Ciò che è nuovo, «inusitato», nel rapporto emozionale di Francesco con la natura è il fatto che i prodotti e i processi della natura hanno un senso espressivo proprio, senza una relazione allegorica con l’uomo e con le situazioni umane in generale. Che anche il sole, la luna, il vento, ecc. che non hanno alcun bisogno dell’amore caritatevole e compassionevole, vengano salutati ed esperiti dall’anima come fratelli e sorelle; che le creature, anche nel loro contesto metafisico (e solo con l’inclusione dell’uomo), vengano rapportate immediatamente al loro Creatore e «Padre» come esseri esistenti per sé ed anche (in rapporto all’uomo) del tutto indipendenti nel loro valore: è questo l’elemento nuovo, sorprendente, straordinario, antiebraico, nell’atteggiamento del Santo.
[…] In Francesco siamo tanto lontani dall’unipatia indiana (o dall’identificazione nel dolore) e dall’unipatia greca (o dall’identificazione nella gioia), quanto siamo lontani dall’unipatia panteistica con la natura, tipica del panteismo dinamico del Rinascimento. E tuttavia si dispiega in lui una concezione emozionale e intuitiva dei rapporti fra natura, uomo e Dio, differente non solo nel grado, ma essenzialmente e qualitativamente – una concezione che non si può mettere a confronto con nessun’altra fra quelle apparse fin dai primissimi tempi del cristianesimo in Occidente, ed è in stridente contrasto con tutto il precedente sentimento cristiano per la natura, dal primo cristianesimo, alla patristica e fin anche al tardo Medioevo. È arduo ridurre in concetti questo elemento «nuovo» — e tuttavia è facilissimo vederlo e sentirlo. Tre cose mi sembrano qui essenziali:
1. Il prodotto della natura è, per Francesco, già per la sua e nella sua esistenza oggettiva e per e nel suo esser-così, di per se stesso un simbolo, un indice, un rinvio, un indicatore significativo del Dio spirituale-personale — non lo è, pertanto, solo tramite «l’interpretazione» dell’uomo, la conoscenza dell’uomo, o anche le «conclusioni» che l’uomo ne trae; e non lo è nemmeno esclusivamente per il fatto ch’esso si presta per un’allegoria dei rapporti fra uomo e uomo o dell’uomo con Dio, come nel Vangelo. 2. La natura non viene intesa, al modo della scolastica, come un regno di forze e strutture rigidamente delimitate l’una rispetto all’altra (Francesco era un nemico dichiarato della scolastica e della sua dottrina della scala gerarchico-aristocratica degli esseri); la natura era bensì concepita come una totalità vivente, il cui rapporto coi fenomeni visibili della natura era qualcosa di analogo al rapporto che c’è, ad esempio, fra l’insieme del viso dell’uomo e le sue singole espressioni; è una sola vita divina che prende corpo nei prodotti della natura, che si «esprime» nei suoi fenomeni e processi. La natura è l’unico corpo dell’espressione di questa sola vita fluttuante, che prende corpo in tutti i prodotti della natura in forma di manifestazioni di se stessa che si trasmettono dall’uno all’altro. E la «perspicuità del cuore» può ben impossessarsi — assai più che la mera simpatia e l’amore caritatevole —, dall’interno, di questa vita divina della natura. 3. Dio, non viene esperito e pensato solamente come Signore e Creatore della natura infraumana, e «Padre» esclusivamente dell’uomo (mediante Cristo), ma anche come Padre amoroso della natura, sì che queste pure (per la mediazione della redenzione e della grazia di Cristo) entrino con lui in rapporto di con-figliolanza; e questo, in rapporto a noi uomini, deve essere naturalmente una relazione di fratellanza e sorellanza. Ma in questo modo anche l’unilaterale idea ebraica e romana del dominio dell’uomo sulla natura — idea che il Vangelo non annulla, ma solo ammorbidisce — in Francesco viene completamente frantumata nel suo stesso nucleo.
Max Scheler, Essenza e forme della simpatia
traduzione di Lucio Pusci