Fèmili déi

[…] non bisogna stupirsi, né sospettare la malafede, quando le esortazioni alle virtù tradizionali della religione, della patria e della famiglia provengono da quelle stesse agenzie educative che presentano abitualmente quelle virtù come l’ultimo rifugio dei perdenti. A dare il massimo risalto al Family Day (un’iniziativa che porta nel suo stesso titolo il segno della resa alla logica della società dello spettacolo) sono stati i telegiornali delle reti Mediaset: cioè precisamente quell’apparato mediatico che attraverso i suoi specifici ‘valori’ – l’edonismo, il delirio consumistico, l’irresponsabilità nei confronti dei propri simili, l’irreligiosità – ha portato contro la famiglia un attacco infinitamente più violento di quelli che con le deboli armi della filosofia erano stati portati dai libertini o da Engels (prova ne è il fatto che la crisi della famiglia non comincia affatto nel Settecento o mezzo secolo fa, quando anche i comunisti si sposavano, battezzavano i figli e si conformavano a una morale puritana, e ipocrita, non molto diversa da quella dei cattolici, ma appunto nell’età del bombardamento mediatico, che insegna a trattare ogni valore, ogni virtù non indirizzata all’utile – e la dedizione per la famiglia è ovviamente una di queste virtù – come uno spreco di tempo). Chiunque abbia il fegato di vedere una puntata di programmi come Buona domenica (Canale 5) o La vita in diretta (Rai Uno) non ha bisogno d’altro per capire chi sono i responsabili della distruzione dei valori morali che stanno alla base della famiglia come degli altri istituti in cui si è organizzata sinora la vita civile: chi cioè ha, oltre che la forza, l’interesse a perpetrare questa distruzione. E tuttavia sarebbe sbagliato pensare che questa contraddizione tra le parole e i fatti venga consciamente, ipocritamente mascherata da coloro che hanno interesse a mantenere in vita sia la famiglia sia il sistema mediatico che la tiene in assedio. Si capisce soltanto ciò che si è preparati a capire, dunque non quelle verità che minacciano di dimostrare delirante un intero modo di vita (o, che è lo stesso, un intero modo di produzione). Risolvere o anche solo vedere questa contraddizione significherebbe criticare la vita moderna alla radice, cioè – per chi ha il potere e il denaro – perdere potere e denaro. La falsa coscienza, che è sempre una coscienza candida, scongiura questo redde rationem.

Claudio Giunta, L’assedio del presente

Il blog di Claudio Giunta

L’Italia non weimariana – di Sergio Baratto

[…] Ho scritto che oggi l’elettorato premia la destra perché gli fornisce l’illusione di una risposta efficace alla paura. Ma non è nemmeno tutto qui. Troppo semplice, troppo assolutorio. È solo una parte del problema. Un’altra, molto meno assolutoria, ha a che fare con il male.
L’elemento originario su cui lavorano le forze negative è una poltiglia che non è ancora odio o paura, perché è ancora materia indifferenziata. È il grumo staminale da cui scaturiscono l’odio e la paura.
Oggi l’elettorato premia la destra anche perché gli fornisce la legittimazione della sua cattiveria. […]

Leggi l’articolo intero su Il primo amore.

Verso il nihil

…oggi 26 dicembre alle cinque o alle sei del pomeriggio mio fratello ha accesa la televisione, io stavo in salotto a chiacchierare con mia sorella e mia zia e con Letizia e non ho potuto non sentire  la televisione, c’era Fabrizio Frizzi che parlava e straparlava, stava facendo un gioco con i proverbi, annunciava per la sera un gioco che chiamava  il gioco della zingara, e io senza guardarla ma soltanto ascoltandola ho pensato, ecco, la televisione è nichilista, Fabrizio Frizzi è nichilista, quello che fanno è trascinarci verso il nihil, verso il niente, tutti allegri ci faranno diventare niente, ci annichiliranno; a cosa serve questo orrore, mi sono domandato, a che cosa serve negli scopi di chi lo produce, di chi investe soldi per produrlo, questo orrore che ci viene fornito con l’allegra faccia dell’intrattenimento e il compìto volto dell’informazione; a che cosa serve questo orrore quotidiano, meticoloso, porta a porta, che si concretizza, che si incarna, quasi, ormai in questo oggetto-feticcio del quale tutti siamo preda, nella televisione? Allora all’improvviso ho pensato, mentre Fabrizio Frizzi continuava a dire scemenze: la televisione serve a far dimenticare Auschwitz. A cos’altro può servire, ho pensato, questa miscela di divertimento osceno e sguaiato e di informazione orroristica, se non serve a far dimenticare Auschwitz.

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Il significato creativo

Chi dicesse, pertanto, che l’amore altro non è che una «reazione» a posteriori ad un valore avvertito, disconescerebbe la natura del suo movimento, già delineata con tanta precisione da Platone! L’amore non consiste nel «fissare», per così dire, in modo affermativo ed emozionale un valore dato che sta dinanzi a noi. Ma neanche si volge a oggetti dati (o persone reali) esclusivamente in ragione dei valori che essi possiedono e che siano già «dati» ancor prima che s’instauri l’amore. In questa idea c’è ancora una volta quel «fissare» il fatto prettamente empirico, che all’amore è tanto alieno. Nell’amore noi avvertiamo certamente il valore positivo dell’oggetto amato, per esempio la bellezza, la grazia, la bontà d’una persona; ma questo possiamo farlo anche senza alcun amore per quella persona. L’amore esiste solamente là dove al valore già dato «come reale» nella persona si aggiunge ancora il movimento, l’intenzione verso ulteriori valori «superiori» possibili, valori superiori rispetto a quelli già esistenti e dati – ma non dati di già come qualità positive.

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La testa di lato

Metà di un sole gialloOlanna osservava Odenigbo cantare convinto e provò a imitarlo, ma le parole le si irrancidivano in bocca. Il ginocchio le faceva molto male; prese Baby per mano e rientrò in casa.
Stava facendo il bagno alla piccola quando la sirena dell’allarme partì un’altra volta costringendola a prendere su Baby nuda e a scappare. Per poco la bambina non le scivolò a terra. Il rombo spasmodico degli aerei e il ka-ka-ka secco del fuoco antiaereo arrivavano da sopra e da sotto e dai lati facendole battere i denti. Si buttò nel bunker senza far caso ai grilli.
– Dov’è Odenigbo? – domandò dopo un poco, afferrando Ugwu per un braccio. – Il tuo padrone, dov’è?
– È qui, signora, – rispose Ugwu, guardandosi intorno.
– Odenigbo! – chiamò Olanna. Ma non ottenne risposta. Non ricordava di averlo visto entrare nel bunker. Doveva essere ancora lassù. L’esplosione successiva le mandò in pezzi l’interno dell’orecchio; era sicura che se avesse scosso la testa di lato avrebbe visto cadere brandelli di cartilagine. Si avviò verso l’ingresso del bunker. Alle sue spalle udì Ugwu ripetere: – Signora? Signora? – Una donna che abitava in fondo alla via le disse: – Torni indietro. Dove pensa di andare? Ebe ka I na-efe? – ma lei ignorò entrambi e sgattaiolò fuori del bunker.

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La carta d’imbarco

soul pieces
Bologna, San Domenico

Dopo aver laboriosamente riflettuto, Zeus ebbe un’idea. “lo credo – disse – che abbiamo un mezzo per far sì che la specie umana sopravviva e allo stesso tempo che rinunci alla propria arroganza: dobbiamo renderli più deboli. Adesso – disse – io taglierò ciascuno di essi in due, così ciascuna delle due parti sarà più debole. Ne avremo anche un altro vantaggio, che il loro numero sarà più grande. Essi si muoveranno dritti su due gambe, ma se si mostreranno ancora arroganti e non vorranno stare tranquilli, ebbene io li taglierò ancora in due, in modo che andranno su una gamba sola, come nel gioco degli otri.” Detto questo, si mise a tagliare gli uomini in due, come si tagliano le sorbe per conservarle, o come si taglia un uovo con un filo. Quando ne aveva tagliato uno, chiedeva ad Apollo di voltargli il viso e la metà del collo dalla parte del taglio, in modo che gli uomini, avendo sempre sotto gli occhi la ferita che avevano dovuto subire, fossero più tranquilli, e gli chiedeva anche di guarire il resto.

Platone, Simposio

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Fuori (due)

Anonimo, Inferno

O luce delle luci, nella quale, all’inizio, io posi la mia fiducia, ascolta, luce, la mia penitenza! Cattivi pensieri sono penetrati in me, salvami, luce!
Guardai, o luce, alle parti inferiori e vidi una luce; pensai: voglio recarmi in quel luogo e prendere quella luce.
Andai, e mi trovai nelle tenebre del caos inferiore, ma non fui più in condizione di affrettarmi a uscirne per ritornare al mio luogo; mi oppressero, infatti, tutte le emanazioni dell’Arrogante, e la forza dall’aspetto di leone mi tolse la luce che era in me.
Alzai grida di aiuto, ma la mia voce non proruppe dalle tenebre. Guardai in alto affinché mi venisse aiuto da quella luce nella quale avevo posto fiducia.
Allorché guardai in alto, vidi tutti gli arconti degli eoni che, numerosi, guardavano giù verso di me e si rallegravano: non avevo fatto loro alcun male, essi mi odiavano senza motivo.
Quando le emanazioni dell’Arrogante videro che gli arconti degli eoni si rallegravano a mie spese, compresero che gli arconti degli eoni non sarebbero venuti in mio aiuto. Quelle emanazioni, che mi opprimevano con forza, si fecero coraggio e mi sottrassero la luce, che io non avevo preso da loro.
[…]
Di mezzo al caos e di mezzo alle tenebre, la mia forza guardò fuori: aspettavo che venisse il mio compagno e combattesse per me, ma non è venuto.

Pistis Sophia, 32, 2-5; 21

Fuori (uno)

Giovanni da Modena, Inferno

Pietro intanto se ne stava seduto fuori nell’atrio. Una serva gli si avvicinò e gli disse: «Anche tu eri con Gesù, il Galileo». Ma egli negò innanzi a tutti dicendo: «Non so quel che tu dica». E, mentre si dirigeva verso il vestibolo per uscire, lo vide un’altra serva che disse a quelli ch’erano lì: «Costui era con Gesù, il Nazareno». Ma egli negò una seconda volta con giuramento: «Non conosco quell’uomo». Poco dopo quelli che erano lì si avvicinarono a Pietro e gli dissero: «Certamente anche tu devi essere di quelli, difatti anche il tuo modo di parlare ti dà a riconoscere». Allora incominciò a imprecare e spergiurare: «Io non conosco quell’uomo!». E subito un gallo cantò. Pietro si ricordò della parola che Gesù gli aveva detto: «Prima che il gallo canti mi rinnegherai tre volte». E, uscito fuori, pianse amaramente.

Matteo, 26, 69-75

Le categorie dello spirito

“Oh, ragazzi, attenti, c’è coso… Giulio… Il Dimpe… Che sta vomitando!”. Il Dimpe si è cacciato due dita in gola, e in piedi in mezzo al prato si sforza di vomitare. Chiaramente esce poca roba, non ha in corpo che i funghi e il tè freddo con cui li ha mandati giù; ciò che rende la scena orribile è che sta vomitando in piedi: si infila le dita in gola rimanendo eretto e quel poco vomiticcio che ce la fa a uscire – un liquiduzzo bluastro-verde – gli cola sul collo dai lati della bocca. Pare inoltre avvolto da un’aura malsana – tutti ora non guardano che lui -, mentre è scosso da tremiti violenti: è come se sprigionasse onde negative, amplificate e trasportate dal suonaccio da banshee che emette, una specie di incrocio tra un gorgoglio e un lamento straziante.
Si volta verso i cinque compagni: gli occhi, gonfi di lacrime per lo sforzo, sono quelli di un cucciolo legato ai binari che guarda arrivare la locomotiva:
“…Tran… quil… li… è… nor… ma… le…!”.

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Agli sgoccioli

Quando mio padre era agli sgoccioli siamo andati in ospedale a riprendercelo perché morisse in casa. Mia madre lo ha voluto tutto per sé, è stata una settimana senza chiudere occhio. Io e mia sorella l’aiutavamo svegliandola quando si addormentava, eravamo poco più che ragazzini. L’ultimo giorno in cui è stato in grado di andare al bagno con le sue gambe, mio padre ci ha chiesto di lasciarli soli. Tre giorni dopo, nel suo ultimo sprazzo di lucidità, le ha messo un braccio intorno al collo mentre lei gli umettava le labbra e le ha detto «muori con me».

Mauro Covacich, Prima di sparire