(Questo post è fatto con le note a piè di pagina dell’ultimo episodio della Società dello Spettacaaargh!, al solito, su Scrittori Precari)
Quando vivi in una roccaforte così rocca e così forte, fai pensieri sul PD che probabilmente nessuno altrove farebbe. Ti domandi come guarderesti a tutto ciò se fosse il tuo partito – che non c’è – a essere una cosa sola con il Comune; ti sfiorano sogni del Novecento, a volte ti domandi se saresti stato integrato, organico, nella Pesaro degli anni Settanta, se in fondo, in quell’ottica, la sovrapposizione tra Comune e Partito fosse coerente, sensata – Pesaro è un luogo dello spirito, si diceva allora; ti domandi se non sia questo il tuo partito e tu stia solo ponendo un’irrazionale resistenza (sei un fondamentalista! fondamentalista!), e chiami sovrastrutture ciò che da dentro chiameresti narrazioni, chiami deriva, dominio della tecnica, apparato impolitico, vuoto ideologico, macchina che si autoproduce ciò che un sensato leninismo chiamerebbe necessità storica e che gli immancabili delle Feste dell’Unità chiamano semplicemente il Partito, e lo votano da sessant’anni così come i cattolici vanno alla messa la domenica.