Da I padroni del discorso, di Maria Chiara Pievatolo:
«Socrate scende al porto di Atene, il Pireo, in una occasione festiva. Vorrebbe tornare in città, ma viene trattenuto a casa di Polemarco, membro di una ricca famiglia di industriali meteci, che gli prospetta non solo le attrattive della festa notturna, ma anche che là “synesòmetha te pollòis ton neon […] kai dialexòmetha“. (Resp. 328a) Queste parole, oltre al loro significato ordinario, “staremo insieme a molti giovani e discorreremo”, hanno anche un senso peculiarmente platonico: la synousìa è la partecipazione ad una comunità di conoscenza e di educazione, e il dialégesthai designa la “conversazione” filosofica propria della dialettica. Polemarco, un imprenditore straniero che non gode di diritti politici in città, è, paradigmaticamente, un homo oeconomicus. Eppure, egli cerca qualcosa di più, forse solo come un passatempo: ma non la cerca sul mercato, a pagamento, bensì, gratuitamente, nella synousìa e nel dialégesthai – accettando addirittura il rischio di fare una brutta figura e venire umiliato, come può succedere quando si ha a che fare con Socrate. Come nel Menone, la condivisione della conoscenza reca in sé una possibilità di emancipazione.
Il primo interlocutore con cui Socrate sta insieme e discorre è però un uomo molto anziano, il padre di Polemarco, Cefalo. Cefalo prova piacere e desiderio per i discorsi, perché la vecchiaia l’ha liberato dalle passioni, i padroni o dèspotai di cui sono schiavi i giovani. (329d) Come il figlio, egli è un homo oeconomicus, condannato a vivere nel regno della necessità. Ma perfino Cefalo sperimenta l’interesse per i discorsi come una liberazione, di cui, tuttavia, non è autore egli stesso, bensì il corso della natura. La vecchiaia, con il suo tempo libero, offre una forma di libertà negativa nel suo senso più puro: il padrone ha mollato la presa e ha lasciato un vuoto da riempire. I discorsi arrivano al di fuori della necessità: discutere è un intrattenimento piacevole, quando null’altro ci costringe. Il tempo libero dell’uomo economico, tuttavia, è soltanto uno spazio residuale, una tregua: il mondo morale e religioso di Cefalo rimane interamente dominato dalla logica economica e dalle sue certezze e incertezze. In vecchiaia, per il timore delle cose che si narrano sull’aldilà, la ricchezza aiuta a comprarsi la pace, perché permette di pagare i debiti – di sacrifici agli dei e di denaro agli uomini. (Resp. 331b)
Socrate chiede a Cefalo se la dikaiosyne, cioè la giustizia come virtù personale, si possa delimitare o definire correttamente identificandola con il dire la verità e il restituire le cose ricevute, e obietta che nessuno restituirebbe un coltello a un amico impazzito, né sarebbe completamente sincero con lui. (Resp. 331e) È difficile estendere questi tradizionali princìpi di rettitudine degli uomini d’affari ad ambiti anche di poco più ampi dello scenario in cui sono nati. Essi non sono sufficienti a definire o fissare i confini della giustizia, perché il loro senso e il loro valore dipende dal contesto. E basta variare le circostanze del contesto perché il loro significato cambi completamente. Il difetto della posizione dell’homo oeconomicus sta nel fatto che le sue regole sono intese come frutto della necessità: sono date, come da una mano invisibile, e non scelte. Perciò non sanno controllare l’ambiente della scelta: perché non sono in grado di costruirlo politicamente. I discorsi allietano il tempo libero, ma per le cose serie si deve pagare. Per questo a Socrate è così facile confutarlo: Cefalo ha assunto delle regole come date, e non ha mai pensato di costruirle con i discorsi, né, tanto meno, di fare del discorso l’ambiente della scelta.
Quando Kant nega il diritto di mentire per amore dell’umanità sembra ragionare con la stessa rigidezza di Cefalo. Ma c’è una differenza fondamentale: per Kant non possiamo essere proprietari della verità perché questa è la condizione di uno spazio pubblico comune di autodeterminazione pratica; per Cefalo le regole non sono frutto di autodeterminazione, ma necessità cieche, nei cui confronti si deve agire nel modo più conveniente dal punto di vista individuale, senza preoccuparsi d’altro. Per questo, l’anziano imprenditore, alla prima difficoltà, abbandona la discussione e torna a fare sacrifici per comprarsi la salvezza. II discorso è solo un piacevole passatempo per chi non è più dominato da desideri più prepotenti, non qualcosa che possa capire e cambiare il mondo».