Un mercante sulla Strada Reale, ai tempi del re persiano Dario
Non ci sarà mai un’altra strada come questa.
Voi non potete neanche immaginarla, perché è così lunga che non entra nelle vostre teste.
Seguo la carovana di enormi carri cigolanti.
Io sono stato ovunque. Da ragazzo, accompagnando mio padre che fumava, mi sono inerpicato in luoghi inimmaginabili. Ma da quando il Re dei Re ha compiuto la strada tutto è diverso. Sembra la traccia di una gigantesca lumaca che spiana tutto. Non c’è più bisogno di inerpicarsi. È qui il centro del mondo, un centro lungo, e chi vuole vivere deve avvicinarsi, se i soldati lo lasciano passare. Ci sono moltitudini per le quali avvicinarsi è impossibile, immagino che sia perché se lo meritano.
All’andata porto oppio, al ritorno schiavi. Ma preferisco l’oppio, perché gli schiavi sono merce infida.
Mi si affianca il mio amico, anche lui è un mercante, indica una donna su un carro più avanti e con quegli occhietti furbi dice: «stanotte l’ho presa appoggiandola al recinto del caravanserraglio. Ho dovuto metterle una mano sulla bocca altrimenti i suoi gemiti facevano svegliare il marito».
Si batte una mano sulla enorme pancia, come se questo gesto dimostrasse la verità di quello che dice.
La donna ci guarda per un attimo, senza entusiasmo.
Ho con me tre animali: un gatto, una scimmia, e un molosso che mi protegge dai briganti. La notte dormono insieme sotto la coperta, intrecciati. Carezzo il gatto e per rispondere al mio amico dico: «ah», guardando altrove.
Non è tipo da lasciarsi scoraggiare, riprende e mi racconta i particolari. Ogni tanto le sue storie sono vere, può darsi, solo che me le racconta quasi ogni giorno ed è troppo.
È dotato di una grande forza fisica, è volgare, ributtante. Gli voglio molto bene.
La strada è sbarrata da una pattuglia.
Eccoci, bloccano anche i nostri due carri. Controllano il mio carico dieci volte, fanno innervosire la scimmia che saltella.
Nonostante la strada splendente stanno accadendo cose terribili. I soldati non riescono a impedirlo perché ne sono parte. Ogni tanto uccidono qualcuno per far vedere che vigilano. Non vorrei che fosse il mio turno.
Mi squadrano con arroganza criminale, chissà in quale galera sono stati arruolati. Il più giovane mi strattona per umiliarmi. È come se volessero provocare una reazione.
Il mio amico interviene, dice qualcosa, non capisco, non è aramaico né persiano. Deve essere la sua enorme pancia che ha l’aria di contenere un segreto che convince i soldati a farci passare.
Mi sorride come a dire: hai visto? In realtà dice: «li devi capire, quegli idioti. Avevano paura più di te». E ride.
Riprende: «gli ho dovuto spiegare che non siamo di qui. Allora si sono tranquillizzati. Come sei pallido. Bevi questo», e mi tira una fiaschetta.
Il cane, il gatto e la scimmia si riaccucciano quieti e ci mettiamo, tutti e quattro, a guardare la strada che ci risucchia. Come è bella e immensa! L’hanno fatta per attraversare il mondo, ma alla fine è diventata il mondo. Ora l’erba medica, i piselli, il cotone, il sesamo, possono trovarsi nello stesso luogo; i peschi, gli albicocchi, i noci, i mandorli, possono crescere accanto; le galline, i coccodrilli, i pavoni, le colombe, i falconi e le tigri si guardano negli occhi con stupore. La strada permette di avere donne di ogni regione della terra. Tutti seguono la scia, devono farlo. Dario ha compiuto qualcosa di meraviglioso e l’uomo non sarà mai più così perfetto.
Enzo Fileno Carabba, Il molosso. La leggenda del cane