Questo racconto apparve per la prima volta sul Resto della Pesaresità, poi fu rielaborato per WebSite Horror, un progetto di Marco Candida, e infine fu pubblicato su Orbite Vuote, l’antologia horror di Intermezzi Editore.
La foto qui sotto è di Valentina Mattei.
Accadde nel pomeriggio del 14 aprile, venticinque anni fa. Eravamo nella sala giochi della paninoteca La Boa, sul lungomare di Pesaro. Ale stava giocando a Ghosts ’n Goblins. Io ero accanto a lui.
Mi disse:
– Oh! Lo sai che giorno è oggi?
– Che giorno è oggi? – feci io.
– Non ti ricordi cos’è successo l’anno scorso?
– No.
– Dai: il militare che hanno trovato morto sulla riva del Foglia.
– Non era un militare, era un drogato.
– Era un militare, e lo hanno trovato morto, e senza i piedi.
– Seee, senza i piedi…
– Giuro, – Ale staccò le mani dal videogioco, alzò la sinistra, pose la destra sul petto, riprese i comandi, – senza i piedi.
– Ma non dire cagate, – dissi, – era un drogato che è morto per la droga.
Ale scosse il capo.
– Non era un drogato, me lo ha detto mia madre. Lo hanno trovato con i piedi mangiati via, come da un morso. E sai la cosa più paurosa?
– Eh.
– Che a guardarlo in faccia non sembrava morto dissanguato: sembrava morto di paura.
– E tu come lo sai?
– Perché me l’ha detto mia maaadre diobò. Conosce uno che l’ha visto. Mi ha detto anche chi è stato.
– Tua madre?
– Sì.
– E chi è stato, sentiamo.
– Mutino.
– Chi?
– Mutino il servo della Foglia, – disse, come dicesse un’ovvietà.
– …
– …
– Ma co’ t’deeec.
Appoggiammo le bici, senza legarle, sullo stradino sterrato che corre parallelo al fiume Foglia, tra la rete verde che delimita la zona militare e il greppo che declina ripido verso la riva. Ci fermammo per un istante sul bordo del greppo.
– Chi sono il Mutino e la Foglia? – domandai.
– Non lo sai?
– Ts.
– La Foglia è la strega del Foglia, Mutino è il suo servo. Ma non sei di qua te perché?
Conoscevo Ale dalle elementari. Ogni volta che mi rivelava qualcosa di folle sulla città, vedendomi sbalordito, mi chiedeva serissimo e preoccupato «Ma non sei di qua te perché?» con quel modo che hanno i pesaresi di chiedere spiegazioni: mettendo il perché in fondo alla domanda.
Ale cominciò a discendere il greppo di culo, a tratti frenava piantando le scarpe da ginnastica e ripartiva spingendosi con le mani. Cercai di seguirlo alla stessa maniera, arrossai le mani raspandole sulle piante. Giunto in fondo mi alzai in piedi. Mi grattai le caviglie. Registrai che il mondo aveva cambiato angolazione.
Ale guardava il fiume. L’acqua, scura e verde, scorreva così placida e densa da sembrare immobile. Non c’erano uccelli, non c’era alcun rumore: solo il fiume, e attorno a noi piante altissime, qualche albero poco più in là, a ridosso del greppo, e tra gli arbusti due poltrone abbandonate; in lontananza, nel letto del fiume, un sasso verde scuro a dividere l’acqua, e ancora più distanti il ponte di cemento e le cime grigie e arancioni dei palazzi della periferia.
– La Foglia è la strega che abita sulle rive del Foglia – disse Ale.
– E dove abita?
– Mica c’ha la casa: cammina su e giù per le rive.
Nuvole di moscerini si spostavano lente nell’aria.
– E Mutino?
– Mutino è il suo servo. È innamorato di lei. Si chiama Mutino perché da quando si è innamorato ha perso la parola. Mia madre mi ha detto che la strega va con gli uomini, poi Mutino a loro gli mangia i piedi, perché è invidioso.
– Dai smettila.
– Qui è dove hanno trovato il militare, – indicò una radura nell’erba. Attraverso la nube di moscerini guardai di nuovo il letto del fiume, il sasso sembrava più vicino, forse mi stavo abituando allo scenario; mi accorsi che sentivo un odore di marcio, da palude.
– Ale.
– Eh.
– A te non sembra che quel sasso si sia avvicinato? – dissi ghignando.
– Siamo noi che ci siamo avvicinati.
– Sì, ma lui di più.
– Tanto non mi fai paura.
– Ascolta: ma la strega lo sa che Mutino gli mangia i piedi?
– Mutino non fa niente che la strega non sappia e non voglia, – spiegò Ale, serissimo.
Improvvisamente un gruppo di piante alte che era lì vicino a noi si animò. Mi sentii paralizzare. Guardai Ale: mi fissava con gli occhi spalancati e la faccia bianca; mi sentii meno cretino. Dalla vegetazione emerse una cosa verde scuro. Era un militare, si stava alzando in piedi; si allacciò i pantaloni, ci vide e sorrise. Subito dopo si sollevò da terra una ragazza bionda, le sue mani corsero sui fianchi abbassando il lungo vestito bianco fin sotto le ginocchia. Il militare e la ragazza si guardarono e risero.
– Vaffàno – dissi allentando i muscoli e soffiando più aria del necessario; sentii il cuore calmarsi. Mentre si allacciava la cintura il militare ci disse qualcosa con un forte accento meridionale, ridendo; ridemmo anche noi, ma non avevamo capito. Poi il militare prese la mano della ragazza e fece per andare verso il greppo, ma lei lo tirò a sé, finse di abbracciarlo ma all’ultimo si spostò e lui si sbilanciò verso il fiume facendo un verso buffo. Giocavano.
– Vedi? – disse Ale ghignando – lei è la Foglia. Adesso arriva Mutino.
– Ma lascia giii… – risi io; e a bassa voce aggiunsi: – Se lei fosse la Foglia tu c’andresti?
– Caaaz! Te no perché?
– Caz. Però dopo come fai con Mutino?
– Son più veloce di Mutino, io.
– Seee…
Fu allora che vedemmo il sasso, vicinissimo alla riva: con un balzo si sollevò dal fiume verde pisciando acqua. Era una specie di guscio di tartaruga aperto sotto, ne uscivano tentacoli che lo libravano nell’aria, una decina, lunghi quanto le nostre gambe. Appese sotto il guscio, tra i tentacoli, c’erano cose che sembravano pezzi di carne e ossa tenuti insieme da un pus nauseabondo. La cosa prese a muoversi verso la riva, sollevando un tentacolo alla volta dall’acqua per poi rituffarlo un po’ più in là. Uno schizzo mi arrivò appena sotto all’occhio. La puzza di marcio si fece insopportabile. Il militare era terreo in volto, la bocca e gli occhi spalancati. La ragazza lo stringeva da dietro in un abbraccio che pareva d’acciaio; teneva la guancia sulla schiena di lui, ci guardava e sorrideva.
Non urlai e non vidi Ale. Cominciai a fuggire, arrancai su per il greppo, scivolavo, mi aggrappavo alle erbacce e risalivo. Mi esplosero nelle orecchie il grido del militare e la risata cristallina della ragazza. Mentre afferravo la bici cominciai a sentire, sotto le urla, un rumore di cose che scricchiolano, si spezzano, si frantumano; lo ricordo ancora, quel rumore, perfettamente, e mi si gela il sangue.
Dieci minuti dopo eravamo alla Boa.
Ale giocava a Ghosts ’n Goblins. Io lo fissavo, muto. Lui si voltò un istante a guardarmi.
– Era uno scherzo – disse serio, e tornò al monitor, – non era niente.
Non ne abbiamo più parlato, preferendo, con gli anni, discutere di politica, musica e disastri sentimentali.