È uscito Funambole di Isabel Farah (Marco Del Bucchia Editore).
Sedici monologhi: Medea, Penelope, Arianna, Clitennestra, Leda, Filomela, Egle, Giocasta, Ersilia, Andromaca, Euridice, Frine, Ermione, Rossane, un’amazzone, Antigone.
Un estratto da “Medea” è stato pubblicato su Scrittori Precari.
Qui ho pubblicato “Penelope” in versione integrale.
Qui ho pubblicato “Ermione” in versione integrale.
Qui sotto pubblico “Clitennestra” in versione integrale.
Funambole di Isabel Farah si può ordinare da qui.
Domenica 17, alle 17, Isabel e io lo presentiamo alla Biblioteca San Giovanni di Pesaro
Clitennestra
Pentirmene? E perché mai? Non c’eravate voi, giudici, a mettere il mio cuore sulla bilancia, non potete sapere com’era leggero quando Agamennone, grasso come un bue, moriva davanti a me.
Non ci siete voi, giudici, nel mio corpo. Non siete donne, non siete in grado di giudicare una donna.
La verità è che avreste fatto tutti la stessa cosa, la verità è che lo sapete che la legge che predicate non è nemmeno la vostra. È la legge di dio, ma qui non c’è nessun dio. E nelle nostre vene, cari giudici, scorre un colore: rosso. Rosso come la porpora, giudici, come l’amore, come la violenza. Fa caldo, giudici, lo sentite anche voi quest’odore di natura gravida. Quest’odore di seme mi disgusta, insieme al frinire delle cicale. Lo sa Dioniso cosa significa. Lo sa lui che nell’eros c’è un coltello, che il ciclo prevede morte a seguito di vita. L’odore è insopportabile.
E nemmeno ho esagerato; vi ho risparmiato lo spargimento di sangue del rito bacchico.
Ho ucciso perché era giusto che lo facessi. Per gelosia di me, per avergli regalato il mio cuore.
Come, non lo capite? Io, Clitennestra, davanti a voi, giudici. Colpevole di essermi sentita ferita? Pago io per il male che mi è stato inflitto: se in passato mi fossi regalata meno a lui, a quest’ora avrei ignorato il suo ritorno.
E poi per me non è nemmeno Agamennone colui che è morto, sì, che ho ucciso, non ho paura di dirlo. Un soldato non è un animale, lui lo era. Voi rispettate dunque un uomo per l’abito che veste, per i calzari che mostra. O lo rispettate in quanto uomo e uomo di potere. Perché Agamennone, sapete bene, è morto molti anni fa. Al suo posto, uno stupratore depravato. Ma già, scordavo, lui non paga. Il servitore della patria, il vir, come potreste sputare sulla sua tomba la verità? Questo è ciò che non volete sentire. La vostra ubris, signori, è l’inizio della vostra fine: vendete profumo di giustizia, io sento puzza di legge. E ora mi trovo in un quell’angolo di voi che non vi piace visitare, che non amate illuminare. Sono venuta fin qui per dirvelo: uccidete me e poi lavatevi le mani; andrete a stare dove sono i colpevoli, farete compagnia ad Agamennone. Uccidete me, giudici, ma la mia voce rimarrà per sempre in quell’angolo polveroso, mi ci trovo piuttosto bene, non è poi così piccolo come lo si immagina. Passerò le notti a perseguitarvi. Passerete notti insonni confessandovi sottovoce che Clitennestra è stata messa al rogo per l’indefesso perpetuarsi del crimine della legge. Perché non si dia spazio a nulla che possa sfuggire al controllo dei potenti. Finiamo subito questa sceneggiata, giudici. Se ne avete il coraggio, toglietevi la toga. Sono curiosa di vedere cosa rimane di voi. Rido, sì. Come posso non ridere di fronte ai vostri occhi? Fingete di considerarmi folle, dissimulate la paura che vi incute la verità delle mie parole. Sapete meglio di me che lo spettacolo in cui recitate, di cui siete registi e attori, è precariamente forte; basta una parola, la mia, per lasciare, morendo, un dubbio. Ed eccola la mia parola, la mia contro la vostra. Io morirò, voi continuerete a giocare. Ma badate, siete in fallo. Avete la presunzione di essere divini. E divini non siete. Qualcuno giudicherà voi un giorno, vi metterà alla gogna per avere deciso di potere giudicare gli altri. Popolo, non la senti l’ira di Zeus? Qualcuno ha preso il suo posto senza nemmeno chiedergli il permesso. Potrei raccontarvi come sono andati i fatti, ma non devo rendervi conto di nulla. Agamennone è morto, qualcuno ne sente la mancanza? Mi rivolgo a voi, Micenei, sentite la mancanza del vostro re? Non cerco la vostra assoluzione, perché non riconosco il vostro giudizio. Agamennone è partito per strappare mia sorella a Paride. Nessuno mi assicura che non volesse tenersela lui piuttosto che renderla a suo fratello. Mia sorella, che odiate tanto. Se avessi ucciso lei sareste stati felici, vero? Ha causato tante sciagure. Ma perché mai toccare Elena? Ci pensate già voi a punirci in quanto donne, a metterci alla sbarra come uxoricide. E ho girato il coltello nel cuore della turca. Ma questo non importa, vero? D’altronde mi aveva rubato il soldato. Una donna è solo un suppellettile maschile, no? Io punisco lui, che ha ucciso mia figlia, che mi ha abbandonato per anni, che è tornato con una schiava come medaglia all’onore. Ho sbagliato, non avrei dovuto uccidere Cassandra. In fondo lei aveva già pagato caramente l’essere al mondo. Lui meritava di morire in modo più sanguinolento, invece; avrebbe dovuto scontare la pena per tutti e due. È per me che l’ho ucciso, ma ho reso giustizia a tanti col mio gesto.
Ma ora risparmia il fiato, Clitennestra, stai chiedendo a degli uomini di diventare donne, a dei potenti di rinunciare alla loro autorità. A dei presunti dèi di spogliarsi e di venire a prendere posto accanto a me. Clitennestra, tesoro, si sentono dio, si sono scelti la parte di dio. E, Clitennestra, non si può uccidere dio, nessuna legge, nemmeno quella della natura, ancora lo permette.