(un racconto di tredici anni fa)
Franco è alto e muscoloso, e quando sorride assomiglia a DeNiro. È simpatico, e sta spesso zitto. Prima faceva il falegname in una ditta. Era quando lavorava tutti i giorni e si svegliava ogni mattina alle sei e mezza. Tutte le mattine alle sei e mezza sentivo la sua radiosveglia, nell’altra stanza. Tre secondi di radiosveglia, poi una manata. E anche se la sera prima si era spaccato la testa, ed era andato a letto alle quattro con la pelle gialla, alle sei e mezza la radiosveglia saltava su a fare un gran baccano, e poi c’era la manata, il rumore della doccia, la porta di casa che sbatteva e il silenzio che tornava. Mi riaddormentavo.
Circa tre settimane fa mi sono svegliato – saranno state le nove e mezza – e ho trovato Franco che faceva colazione in sala, con un cappuccio e una brioche vuota, di quelle che si comprano in pacchi al supermercato. Gli ho domandato come mai fosse in casa. Mi ha detto che non si era svegliato. Ci ha pensato un po’ e poi ha aggiunto che, visto come stavano le cose, doveva assolutamente correre dal medico a farsi fare il certificato. Mezz’ora dopo si è alzato da tavola, ha preso la giacca dall’attaccapanni ed è uscito di casa. Quella sera siamo stati a casa a guardare la televisione.
Il giorno dopo io mi sono svegliato presto, per uscire e fare delle cose che dovevo fare. La porta di Franco era chiusa e la casa immersa nel silenzio. Quando sono tornato, all’ora di pranzo, Franco era in sala. Era indaffarato a falsificare la data sul certificato medico per allungare il periodo di malattia. Allora gli ho fatto notare che l’intera operazione era facilmente smascherabile, perché le cifre risultavano visibilmente corrette a posteriori. Franco ha sollevato la faccia e l’ha messa tipo ‘fa lo stesso’: con il labbro inferiore sporgente e gli occhi quasi chiusi. Ha mosso la testa di lato, come a dire: ‘massì va bene’. Poi ha aggiunto che se gli dicevano qualcosa, lui diceva che il suo medico si era sbagliato a scrivere la data e aveva dovuto correggerla, dato che era indocinese. Allora mi sono messo sul divano e ho acceso la tele su TMC2.
Dopo un po’ è arrivato il suo amico Maurizio. Maurizio è un tipo grassottello, che si muove e parla molto lentamente. Quando è arrivato ha appeso la giacca all’attaccapanni, come sempre: noi infatti lo chiamiamo “l’attaccapanni di Maurizio”, prima non lo usavamo nemmeno; poi Maurizio si è seduto sul divano a guardare TMC2, fino a che Franco non ha detto che voleva uscire. Allora Maurizio si è alzato dal divano molto lentamente e attentamente, e sono usciti. Il giorno dopo ho sentito la radiosveglia alle sei e mezza, poi il rumore della doccia e poi la porta di casa che sbatteva.
Nei giorni seguenti qualche volta è capitato che Franco fosse a casa ugualmente. Quando non andava al lavoro stava in sala: faceva colazione davanti alla tele col cappuccio e la brioche vuota, oppure stava disteso sul divano a leggere fumetti. Altre volte, ma di meno, non usciva dalla camera: teneva la porta chiusa e alle undici del mattino si sentiva il punk rock violentissimo uscire dallo stereo. Altre volte ancora andava al lavoro. A una certa ora veniva a suonare Maurizio. Franco prendeva la giacca dall’attaccapanni e usciva. Non capivo bene quello che succedeva, e a un certo punto Franco ha preso a stare a casa tutti i giorni.
Tre giorni fa ho domandato a Franco perché non stesse più andando al lavoro. Mi ha risposto che era in ferie e che il giorno dopo doveva ritornare, poi non ha detto più nulla. Il giorno dopo mi sono svegliato tardi e c’era Franco in sala che faceva colazione con il cappuccio e la brioche vuota. Guardava TMC2. Gli ho chiesto come mai non fosse al lavoro, dato che le ferie erano finite. Mi ha detto che si era licenziato, mi ha sorriso come DeNiro e ha rimesso lo sguardo su TMC2. Mi sono seduto sul divano a leggere i fumetti.
Ieri pomeriggio Franco è tornato a casa dopo essere uscito con Maurizio. Era molto allegro: sembrava tantissimo DeNiro. Si è seduto accanto a me e ha voluto a tutti i costi raccontarmi di come quel pomeriggio lui e Maurizio fossero usciti a cercare un nuovo lavoro, dato che si era licenziato. Prima erano andati in una ditta dove c’erano due posti liberi e ai tizi loro stavano bene, ma Franco aveva detto a Maurizio che se avevano trovato lavoro così facilmente al primo colpo dovevano approfittarne e cercare un posto migliore. Così avevano detto ai tizi che se volevano i posti passavano prima delle sei a confermare. Maurizio non era molto convinto, aveva paura di perdere quell’opportunità, allora Franco gli aveva detto che in ogni caso il primo posto che trovavano da quel momento in poi lo prendeva lui, Maurizio, e che quindi stesse tranquillo. Erano andati da un’altra parte, sempre con gli annunci. La seconda ditta era piccola: stava tutta in una sala, ufficio e macchinari da lavoro. Dentro ci stavano solo il padrone e sua figlia. Avresti dovuto vedere che figa, ha detto Franco, mora, piena, due tette da paura; il padre lavora e la figlia tiene i conti, ha continuato Franco, il padre ci dice che ha bisogno solo di uno, almeno può sbrigare altre faccende e correre in giro a far consegne, allora io guardo la figa e la figa mi sorride, guardo Maurizio, non sorride, torno a guardare la figa e la figa mi sorride, e io dico che il posto lo prendo io.
Qui Franco ha unito le mani e le ha mosse avanti e indietro: vedessi che tette, mi ha detto, vedessi che figa! Io me la scopo. Certo, ha precisato Franco, in quel momento ho pensato che bisognava trovar il posto per Mauri, povero Mauri, ma il tipo della ditta mi stava dicendo che potevo cominciare direttamente il giorno dopo e io guardavo le tette e dicevo di sì.
Poi Franco ha taciuto come se stesse ricordando qualche cosa; ha gettato un occhio alla tele e si è mangiato un’unghia. Si è voltato di nuovo verso di me e ha ricominciato a parlare.
Ah! Poi siamo tornati alla prima ditta, ha detto, per Mauri, ma là ci hanno detto che solo uno non lo prendevano; in realtà prima ci hanno chiesto chi fosse dei due, ma Maurizio non deve averli colpiti molto, ci avrebbero preso solo in blocco. Allora siamo andati da altre parti, seguendo altri annunci, ma non abbiamo trovato il posto per Mauri. Sembrava triste, povero Mauri.
A questo punto Franco si è rimesso a guardare la tele come prima. Era visibilmente soddisfatto. Domani, domani… l’ho sentito ripetere, domani comincio, ma vedessi che tette! faceva. Allora ci siamo voltati tutti e due verso la tele. C’erano dei cartoni animati brutti, di quelli dove si muove solo la bocca ed è una bocca vera. Franco si è alzato e ha messo su TMC2.
Oggi mi sono svegliato alle undici e sono andato in sala. C’era Franco che faceva colazione mentre guardava TMC2. Inzuppava la brioche vuota nel cappuccio. Gli ho chiesto se non dovesse cominciare il nuovo lavoro proprio questa mattina. Ci ha messo un po’ a rispondermi, perché era preso dalla tele. Mi ha fatto un cenno di assenso con la bocca piena, ha fatto un gesto vago con la mano, come chi dice ‘campa cavallo’, e ha cambiato canale, ha fatto un giro di zapping, poi è tornato su TMC2. In quel momento qualcuno ha suonato alla porta. Sono andato ad affacciarmi e ho visto Maurizio che mi guardava dal basso. Era schiacciato e tondo. Guardava verso l’alto come se facesse fatica.
C’è Franco? mi ha chiesto. Sì, ti apro, gli ho detto. No, digli di scendere, ha risposto Maurizio. Allora sono tornato di là. Franco ha alzato il mento come a dire ‘chi è?’ Maurizio, gli ho detto. Allora Franco si è messo in bocca l’ultimo pezzo di brioche e ha bevuto l’ultimo sorso di cappuccio. Poi è andato in corridoio, ha staccato la giacca dall’attaccapanni di Maurizio, mi ha salutato con un cenno e ha preso la via della porta. Ho sentito la porta sbattere. Allora ho spento la tele e sono andato in camera. Mi sono guardato un po’ intorno: non sapevo bene cosa fare. Mi sono affacciato alla finestra. Ho guardato Franco e Maurizio arrivare in fondo alla via e svoltare. Ho guardato anche altre persone che passavano nella via, soprattutto donne. Poi sono tornato in sala, ho preso la tazza di Franco e sono andato in cucina. Nel lavandino c’erano parecchi piatti sporchi. Ho aperto il rubinetto dell’acqua calda, ho messo un po’ di detersivo per i piatti sulla spugna e ho lavato la tazza di Franco. Quando ho finito l’ho appoggiata sul piano del lavandino. Mi sono seduto sulla sedia e l’ho guardata a lungo. Ero molto sodisfatto perché mi sembrava ben lavata. La casa era immersa nel silenzio. Dopo un paio di minuti mi sono alzato dalla sedia, ho di nuovo aperto l’acqua calda e versato il detersivo sulla spugna, e mi sono messo a lavare tutti i piatti. Dopo una mezz’ora, tre quarti avevo finito. Allora mi sono seduto sulla sedia e mi sono messo a guardare i piatti che scolavano. Forse volevo andare di là, ma mi piaceva tantissimo guardare i piatti luccicare. Avevo le mani tutte grinzose, e umide.