Sangue

Jacopo Nacci - Sangue

– La nostra razza non esiste, – ha detto, – le persone, per esistere, devono pensarsi con molta forza. Invece noi non siamo fatti di pensiero, siamo fatti di paura. Se ci pensassimo davvero non saremmo ciò che siamo, saremmo qualcos’altro. E questa debolezza la sveliamo: camminiamo sulle punte, ci confondiamo con il muro, voliamo via se ci soffiano addosso. E a soffiare sono il popolo e i signori. Noi siamo un’altra cosa. Pensaci: anche quando crediamo di far male al prossimo per un nostro tornaconto, un po’ di soldi, un voto, una pigrizia, un interesse, noi facciamo del male perché far del bene ci sembra presuntuoso, immorale, ci sembra un passare per quello che non siamo.

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Tedoldi recensisce Dread

Dreadlock, vista da

Nel mondo durissimo di oggi, questi quarantenni resistono emotivamente anche grazie alle letture che hanno fatto. Le generazioni precedenti sono cresciute in mezzo alle favole con gli orchi. I quarantenni hanno letto, oltre che di orchi, di supereroi – e hanno imparato che gli orchi sono battibili.

Su La poesia e lo spirito, Guido Tedoldi recensisce Dreadlock.

Porpora commenta Dreadlock

Giulio Giordano, i Laureati
I Laureati visti da Giulio Giordano

Curioso come il rapporto con le forze del Male – qui interpretato principalmente dal Grottesco nel volto del comico, dall’opposizione sistemica dei Laureati, nonché da persone a lui vicine che reinterpretano il Reale e la sua faccia come faccia cosmetica – intorti in qualche modo sia Matteo che Dreadlock, incapaci di reagire in maniera convincente di fronte a queste azioni che invece che essere di violenza pura sono reazioni spesso estetiche, spesso etiche.

Qui, sulla Nottola di Minerva, Ivano Porpora prende note a margine di Dreadlock.

Fortune

Talvolta un testo reca in sé un significato di cui l’autore non è cosciente, ma che, una volta portato alla luce, egli è costretto a riconoscere come evidente e incontrovertibile; se il testo è molto fortunato, incontrerà un lettore che sia in grado di cogliere questo significato; se poi anche l’autore è molto fortunato, riceverà una lettera come quella che ho ricevuto da Davide Poggiali, che ringrazio di cuore.

Ho letto Dreadlock. Una sera “giusto un paio di capitoli prima di dormire”…
Alle 2 avevo finito e non riuscivo più a dormire. Non capivo.
Peter Parker si tortura per la morte dello zio Ben e della ragazza Gwen Stacy. Ma non è mai davvero colpa sua fino in fondo. Matteo è responsabile (come lo sono io e tutti i ragazzi del mondo) con le sue disattenzioni e le sue assenze.
Poi ho pensato una cosa, allora mi sono addormentato di botto, liberato dalle mie responsabilità. Vittoria non lo ama. Ha preferito rinfacciare, lasciare un messaggio piuttosto che vivere.

Senza toccare terra

La Grasse Matinée – la rubrica curata da Leyla Khalil per Caffè News – rimbalza su un lato pressoché inesplorato di Dreadlock.

[…] Se la filosofia del palestrato è alienazione pura, scissione definitiva di anima e corpo che si ritrovano ad essere nutriti uno a discapito dell’altro, tanto silenzio mentale per gonfiare un po’ quel bicipite per rimorchiare meglio per affascinare di più, il parkour è al tempo stesso una sfida continua a livello mentale e fisico, chi lo pratica si fonde visceralmente con la città, ci intesse un legame primitivo in cui l’uomo – o donna – non è più l’essere civilizzato che cammina ordinato su due piedi limitando più possibile lo spazio che occupa, ma l’animale selvaggio che salta da un muro all’altro senza toccare terra, fa piroette e figure complicatissime, salti lunghi come se per un attimo uscisse dalle limitazioni della forza di gravità. […]

L’articolo integrale di Leyla Khalil si trova qui.