Ti sei mai chiesto perché ciò che la gente come me ha imparato da voi si limiti solo a come imprigionarsi e uccidersi a vicenda, come governare malamente e come prendere le ricchezze del nostro paese e depositarle sui conti svizzeri? Ti sei mai chiesto perché ciò che abbiamo imparato da voi si limiti solo a come corrompere la nostra società e a come diventare dei tiranni? Dovrai ammettere che è soprattutto colpa vostra. Lascia che ti dica che impressione ci avete fatto. Voi siete arrivati. Vi siete presi cose che non erano vostre e non avete nemmeno chiesto il permesso, tanto per salvare le apparenze. Avreste potuto dire: «Posso prenderlo, per favore?» e, anche se sarebbe risultato subito chiaro a tutti che un sì o un no non avrebbe cambiato nulla, ci avreste fatto una figura di gran lunga migliore. Credimi, avrebbe avuto ripercussioni importanti. Avrei dovuto almeno ammettere che eravate educati. Avete ucciso la gente. Avete imprigionato la gente. Avete derubato la gente. Avete aperto le vostre banche e ci avete messo dentro i nostri soldi. I conti erano a vostro nome. Le banche erano a vostro nome.
Fra di voi dovevano esserci anche delle brave persone, ma quelle sono rimaste a casa. Ed è questo il punto. E’ per questo che sono delle brave persone. Sono rimaste a casa. Eppure, se ci pensi bene, devi essere un po’ triste. La gente come me, finalmente, dopo anni e anni di disordini, ha pronunciato discorsi profondamente toccanti ed eloquenti sull’iniquità della vostra dominazione su di noi, e poi, finalmente, dopo che i vostri corpi mutilati, il tuo, quello di tua moglie e dei tuoi figli, sono stati ritrovati nel vostro bel bungalow spazioso ai margini della vostra piantagione di caucciù – ritrovati da uno dei molti domestici della vostra casa (niente di tutto ciò è mai stato vostro; non è mai, dico mai, stato vostro) -, tu mi vieni a dire: «Be’, io me ne lavo le mani, adesso me ne vado», e te ne sei andato, e da lontano te ne stai a guardare mentre facciamo a noi stessi le cose che una volta voi facevate a noi. Ma forse pensi che ci sia dell’altro, forse pensi che avevate compreso il significato dell’Età dei Lumi (anche se, per come la vedo io, non vi aveva fatto un gran bene); voi amavate il sapere e ovunque andavate facevate in modo di costruire una scuola, una biblioteca (sì, e in entrambi i posti distorcevate o cancellavate la mia storia e celebravate la vostra). Ma poi, forse, mentre osservate il disastro in cui io vivo ora, lo sfacelo senza speranza cui è ridotta la mia vita, forse ricordate di aver sempre pensato che la gente come me non è in grado di amministrare le cose, la gente come me non afferrerà mai il concetto di Prodotto Nazionale Lordo, la gente come me non sarà mai in grado di assumere il comando delle cose che i più sempliciotti tra voi padroneggiano facilmente, la gente come me non saprà mai che cosa significa governare di diritto, la gente come me non conosce veramente il pensiero astratto, la gente come me non può essere obiettiva, prendiamo tutto come un fatto personale. Voi dimenticherete il ruolo che avete svolto nell’organizzazione di tutto questo, che la burocrazia è una vostra invenzione, che il Prodotto Nazionale Lordo è una vostra invenzione, e che tutte le vostre leggi favoriscono misteriosamente soltanto voi. Sapete perché la gente come me è intimidita dal capitalismo? Ebbene, perché da quando vi conosciamo non siamo stati che capitale, qualcosa di simile a balle di cotone e sacchi di zucchero, e voi eravate i crudeli capitalisti al comando, e il ricordo di tutto ciò è così forte, l’esperienza così recente, che non ci riusciamo proprio a fare nostra questa idea che vi pare tanto importante. In quanto a ciò che eravamo prima di conoscervi, non me ne importa più niente. Nulla mi è di conforto: né i periodi in cui i miei antenati esercitavano il proprio impero, né i documenti che testimoniano civiltà complesse. Anche se è vero che discendo da persone che vivevano come scimmie sugli alberi, era meglio essere così che come sono ora, come sono diventata dopo avervi conosciuto.
Jamaica Kincaid, Un posto piccolo