Due cose con Malicuvata

Attraverso passaggi, di Malicuvata Casa Lettrice
Attraverso passaggi, di Malicuvata Casa Lettrice

La prima: è uscito Attraverso passaggi, l’annuario 2010 di Malicuvata Casa Lettrice, che contiene anche il mio racconto In merito alla terapia, in una versione un po’ rieditata.

La seconda: venerdì 11 febbraio, alle 20, sarò da Malazeni, in via Mascarella 84/d a Bologna, insieme a un altro po’ di gente, per Circus Delire – attraverso passaggi di periferie; ovvero: letture da Racconti di periferie (Malicuvata, 2010) e Attraverso passaggi (Malicuvata, 2011). I racconti saranno di Fabrizio Gabrielli, Simone Rossi, Dario Falconi, Alfio Génitron, Elena Marinelli, Marco Mazzucchelli, Chiara Reali, Francesco Locane, Marta Casarini e Jacopo Nacci. Le musiche di Simone Rossi e Fabrizio Bicio Chinaglia.

La soluzione dello sguardo (in discesa e risalita)

C’era un pezzo molto bello e vero di Ferdinando Camon, intitolato Noi e le rivoluzioni arabe, che purtroppo non trovo più in rete.
Devo dire che lì per lì la chiusa mi aveva lasciato perplesso:

Ma chi ha rivelato ai popoli arabi, che adesso si agitano, le storture del loro sistema politico? Gli emigranti che tornano, le tv straniere, la rete di Internet, l’informazione estera. Il modo in cui ci vediamo noi, da soli, non ci dice come siamo. Dobbiamo capire come ci vedono gli stranieri. I loro giornali, le loro tv, i loro politici, i loro inviati, i loro scrittori. Ci serve uno specchio, per vederci in faccia. E se vedessimo la nostra faccia come la vedono gli stranieri, cercheremmo subito di cambiarla.

Però, per essere sicuri che “cercheremmo subito di cambiarla”, bisognerebbe sapere cosa leggerci, in quel “come la vedono”, se la semplice visione o anche la sensibilità e il pensiero che interpretano la visione.

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Persone

Sabato 11 dicembre, alle 18.oo, presso il circolo l’Otto, parlerò con Federica Sgaggio del suo nuovo romanzo, L’avvocato G. C’è un’immagine che mi viene in mente quando leggo i romanzi di Federica Sgaggio, un’immagine in movimento. I personaggi di Federica Sgaggio sono mostri, e nel contempo sono davvero persone, cioè: Federica Sgaggio descrive dei mostri, e io, dai tratti che descrive,  mi rendo conto che quei mostri sono persone, hanno facce e corpi da persone, vivono in un mondo di persone, e di conseguenza mi rendo conto che le persone sono mostri. Con mostri non sottintendo alcuna connotazione morale, penso al senso biologico del termine. Non voglio dire che Federica Sgaggio scriva romanzi di mostri: in realtà scrive romanzi realistici, e i suoi protagonisti sono persone.

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L’ira dei giusti

Di solito, quando segnalo un post, o un articolo o, come in questo caso, un commento, ne prendo un brano particolarmente rappresentativo o che mi ha particolarmente colpito, lo riporto su Yattaran e metto il link al pezzo integrale.
Di questa risposta di Roberta De Monticelli all’articolo che Marcello Veneziani ha dedicato, sul “Giornale”, all’ultimo libro di De Monticelli, La questione morale, non ho saputo quale parte scegliere.

Introiezione del conflitto

La schizofrenia è esattamente, precisamente, modello dei rapporti di lavoro che ci interessano. La schizofrenia è il sostituto psicotico del conflitto di classe. Lavoratori dipendenti e autonomi, partite iva e contratti atipici, dottorandi e docenti precari, stagiste di un’organizzazione di eventi che non sanno se si stanno innamorando quando parlano con qualcuno o se questo contatto gli sarà utile per il prossimo vernissage e far bella figura con il capo, trentenni depressi e sessantenni che continuano a finanziare la vita dei figli sperando che un giorno questi li ricompenseranno. La distanza tra chi sfrutta e chi è sfruttato passa tutta per un conflitto interiore. E a lungo andare questa scissione – che non diventa mai dialettica – crea una sorta di abituazione, una cronicizzazione del disagio. Ossia: un dispositivo clinico per cui veramente penso possibile, normale, permanere in una situazione paradossale come quella di un quarantenne che vive da adolescente, o come quella di una ragazza che non capisce se l’innamoramento che sta cominciando a provare le potrà tornare utile per il suo lavoro di ufficio stampa. Un malessere sociale a cui, invece di riconoscerlo come coscienza di classe narcotizzata, diamo alle volte il nome di bipolarismo; in una specie di medicalizzazione della tensione politica.

Leggi Introiezione del conflitto di Christian Raimo su minima et moralia.

Radici

Non è per niente cristiano il mito della “radici cristiane” dell’Europa. Perfino nella messa cattolica c’era un momento splendido – ma che fine ha fatto? – in cui il celebrante diceva: “Introibo ad altare dei – ad deum qui laetificat juventutem meam”.

Fin dall’inizio della storia che fu poi detta “cristiana” però, due porci sono entrati nell’anima nostra di poveri ossessi che nessuno ancora ha liberato: uno di tonaca nera, il male clericale; l’altro di mano rapace, il male del potere temporale e secolare. Sono le bestie che hanno nei secoli assalito e spesso distrutto le due ali dell’anima che anche un analfabeta riconoscerebbe come veramente “cristiana”: la laicità e la gratuità.

Passaggi presi dal post Europa. Il mito delle radici cristiane, una sintesi dell’intervento di Roberta De Monticelli al Festival Con-vivere di Carrara.

L’idolatria della contingenza

…Invece è da un secolo e più che siamo subissati da luoghi comuni, schematismi, unilateralizzazioni e teorie che, in un modo o nell’altro, celebrano la sola potenza del potere e della sua contingenza, un’idolatria della contingenza per cui ogni cosa può essere solo espressione di questa piccola, incombente e nullificante presenza: economica, politica, culturale, sociale. Niente sembra poter fuoriuscire.
[…]
Sembra che ogni cosa venga pietrificata all’istante, se toccata o anche solo sfiorata da una potenza o un dominio contingenti, come se non avesse un’altra potenza o un altro dominio dentro di sé. Perché, da un certo punto in poi, nell’ipertrofico mondo della cultura come in ogni altro campo, gli uomini hanno smesso di sentire dentro di sé questa potenza e non sono stati più in grado di collegarsi a essa? Forse perché loro stessi non ce l’hanno, non la sentono più dentro di sé, e quindi sono incapaci di riconoscimento e fusione. Ma questo vuol dire attribuire a questo potere e a questo dominio un’onnipotenza che non ha, se non gli viene data.
E’ da molto tempo che vado ripetendo queste cose e che sto combattendo questa battaglia. Le forze che abbiamo di fronte sembrano immani, proprio perché hanno fagocitato anche altre forze che, magari credendo di opporsi alle prime, in realtà le celebrano e ne aumentano l’onnipotenza.
La solitudine è grande…

Leggi Postille a cranio scoperchiato di Antonio Moresco su Il primo amore.

Platania e Borges

In questi ultimi vent’anni Borges l’ho letto e riletto, ho messo ordine nel mio Eldorado separando anche la meraviglia da ciò che mi interessava meno (sì i racconti sul labirinto e sui paradossi temporali, no quelli sui guappi e sugli accoltellamenti nelle bodegas, sì le poesie metafisiche, no quelle ultraiste). E ovviamente in tutti questi anni non ho potuto fare a meno di dirmi: che darei per poter rileggere questi racconti come se non li avessi mai letti. Riavvicinarmi, vergine, a un capolavoro come Finzioni. Poter leggere, di nuovo per la prima volta, l’incipit di quel racconto che venti anni prima mi aveva fatto innamorare di questo scrittore. Beh, l’altro giorno ho riletto per l’ennesima volta Tlön, Uqbar, Orbis Tertius e altri racconti e mi sono chiesto: ma come ha fatto a scoccare, allora, il colpo di fulmine?

Mi sono stupito nel pensare al me stesso di venti anni fa che leggeva un racconto simile e che… non si annoiava. Un racconto così impermeabile, pieno di parole che allora sicuramente non conoscevo (eresiarca, aporie eleatiche). Poi sono andato a rileggermi L’Aleph ed è stato peggio: prima di arrivare al cuore fantastico del racconto bisogna passare per una decina di pagine che, beh, non sono proprio emozionanti.

Qui l’articolo di Federico Platania.

Persona e personaggio

Orfeo e Euridice
Camille Corot, Orfeo guida Euridice fuori dall’Oltretomba, 1861

Qualcuno disse che Orfeo il cantore abbia preferito perdere la “persona” Euridice, labile esistenza transeunte, in nome del “personaggio”, soggetto eterno di trasfigurazione poetica. Ritenendo magari, chissà, che la fama imperitura val bene una morte precoce. Non la pensa così il greco Achille però: ad Ulisse che lo consola negli Inferi rammentadogli come la sua morte in giovane età sia il presupposto di una gloria senza fine, risponde che un’eternità di gloria non vale un minuto di vita trascorsa alla luce del sole, fosse anche da schiavo. Meglio persona viva, anche per poco, che personaggio.
Oggi la questione è ancora più complicata. Il reality sta facendo saltare paletti ed equilibri faticosamente costruiti tra realtà e poesia, verità e rappresentazione. La stessa figura dell’artista e dello scrittore ne risente, perdendo l’ultima parvenza di “aura”.

Qualcuno, ad esempio, non esita a chiamare i propri personaggi, tratti brutalmente dalla vita di tutti i giorni, con il loro nome di persona, riportando esattamente parole, riflessioni, confidenze tali e quali furono ingenuamente affidate all’orecchio avido dello scrittore.
Altri, poiché la scrittura è terapeutica, utilizzano le loro pagine per beffeggiare nemici, ex amanti, concorrenti. Nomi e circostanze possono mutare, ma i segni perché qualche accorto lettore possa riconoscervi i soggetti storici ci sono. Ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è insomma ammesso e anzi suggerito. Di solito è la scrittura di chi simula sotto un’apparenza di sdegno il puro risentimento. La rappresentazione distorta dell’altro è vissuta come curativa e appagante. Uno sfogo cattivo. Oggi però si chiama Reality book.
L’artista, insomma, è in generale uno con il pelo sullo stomaco? E l’arte è di sua natura spudorata?

L’articolo Scrittori e Vampiri di Roberta Borsani si trovava su Doctor Blue e Sister Robinia.