Brainwashball

Tim Hamilton, Ray Bradbury's Fahrenheit 451, 2009
Tim Hamilton, Ray Bradbury’s Fahrenheit 451, 2009

1. QUANTO ROSIKATE / CHI TI PAGA / QUANTE CAZZATE / Mi pare che le risposte automatiche segnalino un deterioramento dialettico anche rispetto alla vecchia situazione del trolling nella comunicazione politica (che ho affrontato qui e qui tempo fa): si riducono ormai alle tipologie elencate da Giuliano Santoro in questo commento (avere interessi nascosti, essere invidioso, fare discorsi da intellettuale). Segnalano un ulteriore deterioramento perché, mentre permane la forma dell’argomento contro l’uomo, oltre alla solita accusa di intellettualismo, la riduzione della gamma delle risposte dà l’idea di un aumento dell’automatismo. Le alternative più pacifiche a queste tipologie di risposta consistono nell’esaltazione del nuovo come valore in sé o nel terribile ritornello della richiesta di proposte alternative – indizio dell’ingombrante presenza di un mostruoso incrocio tra l’ideologia dell’efficienza e la forma mentis da par condicio, la quale viene trasposta fuori dal contesto mediatico-elettorale ed elevata a valore in sé, e in questo mi sembra recare con sé l’idea che una critica sia un attacco alla persona mosso da personalissime motivazioni, e che dunque si dovrebbe prestare il fianco a un colpo riparatore dell’onore, oppure tacere.
In merito al leggere ogni dissenso come attacco alla persona, nel secondo degli articoli linkati poco fa mi dichiaravo autorizzato a ribaltare l’accusa implicata dall’argumentum ad hominem addosso al suo utilizzatore: in altri termini, se qualcuno risponde a una mia manifestazione di dissenso attaccando me e insinuando ragioni che riposerebbero alle spalle del mio dissenso, in quel caso io mi ritengo autorizzato a considerare il mio interlocutore mosso dagli stessi motivi di cui mi accusa: se mi accusa di invidia, lo reputo generalmente mosso da invidia, se mi accusa di avere interessi economici o di potere, lo reputo generalmente mosso da interessi economici o di potere, e così via.

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UnumBomberz

Ho realizzato un videocorso di filosofia antica per Oilproject.
Questi sono i link ai singoli video:

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Narrazioni e relazioni

Se uno va dal medico, sarebbe certo felice di avere solidarietà, ma ciò di cui soprattutto ha bisogno sono risposte vere sul suo stato di salute. E quelle risposte non possono limitarsi a interpretazioni più o meno creative: devono essere corrispondenti a una qualche realtà che si trova nel mondo esterno, cioè, nella fattispecie, nel suo corpo.

Maurizio Ferraris, Manifesto del New Realism

Clicca per scoprire la verità

Mi trovo a discutere qui con l’amico Max Giuliani in merito a new realism e narrazioni. Max è quello che io definireri un relativista, ma non ho mai capito davvero in quale modo lo sia – i postmoderni sono un po’ sfuggenti, si sa :). Nello specifico Max mi chiama in causa riportando un concetto che io avrei espresso durante la presentazione del suo La terapia come ipertesto, e cioè «che la convinzione per cui il cuore della nostra esperienza sia in definitiva narrativo è una pericolosa concessione a qualche premessa del berlusconismo». Io non ricordo di aver sostenuto esattamente questo, quanto piuttosto di aver rinvenuto una concezione relativista alla base dell’uso che Max fa della narrazione in terapia, e probabilmente avrò detto che è il relativismo a essere connesso al berlusconismo, cosa che i lettori di Yattaran avranno già letto in qualche forma da qualche parte su questo blog, così come avranno già incontrato da queste parti i concetti espressi dai commenti che ho pubblicato in calce al post di Max e che riporto qui sotto (lasciandoli alla seconda persona, ché so che Max ci tiene ai ponti :):

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A cosa serve ciò che non serve a niente (6)

Katsuhiro Ōtomo, Akira
Katsuhiro Ōtomo, Akira, 1988

Come si è detto, la nutrizione “a biberon” dei recettori delle dimensioni extra-utilitaristiche sposta tutta la potenza pulsionale sulla dimensione meccanico-estensionale, determinando a lungo andare l’atrofizzazione dei recettori, e, da Callicles in poi, questo riguarda anche i recettori della dimensione logica extra-utilitaristica.
Dal momento del suo rilascio, Callicles ha facilitato di molto il lavoro degli sviluppatori, aumentando in misura consistente la compatibilità delle opinioni del giorno con i sistemi operativi a differente orientamento; compresi i sistemi operativi che girano sulle menti degli sviluppatori di opinioni del giorno.

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A cosa serve ciò che non serve a niente (5)

Masamune Shirow, Appleseed, 2004
Masamune Shirow, Appleseed, 2004

Come è apparso chiaro fin da subito, il soggetto elegge i suoi scopi ed elabora le strategie per perseguirli nell’ambito della dimensione utilitaristica, o meccanico-estensionale, e lo fa – per tutto ciò che non concerne direttamente il soddisfacimento delle comuni esigenze vitali – in base all’orientamento del sistema operativo che gira sulla sua mente, cioè al riduzionismo da esso privilegiato, che sia esso politico, economico, giuridico o fisico. Abbiamo osservato come la prima versione di Solipsium si limitasse a soddisfare, mediante il soggettivismo, le esigenze pulsanti relative alle dimensioni extra-utilitaristiche, come le esigenze morali, estetiche o metafisiche. Abbiamo anche notato come la carica emotiva – o senso sacro – sottratta alle dimensioni spirituali soddisfatte e progressivamente atrofizzate da Solipsium, è deviata e investita dal soggetto sugli scopi eletti nell’ambito utilitaristico, o meccanico-estensionale che dir si voglia.

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A cosa serve ciò che non serve a niente (4)

Haruhiko Mikimoto, Macross, 1982
Haruhiko Mikimoto, Chōjikū yōsai Makurosu, 1982

Ricapitolando, la mente ha in dotazione diversi recettori per diverse dimensioni del reale e per diversi gradi di una stessa dimensione; i sistemi operativi sono nati per semplificare la ricezione del reale, la semplificazione consiste nell’escludere dalla ricezione tutte le dimensioni tranne quella meccanico-estensionale, decodificabile dalla mente in base alle tecniche economiche, giuridiche, fisiche, e ai concetti di conveniente/non conveniente, legale/illegale, utile/inutile, ovvero le opposizioni che i robot chiamano non gratuite. La selezione operata dal sistema lascia dunque fuori le altre dimensioni – morale, culturale, estetica, spirituale – dove valgono le opposizioni che i robot definiscono gratuite, come buono/cattivo, giusto/ingiusto, bello/brutto, logico/illogico. In gergo si dice che queste dimensioni vengono “annientate” dal sistema operativo; eminenti robot hanno rilevato il monismo tecnico sotteso a questa espressione, e che sarebbe già un effetto dell’uso dei sistemi semplificanti: se si pensa che non considerare certe dimensioni del reale equivalga ad “annientarle”, significa che le si concepisce pregiudizialmente come immaginazioni, proiezioni; memi, come le definiscono le software house.

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A cosa serve ciò che non serve a niente (3)

Ghost in the Shell
Masamune Shirow Ghost in the Shell, 1995

Generalmente le applicazioni – cui ho accennato nella prima parte di questo resoconto – servono a leggere singole situazioni emergenti dal continuum, per esempio il cosiddetto fatto del giorno; costano poco: sono talmente facili da copiare che le case di produzione hanno deciso di venderle on-line a prezzi stracciati, puntando soprattutto sulla fidelizzazione dell’utente. La fidelizzazione è realizzata quasi esclusivamente dagli aidoru, opinion maker carismatici che lavorano come testimonial per le software house.

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Un’immagine del bene

(Questo post è fatto con le note a piè di pagina dell’ultimo episodio della Società dello Spettacaaargh!, al solito, su Scrittori Precari)

Quando vivi in una roccaforte così rocca e così forte, fai pensieri sul PD che probabilmente nessuno altrove farebbe. Ti domandi come guarderesti a tutto ciò se fosse il tuo partito – che non c’è – a essere una cosa sola con il Comune; ti sfiorano sogni del Novecento, a volte ti domandi se saresti stato integrato, organico, nella Pesaro degli anni Settanta, se in fondo, in quell’ottica, la sovrapposizione tra Comune e Partito fosse coerente, sensata – Pesaro è un luogo dello spirito, si diceva allora; ti domandi se non sia questo il tuo partito e tu stia solo ponendo un’irrazionale resistenza (sei un fondamentalista! fondamentalista!), e chiami sovrastrutture ciò che da dentro chiameresti narrazioni, chiami deriva, dominio della tecnica, apparato impolitico, vuoto ideologico, macchina che si autoproduce ciò che un sensato leninismo chiamerebbe necessità storica e che gli immancabili delle Feste dell’Unità chiamano semplicemente il Partito, e lo votano da sessant’anni così come i cattolici vanno alla messa la domenica.

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A cosa serve ciò che non serve a niente (2)

Galaxy Express Train
Treno decorato a tema Galaxy Express 999, Hokkaido.
Clicca per vedere il sito da cui proviene

Immaginiamo che esista un mercato di software per la mente: diversi sistemi operativi, e relative applicazioni, la cui funzione è la semplificazione dei dati di realtà, ovvero la riduzione della complessità.

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A cosa serve ciò che non serve a niente (1)

Yoshitoshi ABe, serial experiments lain, 1998
Yoshitoshi ABe, serial experiments lain, 1998

Qualche considerazione a margine dell’ultimo pezzo su Scrittori Precari, dove scrivo «dell’attacco che la tecnocrazia spesso muove alla formazione umanistica: non servendo quest’ultima ad altro che allo strato più spirituale della nostra persona, secondo un paradigma tecnocratico, essa non serve a nulla, e questo perché, là dove serve, la tecnica vede il nulla».
Di solito non parlo di letteratura* – e nemmeno di filosofia – in generale, perché, se dovessi dire qualcosa in generale, direi che la letteratura – come la filosofia – non serve a niente. Però ho deciso di cogliere l’occasione e provare – non so se ci riuscirò – a dire perché secondo me la letteratura non serve a niente.

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