Pensieri su un romanzo di Daniele Pasquini

Io volevo Ringo Starr è un romanzo scritto da Daniele Pasquini e pubblicato da Intermezzi. Daniele Pasquini ha poco più di vent’anni (qui il suo blog). Il romanzo ha per protagonisti dei ventenni.

[Quando c’avevo vent’anni i discorsi per generazioni mi stavano sulle palle, soprattutto perché non mi sentivo assolutamente rappresentativo della mia generazione, anzi. Poi un giorno uno più vecchio e intelligente di me mi disse che, passato qualche anno, i discorsi sulle generazioni li avrei capiti e ne avrei fatti io stesso. Qualche anno è passato e non so se capisco i discorsi sulle generazioni, però mi viene da farne.]

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Contro la barriera del cielo

Questa recensione è apparsa sull’Indice di gennaio.

È una rete, questo romanzo di Paolin, è l’intreccio dei ricordi del protagonista, Demetrio, dapprima giornalista incapace di rinunciare alle proprie velleità letterarie e infine addetto stampa d’un sindacato, strumento docile che s’affida alla mano altrui; Paolin percorre fili di memoria che si incrociano e formano nodi cruciali, lambisce il presente, accompagna Demetrio nel suo peregrinare mentale tra familiari e amici, tra forme di vita diverse e figure simboliche, talvolta incontrate realmente, come Renato Curcio, talvolta, come Mohamed Atta e la ragazza, immaginate e ricostruite nella loro psicologia.
Il titolo del libro identifica due poli: il nome e la legione, l’individuo e la moltitudine, Demetrio e il mondo. Così ogni polo racchiude in sé anche l’altro: Demetrio è tutte le persone che ama, che incontra, che immagina, che ha veduto, Demetrio è Legione, e la legione, la folla degli individui, è un individuo, un’unica sostanza, un dio che ha scelto di divenire carne, dissezione, possibilità d’errore biologico e morale. Creature che si compenetrano attraverso il sesso, la procreazione, l’alimentazione, il trapianto, ibridismi di corpi impazziti che deragliano da un campo morfico all’altro: Il mio nome è Legione racconta – ed è – un unico, traboccante dio di materia che si incontra e si scontra con se stesso, in se stesso, senza soluzione.

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L’ultimo Gabibbo

Questa recensione è apparsa sull’Indice di ottobre.

Michele Botta ha ventisei anni, è compulsivo, nevrotico, particolarmente abile a trovare pretesti per andare in collera e a ingenerare limiti nella pazienza apparentemente illimitata della sua fidanzata; coltiva un’evidente propensione all’alcolismo, è ossessionato dai manifesti giganti del naufragando Veltroni, assuefatto alla pornografia on-line, torturato da un reflusso gastroesofageo, perseguitato da una pretendente fasciofuturista. Soprattutto Michele è stato assunto da una società di produzione televisiva, e mentre lavora al format di Qua la zampa!, un delirante reality sui cani, l’occasione della svolta gli si presenta nella forma di una fiction milionaria su un patriarca del porno. La futura classe dirigente racconta il tentativo di Michele di tenere insieme tutti i pezzi di sé al cospetto della fortunata circostanza.

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Ossa rotte

Questa recensione è apparsa su Satisfiction 6.

Lotta armata, movimenti, infiltrazione di ieri e di oggi: dalle università degli anni Settanta alle nuove Brigate Rosse passando per il G8 di Genova, Guglielmo Pispisa – membro dell’ensemble narrativo Kai Zen, qui al terzo lavoro solista – racconta una storia più antropologica che politica, una storia alla quale la precisione della lingua, l’intensità dello stile e l’elaborata psicologia dei personaggi conferiscono la potenza per imporsi al lettore come l’emblema di un fenomeno collettivo. E il lettore ne esce con le ossa rotte. La terza metà ritrae un agire politico la cui caratteristica fondante – che ciò sia chiaro o no a chi agisce, e qualunque sia la fazione nella quale costui agisce – non sta nella concezione politica, ma in un estremismo originario e totalizzante, tanto che le parti di un agente dei servizi segreti, di un brigatista e di un rapinatore si possono scambiare come nel gioco delle tre carte, e l’orientamento si può perdere, delle contraddizioni ci si può addirittura compiacere e ci si può ubriacare di violenza su una strada che, una volta intrapresa, restituisce la possibilità della pietà e della poesia solo al termine del processo entropico, nello stagno dell’allucinazione. Sopravvive solo lo Stato, i cui scopi si sono perduti in spazi remoti, estranei a ogni patto sociale; uno Stato che ripresenta ai figli, oggi, le eredità indecifrabili dei padri, con tutto il carico di seconde e terze metà, pronte per una storia da ripetere perché incomprensibile, magari a parti invertite, magari all’inverso dell’inverso.

Nel blogroll trovate Kaizenology, il blog di Kai Zen.

Be aggressive

Questa recensione è apparsa sull’Indice di maggio.

A tre anni dall’esordio A cena con Lolita (Pendragon 2005), torna Eva Clesis con un romanzo agile e sincero, che possiede l’essenzialità e la freschezza dei libri scritti con urgenza, e del quale il maggior pregio è forse la credibilità della protagonista, Assunzione Maria Addolorata De Caro, figlia di madre inglese e padre italiano, due allegri fricchettoni che, in occasione del suo settimo compleanno, regalano alla bimba il suo nuovo nome: Alice, omaggio al personaggio di Carroll. L’atmosfera favolistica, irreale e gioiosa che regna nelle scene d’infanzia ambientate nella casa freak, irradiata dall’attitudine psichedelica dei genitori di Alice, è interrotta dalla violenza dell’incidente che lascia orfana la bambina. Alice è letteralmente gettata nel mondo. Viene così affidata alla nonna paterna, la terribile, storica maestra elementare di un paesino del Sud, convinta sostenitrice dell’educazione impartita con il bastone. La perdita dei genitori e il trasferimento forzato capovolgono il carattere di Alice: dapprima taciturna, riflessiva e responsabile, quasi dovesse bilanciare l’inettitudine dei genitori, diviene una ragazzina selvatica e aggressiva, introversa e incapace di spiegarsi a causa di un bilinguismo mai realmente sviluppato, dietro il quale però sembra celarsi una sfiducia che la protagonista nutre nei confronti del linguaggio.

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L’equazione negata

Questa recensione è apparsa sul numero 5 di Satisfiction.

Chimamanda Ngozi Adichie, Metà di un sole giallo, Einaudi

Nel 1960 la Nigeria ottenne l’indipendenza dalla Gran Bretagna e nel 1967, dopo una serie di scontri tribali, l’etnia igbo intraprese la via della secessione, che culminò nella dichiarazione d’indipendenza del Biafra. La Repubblica del Biafra sopravvisse tre anni: il piccolo stato che secondo i profeti della secessione avrebbe dovuto essere il modello e la guida dell’Africa nera, nel 1970, stremato dalla fame e dalle malattie, orfano di un milione di morti, si arrese all’esercito nigeriano. Chimamanda Ngozi Adichie, stupefacente trentenne al suo secondo romanzo, racconta gli anni sessanta biafrani attraverso le storie di Olanna e Kainene, due sorelle di buona famiglia, una bellissima e l’altra sfuggente, entrambe portatrici di una costanza che ha del sovrumano; dei loro uomini, Odenigbo e Richard, un docente universitario militante e uno scrittore bianco innamorato dell’Africa; e di Ugwu, vero protagonista in incognito: un ragazzo dei villaggi che il caso metterà sulla strada dei libri e della mondanità, una creatura sul crinale di due epoche e di due mondi. Tutti loro sono in misure differenti coinvolti nel clima intellettuale che nutrirà la rivolta biafrana, anche se, immersi nell’ovatta dell’ambiente universitario e delle serate a brandy, dischi di musica high life e discussioni politiche, non sembrano del tutto coscienti di ciò a cui stanno realmente andando incontro. Presi nelle vicende di coppia e paralizzati dalla scoperta delle proprie debolezze e meschinità, talvolta incartati nell’ideologia e forse troppo benestanti per immaginare batoste, vivono la secessione come se le leggi del mondo fossero quelle dei libri: credono nell’avverarsi dei loro ideali politici come ci si attende il risultato di un’equazione, come se la giustizia e la logica fossero la stessa cosa. Ma il sole giallo del Biafra sarà una promessa lasciata a metà: le certezze degli intellettuali militanti saranno travolte dalla brutalità devastante della repressione, e la stessa resistenza biafrana ai “barbari” sarà la guerra di una popolazione spesso incolta e violenta. Olanna non avrà «la sensazione di essere stata sconfitta; ingannata, piuttosto». Lei e gli altri appariranno tanto indifesi e umiliati quanto più sicuri e consapevoli sembravano prima. Perderanno l’aura divina, e diverranno adulti quando saranno troppo presi dai fatti per porsi il problema della propria maturazione.

L’inverno nel cuore

Questa recensione è uscita sull’Indice di aprile.

Risale al 1990, questo breve romanzo di Jamaica Kincaid. Va così a situarsi, nell’ancora incompleta bibliografia italiana dell’autrice, tra Un posto piccolo e Autobiografia di mia madre (Adelphi), con i quali condivide due grandi temi: il rapporto di amore e odio con una madre soverchiante e la rabbia sorda della vittima del colonialismo, rivolta sia contro il dominatore occidentale sia contro il provincialismo dei compatrioti. C’è però in Lucy una differenza sostanziale: la storia si svolge a New York; la protagonista, una diciannovenne cariba, si trasferisce presso Mariah e Lewis, due coniugi bianchi e progressisti, per accudirne le quattro bambine, frequentare le scuole serali e considerare la prospettiva non entusiasmante di diventare infermiera.
Il nuovo ambiente diventa un modulatore per declinare i temi della Kincaid nella chiave inedita del confronto diretto con gli eredi dei dominatori: Lucy proviene da un luogo di miseria e sofferenza che è allo stesso tempo un paradiso per gli americani ricchi; nei fiori, nei frutti, nei campi arati, la cui vista e il cui sapore sono fonte di piacere per Mariah, la ragazza non può non vedere i prodotti del lavoro dei dominati.

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Eating For Better Health

 

 Public Health Menu

These guidelines contain today’s best scientific advice on selection of foods for promoting health, preventing disease and maintaining or losing weight. These are general guidelines that apply to most healthy people. If you have a chronic disease or other special nutritional needs, contact a registered dietitian for specific recommendations. Check these alpilean reviews.

Aim for Fitness

  • Maintain or work toward a healthy weight.
  • Be physically active every day—return fun and play to your life. Get moderate to vigorous physical activity for at least 30 minutes a day 5 days a week.
  • Healthy eating provides the sustained energy you need to be physically active.
  • Learn to manage your stress with exercise, healthy eating, relaxation, and good coping skills.

Build Healthy Eating Habits

photo: family having a healthy fruit snack

  • Eat a variety of vegetables, especially dark green, red, and orange vegetables (3 or more servings a day).
  • Eat a variety of fruits (2 or more servings a day).
  • Eat whole-grain, high-fiber breads and cereals (3 to 6 servings a day). Reduce or eliminate refined or processed carbohydrates; most of the grains in your diet should be whole grains.
  • Drink fat-free or low-fat milk and eat low-fat dairy products.
  • Choose from a variety of low-fat sources of protein — including eggs, beans, poultry without skin, seafood, lean meats, unsalted nuts, seeds, and soy products. If you eat meat, eat white meat at least four times more often than red meat.
  • Reduce intake of saturated fats and trans-fats (such as partially hydrogenated oil) as much as possible.
  • Use vegetable oils (like olive or canola oil) instead of solid fats.
  • Reduce daily intake of salt or sodium. Reduce to less than 1,500 mg. per day if you are older than 50, or have hypertension, diabetes or chronic kidney disease.
  • Restrict or eliminate “junk food” — foods that contain refined white flour, solid fats or trans fats, added sugars, and are high in sodium.
  • Restrict or eliminate sodas and other sugar-added drinks that are high in calories and contain few or no nutrients.
  • If you drink alcoholic beverages, do so in moderation. Drink only when it doesn’t put you or anyone else at risk.

To Lose Weight

  • Reduce the number of calories you eat daily. Eat smaller portions—don’t “upsize” your meals at fast food restaurants.
  • Follow the dietary guidelines above.
  • Eliminate all sugar-added drinks from your diet. You can drink 100% fruit juice, unsweetened, but limit servings to one or two a day. Drink more water.
  • Decrease the amount of time spent in sedentary activities, especially watching television.  Use your screen-free time working on hobbies, house cleaning, yard work, or engaging in fun activities.
  • Get moderate physical activity (such as walking, bicycling, swimming, or using aerobic exercise machines) for 30 to 60 minutes a day, at least five days a week.
  • Do muscle strengthening and toning exercises at least 2 or 3 days a week.