Lo schiacciapatate è brutto, ma almeno non ti attribuisce secondi fini. Esiste anche un livello più basso, in cui a minare la dimensione del dialogo è il presupposto che chiunque parli lo faccia non per sostenere ciò che dice – per riferirsi a qualcosa, per giustificare le proprie scelte, per affermare dei valori – ma per colpire qualcuno e/o allearsi a qualcun altro, per invidia o per interesse.
Il meccanismo è quello del trolling: a una critica nel merito, di qualsiasi tipo e in qualsiasi campo, si risponde con domande e affermazioni che implicano la certezza di moventi altri e che saltano a piè pari il merito della critica – «Perché ti rode?» o «Adesso che hai fatto il tuo lavoro, il tuo padrone è contento?» o «Brutta l’invidia!» – come se le opinioni fossero tutte uguali e servissero solo a segnalare una qualche posizione in qualche schieramento o consorteria; insomma, per il troll, se dici «Rubare è sbagliato» lo stai dicendo perché ancora non hanno beccato i tuoi amici, o per chiamarti fuori prima della catastrofe, o semplicemente perché questa volta hanno beccato un altro, magari di un altro schieramento, e non te, o perché vorresti rubare anche tu ma non te lo puoi permettere. Mai e poi mai perché credi che rubare sia sbagliato (e poi, direbbe un troll particolarmente patatista, che significa “sbagliato”?); come nello schiacciapatate, anche nel trolling il reale è distrutto: rimangono solo le intenzioni oscure, i moventi nascosti, le strategie, i livori, le alleanze, gli interessi.
Ora, accade che alcuni appoggino una critica a un certo modo di comunicare non perché condividano la critica, bensì perché ce l’hanno con chi in quel momento appare loro, secondo un’ottica ad hominem, come il bersaglio della critica. In altri termini: se io critico lo schiacciapatate di X, è possibile che Y mi appoggi – e lasci intendere di condividere la critica allo schiacciapatate o addirittura mostri di sostenerla energicamente – perché ce l’ha con X; nulla vieterà a Y di usare in un secondo momento lo schiacciapatate contro X, e, se cambiano gli schieramenti, contro di me.
Nel caso del trolling il surrealismo è esponenziale: immaginate che Y vi abbia appoggiato, tempo addietro, mentre facevate notare a X che non era corretto attribuire il movente di una vostra affermazione all’interesse di parte senza giudicare la tenuta dell’affermazione in sé. E immaginate che poi, in un secondo momento, mutati gli schieramenti, Y faccia trolling su di voi. Allora vi rendete conto di una cosa orrenda: vi rendete conto che quella volta, quella volta in cui voi e Y eravate dalla stessa parte e denunciavate il trolling e la devastazione dello spazio del dialogo e il ragionamento per consorterie, Y lo faceva solo perché gli altri facevano parte di un’altra consorteria; in altri termini: vi rendete conto che per Y la critica al ragionamento per schieramenti e consorterie valeva solo come ragionamento di schieramento e consorteria. In un secondo momento, gli stessi metodi che allora erano immorali perché usati dall’altro, Y li trova assolutamente legittimi, perché usati da lui. Per dirla con Eutifrone: è bene ciò che è caro agli dèi.
Però, in questo discorso sul trolling, sembra celarsi un inghippo: l’accusa di trolling è di fatto un processo alle intenzioni e, benché sia formulata diversamente, sembra reiterare gli stessi non-argomenti del troll.
Calma. Non è così. Basta tentare di avere uno sguardo semplice sulla realtà senza semplificare la realtà.
Io ho due dati: Troll mi fa un processo alle intenzioni senza portare un argomento; Troll mi attribuisce un movente nascosto che nulla ha a che vedere con ciò che dico e con le argomentazioni con cui lo sostengo (ed è importante che io argomenti ciò che sostengo; in caso contrario potrebbe sembrare che io voglia davvero attaccare a tutti i costi l’inattaccabile).
Sulla base di questi dati credo di essere autorizzato a pensare che Troll sia mosso da un movente personale simile alle intenzioni che mi attribuisce, e che nel suo mondo un’opinione valga l’altra, e che per lui il vero e il falso e il giusto e lo sbagliato dipendano da chi compie o dice cosa. La differenza tra me e Troll è che io posso ricredermi, e mi ricrederò quando Troll si deciderà a riferirsi a qualcosa, a sostenere la sua opinione e/o a opporsi alla mia con un argomento, anche sbagliato, anche folle.
Tuttavia il fatto che io possa pensare che il meccanismo del trolling sia vero non significa che io sia autorizzato a considerarlo consapevole. “Trolling inconsapevole” può sembrare un controsenso, un ossimoro, ma direi che è più un cortocircuito semantico: ciò che voglio dire è che Troll fa consapevolmente ciò che fa, e, facendolo, fa inconsapevolmente il male, e questo perché pensa che il male sia bene, o quanto meno neutro. Sinceramente credo che la televisione, i giornali, il bar e ora i social network, sui quali si riversa una quantità di meccanismi da televisione, da giornale e da bar, abbiano convinto Troll che questo modo di comunicare e questo modo di pensare siano corretti, anzi, che siano gli unici possibili, e che lo siano perché – gli ripetono – non c’è nulla oltre l’interesse personale, non c’è nulla oltre il guadagno, non c’è nessuno che non possa essere comprato; insomma, gli ripetono il nichilismo.