articolano in gerarchie complicatissime: Holly ha almeno tre numeri due: Tom Becker, Benji Price, Marc Lenders; Marc Lenders ha a sua volta un numero due in Ed Warner (e un fratellino-ombra in Denny Mellow: il numero due bada spesso a qualcuno di più fragile, questo mette in luce il fatto che ha un cuore d’oro sotto la scorza da sbruffone): Ed Warner è un numero due sublime ed è numero due anche di Benji; e possiamo scendere nelle retrovie e trovare numeri due in giro ovunque: solo nella New Team ci sono Ted Carter, Paul Diamond, Jack Morris (mentre Bruce Harper è un numero tre fino al midollo); fino ad arrivare al capolavoro delirante, l’idea di numero due che prende vita a sé e genera un suo mondo duale: i gemelli Derrick. Insomma, dopo l’era classica il numero due smette di essere semplicemente lo smilzo, assume anche altre forme e si scioglie in innumerevoli aggregati tipologici parziali (sappiamo che c’è uno smilzo in Evangelion ma non riusciremo mai a decidere davvero se è Rei o Asuka). Ma nel suo condurre tutto alle conseguenze estreme, Otomo ci ha mostrato come forzare lo smilzo sia pericolosissimo: va tenuto molto d’occhio e trattato con il dovuto rispetto, altrimenti è un attimo che te ne ritrovi uno a girare a Neo-Tokyo con un mantello rosso, far esplodere carri armati con ondate psichiche e costringerti a usare il cannone laser di un satellite per tentare di eliminarlo.
Lo smilzo nel mecha. Ciò che tipicamente accade in una serie mecha a squadre è che lo smilzo divenga il pilota del secondo modulo: per comodità chiameremo lo smilzo specifico del mecha “secondo pilota”. Al secondo pilota non sembrano mancare le qualità del primo pilota, anche se – essendo lo smilzo – è più solitario, più introverso, talvolta veramente asociale; a un primo sguardo sembrerebbe essere questa sua asocialità a determinare il suo non essere il primo pilota, perché essere il primo pilota implicherebbe uscire dall’ombra e dalla suggestione ninja.
L’ombra e l’abisso. Tuttavia, nel mecha, l’introversione del secondo pilota va a integrarsi nella stessa narrazione che vede in gioco anche l’abisso dell’eroe, e diventa, per contrasto, la funzione della singolarità del percorso dello smilzo, ciò che rende il suo percorso diverso e complementare rispetto al percorso dell’eroe:
a) Il secondo pilota non ha un abisso: ha un’ombra, ci vive dentro, ed è egli stesso un’ombra: se l’esplorazione del proprio abisso da parte del primo pilota coinvolge tutta la realtà, ciò che il secondo pilota è chiamato a risolvere o con cui deve convivere riguarda solo lui. Per questo lo smilzo è a volte orfano, ma quasi sempre terrestre.
b) Il secondo pilota spesso ha uno o due anni in più del primo pilota, è più maturo e ha un carattere più stabile; il suo personale conflitto non è necessariamente risolto ma, diversamente da quanto accade al primo pilota, il secondo pilota lo dà per risolto: sa che, in un modo o nell’altro, ciò che deve accadere accadrà, coerentemente alla sicurezza e all’infallibilità della sua mira.
c) Il secondo pilota è sempre un antagonista e un potenziale sostituto del primo pilota, il che implica un confronto che può essere o solo suggerito allo spettatore o agito a diversi gradi di attrito; il secondo pilota è tra i due quello che vive con meno preoccupazione l’eventuale conflitto aperto perché (1) in quanto smilzo non ostenta interesse per l’opinione dell’eroe o per ciò che in generale turberebbe gli altri, e (2) perché considera i suoi conflitti già destinati alla risoluzione come detto nel punto (b). Talvolta, prima di giungere a un’amicizia tra eroe e smilzo, è necessario attraversare un conflitto o quanto meno una rivalità; le risse non sono un evento rarissimo: Aoi e Juzo di Combattler incrociano i pugni nel secondo episodio, George e Andro Umeda hanno la prima scazzottata a tredici minuti dall’inizio della prima puntata di Tekkaman, Kenichi e Ippei di Voltes si menano addirittura nella sigla di apertura.
d) Solitamente la soluzione dell’abisso da parte del primo pilota non ha effetti particolari sul percorso del secondo pilota, cioè non ha effetti diversi da quelli che ha sul resto del mondo.
L’ombra richiama l’eroe alla responsabilità. Il confronto con il secondo pilota, sia nella versione dell’alleanza sia in quella dell’attrito, è fondamentale per il primo pilota: attraversandolo l’eroe apprende di non essere il centro del mondo, ovvero di non essere poi così indispensabile sul piano bellico, e che prima del diritto alla gloria deve assumersi le sue responsabilità: c’è qualcuno per cui l’aspetto personale del suo conflitto con ciò che proviene da oltre il varco passa in secondo piano rispetto all’effetto materiale catastrofico che l’apertura del varco produce; il secondo pilota – che combatte contro i mostri di un abisso che non gli appartiene, che sarebbe perfettamente in grado di sostituire il primo pilota nella gloria, e che diversamente dal terzo pilota esibisce una personalità anarchica e dunque una sorta di autocostrizione rispetto al compimento della missione – emette sul primo pilota un sonoro giudizio, continuo, pressante e poco propenso a fare sconti, richiamandolo più di chiunque altro alla propria responsabilità di risolutore del conflitto, non solo per se stesso ma per tutti.
Insomma il secondo pilota ha il compito di mantenere il primo pilota sulla Terra, letteralmente con i piedi per terra; di ricordargli che è umano, che l’abisso di un altro a noi appare come un’ombra e che il nostro abisso per gli altri è un’ombra e dunque dovremmo cercare di tenerla nei ranghi. Quando il primo pilota si guadagna la fiducia del secondo pilota vuol dire che è sulla strada della soggettivazione corretta.
Allo stesso tempo, il secondo pilota è l’altro me al di qua del varco: non a caso quando il mecha si fa real e il mondo ricomprende in sé anche ciò che è al di là del varco – o, se si vuole, il varco si allarga tanto da ricomprendere il mondo – il secondo pilota e il nemico che proviene dal varco si fondono nello stesso personaggio: Char Aznable (che infatti mantiene un residuo metafisico del varco nel nome di battaglia: la cometa rossa).