I forni

Mia madre mi dice che manca un po’ di roba. Mi chiede se passo a fare la spesa prima di tornare a casa. Così vado. Il discount è pieno di gente, come sempre. Prendo l’aceto, la carta igienica, poi mi metto a fare la fila al banco del pane.
«Dice che dentro quell’appartamento ci vivono pure in quattordici, quindici», dice una signora davanti a me. «Mamma mia per carità. Pensa che schifo», fa un’altra.
Intorno la gente ci urta con i carrelli. Qualche mamma dice al figlio di stare buono. Ci passa accanto una carovana di zingari, come se noi non ci fossimo. Parlano, sembrano fare la spesa proprio come noi, tirano giù i barattoli dagli scaffali, leggono le etichette, confrontano i prezzi. Poi però dicono cose che noi non possiamo capire. Un’altra lingua. Scorrono in un’altra corsia, quella con i surgelati. Li sentiamo ancora ma non li vediamo più.
«Io, per carità, non è cattiveria. Tutti c’hanno diritto di vivere. Ma questi no».
Mi sono già rotto le palle di stare in fila. Comincio a sbattere i piedi per terra, prima piano piano poi sempre più forte. Una signora si gira e mi guarda. Mi fermo.
«Ma se uno andasse lì con un bastone e li pigliasse a mazzate?», dice l’uomo dietro al bancone mentre strappa lo scontrino adesivo dalla bilancia e lo appiccica sulla carta marrone della busta del pane.

Continua a leggere questo post

Anni '90

Cinque minuti dopo, stanno già vagando impazziti per le stradelle del triangolo Santa Croce-piazza Sant’Ambrogio-arco di San Pierino.
Sbucano in una piazzetta. Ci sono dei grossi conchini di cemento bianco, paiono meduse lucenti in un mare di notte e liquido amniotico. Il vocio della gente da un pub in fondo è una cascata d’acqua gialla e magenta, parte coerente del paesaggio.
“È FANTASTICO!” grida il Mella, e Iacopo vorrebbe affiancarsi a lui nel godimento di quelle meraviglie, ma c’è Mimmo che panica. Seduto su uno di quei conchini, strepita paranoie: “Perché facciamo sempre quello che dice Iacopo? Non ha senso! Decidiamo noi dove andare!”.
“Non è che ‘stiamo facendo quello che dico io’: è solo che io sono, diciamo, quello a cui questi trip hanno fatto meno effetto.”
“Quali trip?”
“Dai, quelli di Nikko…”
“Aspetta, ASPETTA. Ho capito. È un complotto.”
“Ma cosa dici!” fa Iacopo con una faccia serissima.
“Mimmo, davvero, ma che dici!” aggiunge Sandrone. Ma è come ripescare un forasacco nell’orecchio di un cane. Non importa quanto ti sforzi, lo spingi sempre più giù.
“Che dico? Che dico?” Mimmo si alza, l’occhio lustro, minaccioso, offeso: “Siete tutti d’accordo tra voi!”.
Il Mella s’allontana di tre passi o quattro, quello insiste:
“Anzi! No! Ora capisco! Sto morendo! Aaah! Siete dei dottori! Oddio!”.
“Ma dai! Sono Iacopo, c’è tuo fratello e il Mella, siamo a Firenze! Macché dottori!”
“Ah no-o? E allora, che cos’è tutto questo sangue?”
Il Mella alza gli occhi al cielo, poi cerca quelli di Iacopo. Non hanno bisogno di dirsi niente. Erano convinti che scene simili potessero esistere solo nei più biechi opuscoli antidroga.
Mentre già lo danno per perso, Sandrone, toccando corde che solo un fratello conosce, riacchiappa il forasacco. O forse è solo un momento di quiete nella bufera. O l’occhio del ciclone. Fatto sta che Mimmo si calma, si scusa addirittura, assume un’espressione del tutto normale: “Accidenti”, fa, “per fortuna mi è passata”.
Regna per un po’ una certa sobrietà sconnessa. Sandrone propone di andare a bere qualcosa: “Mi pare che qua dietro ci sia una via piena di locali”.


Vanni Santoni, Gli interessi in comune

L’ultimo ammicca

Da Così parlo Zarathustra, di Nietzsche:

“La terra allora sarà divenuta piccola, e su di lei andrà saltellando l’ultimo uomo, che renderà tutto piccino. La sua schiatta è indistruttibile come la pulce di terra; l’ultimo uomo è quello che vive più a lungo di tutti.
Noi abbiamo inventato la felicità, dicono gli ultimi uomini, e ammiccano.
Hanno abbandonato le regioni dove era duro vivere: perché c’è bisogno di calore. Si ama ancora il prossimo e ci si strofina a lui: perché c’è bisogno di calore.
Ammalarsi e diffidare è per essi peccato: e si va avanti guardinghi. Pazzo chi ancora incespica sulle pietre o sugli uomini!
Ogni tanto un po’ di veleno: esso fa sognare gradevolmente. E alla fine molto veleno, per gradevolmente morire.
Si lavora ancora, poiché il lavoro è un modo di passare il tempo. Ma si cerca di fare in maniera che questo divertimento non danneggi.
Non si è più poveri o ricchi: entrambe le situazioni sono troppo impegnative. Chi vuole ancora dominare? Chi vuole ancora obbedire? L’una e l’altra cosa sono troppo impegnative.
Non un pastore e il suo gregge! Ognuno vuole la medesima cosa, ognuno è uguale; chi sente altrimenti, va diritto al manicomio.
In altri tempi tutti erano pazzi, dicono i più raffinati e ammiccano.
Si è saggi e si sa tutto ciò che è accaduto: così non si finisce mai di sorridere. C’è ancora chi s’arrabbia; ma ci si rappacifica presto per non sciuparsi lo stomaco.
Si possiede la piccola gioiuzza per il giorno e il piccolo piaceruzzo per la notte: ma si rispetta la salute.
Abbiamo inventato la felicità, dicono gli ultimi uomini e ammiccano.”

Peggio di un nemico

«Io il meccanico non lo faccio», dice Diego, troncando il discorso. È più arrabbiato adesso di quanto lo sia stato per tutto il giorno. È arrabbiato perché non capisce, che non è come essere arrabbiati per qualcosa che non ti piace. Che senso ha fare un gesto del genere, rovinarti il compleanno e poi ripararti la moto? È un modo per chiedere scusa? È un modo per dire: sarò sempre più bravo di te? Un padre è peggio di un nemico, pensa. Non puoi combatterlo ad armi pari. Non puoi scappare e nemmeno ignorarlo, perché ti segue dovunque vai. E alla fine, anche quando sarà stanco e ferito, ti mancherà sempre il coraggio di dargli il colpo di grazia. Diego immagina la vita degli adulti complicata come le automobili moderne: troppa plastica, troppa elettronica, e tutta quella potenza affidata a un sistema così delicato. Basta uno scherzo dell’impianto elettrico e ti ritrovi schiantato contro un muro senza nemmeno accorgerti che qualcosa non va. Lui ha sempre pensato alla sua, di vita, come alla meccanica elementare e perfetta del motore a due tempi: il cilindro che si riempie di miscela, la miscela compressa che esplode, i gas di scarico che lasciano il cilindro vuoto. Se c’è qualcosa da imparare, dopo questa giornata, è che la vita non sarà più così. Mai più.

Paolo Cognetti, Una cosa piccola che sta per esplodere

Pensare a voce troppo alta

Il pensiero più innovativo si fa strada nelle scuole? È circondato da un clima di riconoscimento generale? Raggiunge l’orecchio interno, anche se il processo uditivo è spesso ostinatamente lento e carico di volgarizzazione? O invece il pensiero autentico e la sua valutazione ricettiva sono impediti, perfino distrutti (Socrate nella città dell’uomo, la teoria dell’evoluzione tra i fondamentalisti), da un rifiuto a pensare di stampo politico, dogmatico e ideologico? Quale meccanismo sordido, ma comprensibile, di panico atavico, di invidia subconscia alimenta la «rivolta delle masse» e, oggi, la brutalità filistea dei media che hanno reso derisoria la stessa denominazione di «intellettuale»? La verità, insegnava il Baal-Shem Tov, è in esilio perpetuo. Forse deve esserlo. Laddove diventa troppo visibile, dove non può rifugiarsi dietro la specializzazione e la crittografia ermetica, la passione intellettuale e le sue manifestazioni provocano odio e derisione (questi impulsi si intrecciano con la storia dell’antisemitismo; gli ebrei hanno sempre pensato a voce troppo alta).

George Steiner, Dieci (possibili) ragioni della tristezza del pensiero

L’aria generale

Questi attacchi alla tradizione razionalista occidentale sono particolari sotto molto aspetti. Innanzitutto, il movimento in questione è in gran parte limitato a diverse discipline umanistiche, come anche ad alcuni dipartimenti di scienze sociali e a determinate scuole di giurisprudenza. La componente antirazionalista della scena attuale ha avuto – finora – una scarsa influenza nella filosofia, nelle scienze naturali, nell’economia, nell’ingegneria o nella matematica. Benché alcuni dei suoi eroi siano filosofi, essa ha avuto scarsa influenza nei dipartimenti di filosofia americana. Si potrebbe pensare che, poiché gli argomenti in gioco sono profondamente di natura filosofica, il dibattito sul curriculum, legato al desiderio di rovesciare la tradizione razionalista occidentale, debba imperversare nei dipartimenti di filosofia. Ma, per lo meno nelle principali università di ricerca americane, non è così. I filosofi accademici trascorrono molto tempo affannandosi attorno ai confini della tradizione razionalista occidentale. Sono ossessionati da domande del tipo: “Qual è l’analisi corretta della verità?”, “Come fanno le parole a riferirsi a oggetti del mondo?” e “Le entità inosservabili postulate dalle teorie scientifiche  esistono davvero?”. Come il resto di noi, tendono a dar per scontato il fulcro della tradizione razionalista occidentale persino quando stanno dibattendo sulla verità, il riferimento o la filosofia della scienza. I filosofi che rigettano esplicitamente la tradizione razionalista occidentale, come Rorty o Derrida, hanno molta più influenza nei dipartimenti di letteratura di quanto non ne abbiano in quelli di filosofia.
Un secondo aspetto, per certi versi più sconcertante, è che è molto difficile trovare argomentazioni chiare, rigorose ed esplicite contro gli elementi fondamentali della tradizione razionalista occidentale. Di fatto, non è tanto sconcertante se si considera che parte di ciò che viene attaccato è l’intera idea di «argomentazioni chiare, rigorose ed esplicite».
[…]
A volte le “argomentazioni” si presentano più come slogan e gridi di battaglia. Ma l’aria generale di frivolezza vagamente letteraria che pervade la sinistra nietzscheanizzata non viene considerata un difetto. Molti di loro pensano che questo sia il modo in cui si suppone debba condursi la vita intellettuale.

John Searle, Occidente e multiculturalismo

Poi gliene diede un secondo

Da Erano solo ragazzi in cammino, di Dave Eggers, traduzione di Giuseppe Strazzeri:

«Buongiorno!» disse mio padre sopra di me.
Il saluto con cui lo ricambiarono non fu amichevole. Alzai lo sguardo e vidi tre uomini, uno dei quali portava un fucile appeso a tracolla con un pezzo di corda bianca. Lo riconobbi. Era l’uomo che sorrideva presso il fuoco, quella sera. Quello che aveva chiesto a mio padre che cos’era il Cosa.
«Ci serve dello zucchero» disse il più piccolo dei tre. Non era armato ma chiaramente era il leader. Parlava soltanto lui.
«Ma certo» disse mio padre. «Quanto ve ne serve?»
«Tutto, zio. Tutto quello che hai in negozio.»
«Vi costerà un bel po’, amico mio.»
«Questo è tutto?»
L’uomo afferrò il sacco da venti sisal appoggiato in un angolo.
«È tutto quello che ho.»
«Bene, lo prendiamo.»
L’uomo piccolo prese il sacco sulle spalle e si girò come per andarsene. I suoi compagni erano già all’esterno del negozio.
«Aspetta» gli disse mio padre. «Forse non intendi pagare?»

Continua a leggere questo post

Come sono diventata

Ti sei mai chiesto perché ciò che la gente come me ha imparato da voi si limiti solo a come imprigionarsi e uccidersi a vicenda, come governare malamente e come prendere le ricchezze del nostro paese e depositarle sui conti svizzeri? Ti sei mai chiesto perché ciò che abbiamo imparato da voi si limiti solo a come corrompere la nostra società e a come diventare dei tiranni? Dovrai ammettere che è soprattutto colpa vostra. Lascia che ti dica che impressione ci avete fatto. Voi siete arrivati. Vi siete presi cose che non erano vostre e non avete nemmeno chiesto il permesso, tanto per salvare le apparenze. Avreste potuto dire: «Posso prenderlo, per favore?» e, anche se sarebbe risultato subito chiaro a tutti che un sì o un no non avrebbe cambiato nulla, ci avreste fatto una figura di gran lunga migliore. Credimi, avrebbe avuto ripercussioni importanti. Avrei dovuto almeno ammettere che eravate educati. Avete ucciso la gente. Avete imprigionato la gente. Avete derubato la gente. Avete aperto le vostre banche e ci avete messo dentro i nostri soldi. I conti erano a vostro nome. Le banche erano a vostro nome.

Continua a leggere questo post

Un posto piccolo

In un posto piccolo la gente coltiva piccoli avvenimenti. Il piccolo avvenimento viene isolato, ingrandito, rimuginato e infine assorbito dal quotidiano, sicché in ogni momento gli abitanti del posto possono ritrovarselo sulla punta della lingua. Per chi abita in un posto piccolo ogni avvenimento è un avvenimento domestico; la gente di un posto piccolo non riesce a vedersi in un contesto più grande, non riesce a vedersi come l’anello di una catena di qualcosa, qualsiasi cosa. La gente di un posto piccolo vede l’avvenimento in lontananza che le punta direttamente contro e dice: «Ecco che quella cosa mi punta contro». La gente di un posto piccolo, poi, vive l’avvenimento come se ce l’avesse appollaiato in testa, sulle spalle, e si sente schiacciata da quell’enorme fardello, così che non riesce a respirare come si deve e non riesce a pensare come si deve e dice: «Quella cosa che prima stava solo venendo verso di me adesso ce l’ho proprio sopra», e vivono così, finché assorbono l’avvenimento ed esso entra a far parte della loro vita, diventa una parte di ciò che sono veramente, completandoli, finché non sopraggiunge un altro avvenimento e il processo ricomincia.

Continua a leggere questo post

La modestia

«Aprire un giornale, parlare con un amico, iscrivere un figlio a una scuola, far visita a un parente in ospedale o interrogarsi su cosa faremo di un pomeriggio di libertà sono alcune fra le infinite occasioni di imbattersi in questioni che solo la fretta, la modestia o… la mancanza di abitudine al pensare, appunto, ci impediscono di riconoscere come filosofiche. Metafisiche addirittura alcune, teologiche altre, psicologiche, esistenziali, estetiche, etiche. E infine, molto più di quanto non sembri, questioni di logica. Che in definitiva è l’etica del pensiero, senza la quale non c’è responsabilità nell’uso delle parole. Non c’è coscienza del loro peso, del loro contributo alla verità e alla falsità di quello che diciamo.

Proprio per questo, cominceremo “leggeramente”, un avverbio che volentieri il padre della nostra lingua, Dante, associa al verbo “ragionare”. Cominceremo dall’allegria che fa lieve la mente, perché “allegria” si apparenta con “alleggerire”. Se dobbiamo credere ad Agostino, di cui si è festeggiato nel 2005 il milleseicentocinquantesimo anniversario della nascita, “Nutre la mente solo ciò che la rallegra”.»

Roberta De Monticelli, “Il sonnambulismo e la veglia della mente”, in Nulla appare invano