L’ordine del cuore, trattato di “etica e teoria del sentire” di Roberta De Monticelli, si contrappone con fermezza tanto alla tesi che senza Dio non si darebbero valori, quanto al riduzionismo razionalista che forma tanta parte del senso comune. Lo fa tratteggiando i nodi cruciali di un’etica alternativa, e forse sconosciuta ai più a causa di una scarsa esposizione massmediatica del movimento fenomenologico in filosofia. Lo fa con due mosse semplici e complementari: riconoscendo al cuore un ruolo psichico e ai valori uno statuto ontologico.
Secondo l’autrice i valori non sono costruzioni sociali, come invece vorrebbe un certo razionalismo utilitarista: i valori sono realmente presenti nelle persone, negli esseri viventi, nelle cose, a disposizione della scoperta, proprio come le leggi della fisica. Il cuore, in senso quasi letterale, è l’organo predisposto e appropriato a percepire i valori, esercitando una funzione che comunque non priva la razionalità di importanza o grandezza.
È comprensibile – e probabilmente anche legittimo – che la copertina, il titolo, l’andamento leggiadro, coinvolgente e limpido dell’esposizione possano attivare nel lettore pregiudizi e barriere di difesa anti-new age. Ma la filosofia che De Monticelli descrive sembra aspirare a un rigore del tutto estraneo ai facili sincretismi del mercato spirituale, sembra ambire a una costruzione filosofica sistematica. Dopo una breve introduzione alla fenomenologia, De Monticelli delinea una filosofia della persona, una teoria degli affetti, esamina i conflitti descritti dalla tragedia, la contrapposizione tra sentire e volere, i casi di passioni fredde – alla luce dei quali reinterpreta la teoria della banalità del male di Hannah Arendt, rinvenendo la causa del male in una cecità del sentire, in un’incapacità percettiva nei confronti dei valori – considera la soglia del rispetto interpersonale, l’esattezza dell’attenzione, i risvegli emotivi e le paludi dell’inaridirsi.
Desta grande interesse la possibilità di una prospettiva che salvi laici, atei e razionalisti dall’accusa di relativismo: l’ordine del cuore, infatti, non si contrappone alla logica, che come è noto si cura delle relazioni e non dei contenuti, bensì le si affianca restituendo all’essere umano una completezza che, se pure ancora abbozzata, permette di rendere conto di quei moti di umanità che la maggior parte di noi prova nella quotidianità; d’altra parte attribuire all’essere umano la capacità di sentire i valori, e ai valori un’esistenza indipendente dalla percezione che di essi si ha, significa rendere dispensabile – se non dannoso – un libretto di istruzioni da seguire per potersi dire moralmente corretti; anzi, il trattato sembra svelare proprio il relativismo strisciante di coloro che temono l’esclusione di un dio perché senza un dio non vi sarebbe più una guida ai valori. Riecheggia qui il dialogo tra Socrate e Eutifrone, e la domanda se il dio voglia il bene perché è bene o se il bene sia bene perché lo vuole il dio.
L’ordine del cuore è una seria e coraggiosa indicazione di ricerca, è il generatore di un piccolo dubbio che, se inseguito, può condurre a un’intera visione del mondo, radicalmente diversa da quelle che molti di noi ritengono essere le sole visioni del mondo possibili.