«44. La tattica che l’Osceno persegue è lungimirante e, al tempo stesso, delirante. Inutile volerle opporre i solidi argomenti di una ragione o quelli dell’interesse comune. Credere di poterla criticare in nome della coerenza e della ragionevolezza, significa dimenticare come il potere ubuesco si fondi proprio sulla sua incoerenza ossia sulla possibilità di cancellare ogni contraddizione tra una versione dei fatti e quella successiva, tra un’opinione e l’altra, come tra due immagini tra loro contrastanti. Ma è anche vero che, nel momento in cui ha potuto deridere ogni interlocutore che provasse ad argomentare razionalmente le sue affermazioni, il potere ubuesco ha cancellato di fatto la possibilità stessa di una dimensione pubblica. A tal scopo ha addestrato un piccolo esercito di professionisti della menzogna, abituati a interrompere sistematicamente ogni ragionamento, facendo passare gli altri per pesanti e indigeribili intellettuali e se stessi per brillanti conversatori, quando invece sono solo squadristi mediatici.
Categoria: Riflessioni
Tricolori (parte prima)
Ieri ci sono state le celebrazioni dei centocinquant’anni dell’unità d’Italia, e c’è stato il fioccare di tricolori nelle immagini dei profili facebook. Sarò molto semplice, perché parlo di come mi sento, e questa non è un’analisi se non di un sentire.
Quando vedo il tricolore, nella mia mente – così, su due piedi – non si formano le immagini dei nostri paesaggi pazzeschi, della nostra arte, della nostra letteratura, né viene richiamata l’idea della nostra lingua, che amo. Quando vedo la bandiera, le immagini che si formano nella mia mente e le idee che vengono richiamate alla mia mente sono l’inno di Mameli, le Frecce Tricolori, la retorica su Romanità e Risorgimento, e, al massimo, una poesia di Pascoli imparata a memoria.
Cioè: il simbolo rimanda a se stesso ovvero rimanda ad altri simboli che rimandano ai simboli stessi o al simbolo stesso. Nella mia mente la significazione è circolare, la simbologia è vuota.
Sette plugin indispensabili al cervello
È sempre più importante, a fronte della grande quantità di input cui la rete sociale ci sottopone, rendere stabili i nostri cervelli; per questo motivo ho deciso di scrivere questo post sui plugin che ritengo davvero indispensabili per avere un cervello ottimizzato. Naturalmente i plugin che ho preso in cosiderazione sono tutti disponibili su supporto book, a pagamento nelle librerie fisiche e on-line, oppure gratuitamente nelle biblioteche fisiche della vostra città, dove potrete prenderli in prestito e restituire il supporto dopo aver caricato le informazioni nei vostri cervelli.
E il legno senza radici
Il 13 febbraio, cioè il giorno di Se non ora quando, Eugenio Scalfari ha scritto qui: «A noi non importano molto i peccati perché siamo libertini illuministi e relativisti. A noi importano gli eventuali reati e chi pecca e crede confidi nella misericordia di Dio».
Si è già detto qui del sostanziale accordo tra la seconda parte di una simile dichiarazione e la metafisica ratzingeriana: entrambe poggiano sull’assunto che sia impossibile rinvenire una scala di valori al di fuori della religione, e in particolare di una religione basata su una teologia volontarista. Se non fa notizia il relativismo di Scalfari, fa un certo effetto leggere una dichiarazione del genere – «a noi importano gli eventuali reati» – in una giornata come quella del 13.
Un altro maschio è possibile (1)
«Mi accorgo che la riflessione sul maschile è ormai per me quasi un’ossessione che mi impedisce di guardare il mondo con occhi “innocenti”. Mi è impossibile osservare una manifestazione, un servizio giornalistico sulla guerra, un’assemblea, senza notare come agisca una dinamica “virile”, una richiesta di appartenenza, una delega al gruppo in nome di un’emergenza rappresentata dal nemico esterno, una proposta di fedeltà a una storia comune. Non posso fare a meno di accorgermi che su un palco o in una sala riunioni sono tutti uomini, non riesco a osservare con indulgenza i maschi che nei cortei si mettono davanti agli striscioni gridando gli slogan con il megafono o l’eccitazione con cui fronteggiano virilmente la polizia e gli avversari politici. Così nella mia vita professionale non posso più fare a meno di percepire come insostenibili i comportamenti che affermano l’autorità, che ricercano complicità maschili in un giudizio su una collega o usano le competenze e i risultati come strumenti di una gara di misura della propria virilità.
Il discorso dell’altro
Io il “delizioso contrappasso” di cui parla Federica Sgaggio un po’ lo vedo. Ma non da qui, sia chiaro: lo vedo, per così dire, dal futuro. Immaginando il futuro, e immaginando che Berlusconi sia stato condannato, e che il fato abbia voluto che a giudicarlo fossero tre donne, riconosco alla storia un certo sapore mitologico. Ma chiaramente il piano simbolico e il piano delle ragioni rimangono e devono rimanere separati, quindi sono d’accordo con Federica quando scrive:
Possibile che tre donne non possano essere in disaccordo fra loro? Poiché son donne son tutte fieramente compatte?
Credo che ciò sia un sintomo di quanto scrivevo tempo fa in merito all’assunzione indebita che si fa, da una parte e spesso anche dall’altra, in relazione ai motivi per l’azione:
La soluzione dello sguardo (in discesa e risalita)
C’era un pezzo molto bello e vero di Ferdinando Camon, intitolato Noi e le rivoluzioni arabe, che purtroppo non trovo più in rete.
Devo dire che lì per lì la chiusa mi aveva lasciato perplesso:
Ma chi ha rivelato ai popoli arabi, che adesso si agitano, le storture del loro sistema politico? Gli emigranti che tornano, le tv straniere, la rete di Internet, l’informazione estera. Il modo in cui ci vediamo noi, da soli, non ci dice come siamo. Dobbiamo capire come ci vedono gli stranieri. I loro giornali, le loro tv, i loro politici, i loro inviati, i loro scrittori. Ci serve uno specchio, per vederci in faccia. E se vedessimo la nostra faccia come la vedono gli stranieri, cercheremmo subito di cambiarla.
Però, per essere sicuri che “cercheremmo subito di cambiarla”, bisognerebbe sapere cosa leggerci, in quel “come la vedono”, se la semplice visione o anche la sensibilità e il pensiero che interpretano la visione.
È infelice chi è solo
Nel 2010, in ottobre, il presidente della Provincia di Pesaro e Urbino Matteo Ricci ha annunciato, per il giugno del 2011, il Festival Nazionale della Felicità: «Non possono toglierci la voglia di progettare il futuro», ha dichiarato.
A novembre del 2010, il molo del porto si è spezzato. Sul serio: il molo del porto di Pesaro si è spezzato e si è inclinato verso il mare durante l’interruzione dei lavori per trasformare il porto in porto turistico.
A Natale, Matteo Ricci auspicava la trasformazione del centro storico in un «centro commerciale naturale». In quegli stessi giorni veniva eretta in Piazza del Popolo la tensostruttura per il cenone di capodanno. Tutt’attorno, nella piazza, una dozzina di casette di montagna prodotte in serie vendeva oggetti artigianali prodotti in serie e/o oggetti artigianali che tentavano disperatamente di sembrare oggetti prodotti in serie. Insomma, «un Natale sobrio», come ha riassunto soddisfatta la copertina di Con, il notiziario del Comune.
La notte di Natale, sotto l’albero della Piazza, sono state contate solo quattro risse.
Facciamo che ci siamo svegliati
Non è un film su Berlusconi, ma è arrivato il momento di seppellirli con una risata.
Giulio Manfredonia parlando di “Qualunquemente” (leggi l’articolo)
È arrivato il momento di, davvero, ridere di questo.
Antonio Albanese riferendosi a non tutti i politici italiani (guarda il video)
Il giorno dopo Berlusconi, non ci sarà un post–berlusconismo. Ci sarà solo un paese, ci si sveglierà e inizierà una nuova giornata raccontandosi un sogno che non è diventato realtà. E forse avremo anche la forza, ripensandoci, di riderci un po’ su…
Così scrive Filippo Rossi in un articolo che non trovo più in rete (discutendo, tra le altre cose, del mimetico film di Albanese e Manfredonia, sul quale forse c’è da riflettere più di quanto mi pare si stia riflettendo).
Ma ci sto: immaginiamo di svegliarci, come dice Filippo Rossi, facciamo che un giorno ci siamo svegliati. Facciamo che tutto questo è finito, che siamo nell’Italia delle lenzuola fresche di bucato appese ai fili dei terrazzi, l’Italia del vociare innocente, dei gerani sui balconi, degli spaghetti gettati nell’acqua limpida, dei tetti rossi di tegole, delle rondini, una seconda repubblica nata dal sacrificio di Falcone e Borsellino, dall’ottimismo progressista post-mani pulite, da “Avanzi”, dalle posse, dai film di Salvatores, dalla rai de “I ragazzi del muretto”; insomma: facciamo che improvvisamente ci siamo risvegliati in un universo parallelo, l’altro ramo della biforcazione, l’altra storia che poteva svilupparsi dal 1993 (perché non credo che Filippo Rossi intenda dire che ci risveglieremo nel 1993). Facciamo anche finta, dunque – affinché si possa pensare davvero che ci siamo destati da un sogno, come vuole Filippo Rossi –, che la Lega Nord sia un minuscolo, irrilevante partito di fanatici; che ci siano lavoro e diritti per tutti; che il G8 di Genova non sia andato come è andato.
Dichiarazione politica
Essere berlusconiani non è avere in tasca la tessera del PDL. È la riduzione del linguaggio a superficie, e poi la sua stratificazione a oltranza; è ridere, nel linguaggio, dei corpi mercificati.
Essere antiberlusconiani non è andare al noBday, guardare Vieni via con me. Essere antiberlusconiani è rendere ragione e sentimento, è pretendere il riconoscimento della realtà logica e assiologica.