One day one trip 4

17:13
Capo: -Guarda questa scheda. È la scheda di un’azienda, no?
Jago: -Sì.
Capo: -Che numeri ci sono?
Jago: -Il numero di casa del titolare e il suo cellulare.
Capo: -E dov’è il numero dell’azienda?
Jago: -Non ne ho idea.
Capo: -Ecco, nemmeno io, quindi vedi di farlo saltare fuori entro tre minuti.
Jago: -Va bene.

17:15
Jago: -Non è nel database.
Capo: -Come non è nel database?
Jago: -E nemmeno sull’elenco.
Capo: -Ma insomma! Ma dove diavolo li hai chiamati, possibile che non hai più nemmeno la traccia del contatto, e come cacchio l’hai fatta saltare fuori questa scheda se non hai il numero? Io davvero non so cosa fare. Io non so dav-ve-ro co-sa fa-re. Come cacchio…? Ussignòr… Ma come ti viene di compilare una scheda senza metterci il numerooo? Cosa c’hai nella testaaa?
Jago: -…Capo…
Capo: -Eeeeeeeeh!
Jago: -Guarda il nome dell’operatore: quella scheda… non l’ho compilata io…
Capo: -Usterìa, t’ha ragiòn.

One day one trip 3

16:28
Capo: -Perché stai contattando l’albergo?
Jago: -Non devo?
Capo: -Certo che no: è già stato contattato a marzo.
Jago: -Ricordi quando ci hai detto di fare il secondo giro?
Capo: -Certo.
Jago: -Ricordi che ci hai detto di ricontattare tutti gli esercizi indifferentemente?
Capo: -Certo, ma ho detto “tutti gli esercizi”, non gli alberghi.
Jago: -…
Capo: -Sono stufo di questo andazzo. Non va bene per niente.

One day one trip 2

15:57
Capo: -Adesso mi devi spiegare perché non stai eliminando i dati del primo giro ora che stai facendo il secondo.
Jago: -Perché mi hai detto di lasciarli, ché ti servivano per l’archivio.
Capo: -Sì, infatti te l’ho detto. E con questo cosa vuoi insinuare?
Jago: -Niente. Che sto facendo ciò che mi hai detto di fare.
Capo: -Ma adesso ti sto dicendo di toglierli!
Jago: -Va bene, allora comincio a toglierli.
Capo: -Insomma, devi fare quello che dico io!

One day one trip 1

15:30
Capo: -Ho visto che non stai togliendo dal database i nominativi doppi. Eppure non ti ho detto di cominciare a togliere dal database i nominativi doppi?
Jago: -Buongiorno.
Capo: -Perché non hai cominciato a togliere i nominativi doppi?
Jago: -Ho cominciato a togliere i nominativi doppi, sono a tre quarti dell’opera.
Capo: -Perché questi sono ancora qui?
Jago: -Perché non ci sono ancora arrivato.
Capo: -Ah, sei partito dal principio e non dal fondo…
Jago: -Esatto.
Capo: -Beh, io non capisco proprio per quale motivo tu debba partire dal principio e non dal fondo.

Io e Cristina

Il luogo

Benché io sappia oramai tantissimo dei problemi sul lavoro che Federico è costretto ogni giorno ad affrontare a causa dell’ormai proverbiale inefficienza di Maurizio, del divorzio malmenato dagli strascichi riservato a Maria Grazia, del matrimonio che sembrava convenire a Nicoletta e che ora la avvilisce ogni giorno di più, di te so poco, anzi pochissimo. Certo: io conosco il tuo aspetto, il biondo dorato dei tuoi capelli, l’abbronzatura che non conosce inverni, il tuo seno generoso, il culo rotondo che ricorda le angurie d’agosto. Conosco il tuo nome, Cristina, e credo anche di sapere che lavoro fai: certamente lavori in un negozio, ché a Pesaro, si sa, i negozi fan giorno di chiusura al lunedì mattina. E ciò io lo deduco da questo fatto: che ogni notte che dalla domenica conduce al lunedì tu puoi trascorrerla predicando lunghi vangeli di parabole, vòlti forse ad insegnare con esempi chissà quale etica pubblica e privata, o – intarsiati come sono di lodi e osanna, di “Diobõ” e “Namadõ” – ad accennare senza nominare chissà quale verità: su tutte queste cose tu istruisci il tuo misterioso interlocutore telefonico. Se dunque, Cristina, per qualche caso fortuito ma gentile ti capita di leggere questo blog, io ti prego: ricordati che dall’altra parte di quel foglio di parete io cerco di dormire.

The Otherz

-Pronto.
-Ciao Jacopo!
-Oh… Ciao.
-Sono Matteo.
-Oh… Ciao.
-Matteo °°B°°.
-Oh… Ciao.
-EEEEH! Come staaai? Senti volevo chiederti se venivi a una festa dell’8 marzo a casa mia.
-Eeeh… Grazie maaah… Sono incasinatissimo. In questi giorni. Non ti so dire. Ti confermo più avanti.
-Ah dai è una bella festa c’è un sacco di figa e poi è solo un aperitivo non ti toglie molto tempo alle dieci ognuno a casa sua.
-Eeeh… Non ti so dire. Sono incasinatissimo. In questi giorni. Ti confermo più avanti. Tra il 7 e l’8.
-Va bene dai me lo dici, me lo dici il 7 ma anche l’8. E Paolo? Ce l’hai il suo numero?
-Eh?
-Paolo!
-Che Paolo?
-…
-.
-Paolo. Su. Paolo. Cosa sei rincoglionito? Paolo.
-Paolo?
-Ma… insomma… ma Paolo cristo, ma Paolo il friulano.
-Ascolta, io non conosco questo Paolo, quindi stai calmo.
-Ma come non lo conosci! Ma come! Ma come! Ma va a fare in…! Ma… insomma… ma… ma chi sei?
-Matteo, mi hai chiamato tu. Sono Jacopo.
-Ma che Jacopo?
-Jacopo ““N””.
-…
-.
-Ah. Cristo. Sei Jacopo ““N””. Cazzo… È che ho sbagliato Jacopo. È che ce ne sono tanti in rubrica. Sapessi. Un sacco ce n’ho. Di Jacopo. Sai?
-Tranquillo.
-Eeeh. Vabé, fa niente: puoi venire anche tu alla festa, se ti va.
-Grazie. Ti faccio sapere l’8.
-Ah. Sì. Allora ciao, eh?
-Ciao.

-Pronto.
-Jacopo!
-Eh.
-EEEEH! Come staaai? Senti volevo chiederti se venivi a una festa dell’8 marzo a casa mia.
-Me lo hai appena detto.
-Ma allora…
-.
-…Sei tu: anche quest’altro sei tu!
-Già.
-Quindi tutti gli Jacopo della mia rubrica sei tu.
-.
-…
-.
-Senti volevo dirti che avevo proprio voglia di parlare con te, avevo proprio voglia, sai? Sono giorni che me lo dico, sai? Quanto mi piacerebbe parlare con Jacopo ““N””.
-M!
-Quindi vorrei che venissi alla festa, sai: è a casa mia, l’8 marzo. Perché avrei proprio voglia di fare quelle domande che farei a te. Proprio quelle domande che farei a Jacopo ““N””.
-Capisco. Può darsi. Non ti so dire. Sono incasinatissimo. Ti confermo più avanti. Tra il 7 e l’8.
-Ah, ochéi. Sarebbe bello. Davvero.
-Grazie. Se posso venire ti faccio sapere.
-Allora ci sentiamo. Se senti Paolo… non ho il suo numero… avverti anche lui.
-Certamente.
-Bravo.
-Ciao Matteo.
-Ciao Paolo.

Golden Hours (sul culto degli dèi)

Ricordi cosa successe a quei due che non siamo più noi, quest’estate? Estate? La loro seconda estate insieme, no? Senza inverni: non hanno mai vissuto un inverno. La tristezza arrivò la notte prima, mentre dormivano. Quel giorno, quando lui rientrò dopo averla accompagnata all’autobus, la tristezza stava ancora lì. Pensava:
la tristezza viene prima che tu te ne vada, perché nasce dal fatto che te ne andrai, eterno ritorno di quando te ne sei andata per tanto, tanto.
In via Rizzoli, dall’altra parte della strada rispetto alla fermata dell’autobus sul quale lei saliva per farsi riportare a casa, c’era spesso una ragazza che stava rannicchiata ai piedi di un pilastro del portico. Pregava con un animale di pezza tra le mani, stringeva le mani in un solo pugno attorno al piccolo animale di pezza, vi appoggiava la fronte pallida, e restava così. Teneva sempre davanti a sé un cappello minuscolo, sempre vuoto, e un rettangolo di cartone con su scritto “ho fame vi prego aiutatemi”. Avrà avuto sì e no ventiquattr’anni. Qualche giorno prima della notte in cui arrivò la tristezza lui aveva lasciato cinquanta centesimi nel cappello, la ragazza aveva alzato il viso dalla pezza e aveva detto “grazie”, sorridendo. Quel giorno, quel giorno di tristezza, dopo il gelato, quando lei salì sull’autobus, lui attraversò la strada e vide la ragazza che si disperava la fronte sulla sua bestia di pezza sporca. Cambiò strada. Quando tornò a casa c’era la tristezza, e alla televisione c’erano le olimpiadi. Pensava:
Forse ho smesso di amarti, forse è stato quando tu hai ghignato e detto: tu lo farai, perché sei innamorato di me.
Mise la zucchina a bollire, con un po’ d’aglio. Non ne capiva nulla, ma sai com’era, ogni volta ne inventava una nuova. Era senza metodo, come me. Fece stringere la passata, bella scura e grumosa. Scolò i sedanini, distillò un po’ d’olio. Niente male. Uscì un istante sul terrazzo: si stava proprio bene fuori. Non volle perdere tempo. Rientrò in cucina. Mise tutto dentro una vaschetta di stagnola con della carta sopra, e poi mise la vaschetta in una busta, assieme ad una forchetta di plastica e due pezze di scottex. Prese la busta, le chiavi, uscì. Pensava:
Forse è stato quando lo scottex era nella vasca a inzupparsi e tu eri alla finestra del bagno, assorta nel lago grigio delle nubi, attendendo un temporale estivo che poi ti ha delusa, e non ti eri nemmeno chinata per salvarlo, lo avevi visto ma non avevi fatto nulla, lo hai lasciato annegare.
Vide il riquadro in fondo a via Oberdan, un riquadro completamente arancione: la tinta dei muri, le persiane e i vetri, i cornicioni, i tetti, le grondaie, le antenne e il cielo, ogni cosa era di una diversa sfumatura di arancione. Si affrettò verso il riquadro che si ingrandiva finché sbucò nell’arancione accecante di via Rizzoli. Allora prese a battere il portico, tentando di focalizzare lo sguardo ai piedi di ogni pilastro, per trovare la dea di via Rizzoli, per servirle la sua cena.

St. Elmo’s Fire (ecco i miei denti)

Il primo non può farcela, sai? Lo vedo, trasuda rabbia, è nervoso. Anche il suo corpo tradisce qualcosa della devianza repressa. La provincia fa male, sai? Ci sono dei maschietti che non riescono a mollare né la diversità né il paesotto, allora sviluppano questo strato adiposo compatto ed omogeneo, parlano la forma del nervosismo, perdono un po’ di ironia. Ripenso il suo linguaggio mentre sono in treno per venire da te che intanto sei altrove. I suoi pregiudizi non sono creativi, non sono prese di posizione ma sentieri battuti da tanti nei boschi turistici per i bianchi. Non ha bersagli originali: lui crede davvero, è sul serio, capisci? Lui vive per metà nel suo mondo, per l’altra metà nella metà peggiore del resto del mondo. Resiste a fatica al grande gorgo dell’epiteto, capisci che quando non ci cade si sta sforzando. Allora hai paura, vuoi afferrarlo, ma non per lui, ché tanto non smette di sotto-pensare ciò che sotto-pensa, no, lo fai per l’estetica, e ti fai ipocrita, ti fai perbenista, quasi pensi che se non lo dice non lo è, dici: no, non scivolare, non scivolarmi qui. Lui non vede, ed è per questo che non può, vede i fantasmi, non è lucido; non che sia malvagio, ma non è lucido, è preda delle ombre, vive nel sogno: non ha attenzione. Mi domando quanto di lui è in me, quanto della mia purezza sia terrore, quanto del mio odio politico sia la rabbia tra-sudata: quanto io possa capirlo in virtù della nostra sottile, parziale identità. Lui non sente le nuove-chiare parole. Gli manca quel minimo di razionalità per vedere che ogni individuo è vittima, e solo la macchina è colpevole. Questo è un grado di razionalità necessaria, credo, un ingrediente fondamentale della condizione del praticante: non sentirsi mai migliore dei propri personaggi. Io lo chiamo pietas, ma non so se il nome è giusto.

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