Pubblico, in una serie di post, l’intervento al Pesaro Comics & Games 2014.
(La prima parte, la seconda, la terza, la quarta, la quinta, la sesta, la settima, l’ottava, la nona, la decima, l’undicesima, la dodicesima, la tredicesima, la quattordicesima, la quindicesima, la sedicesima, la diciassettesima e la diciottesima)
L’altro me – l’avversario nell’animazione robotica classica
Padri e specchi. L’abisso psico-teologico o psico-mitico di Daltanious è certo meno onirico di quello di Combattler. Essendo costruito esclusivamente su figure umanoidi e su un elemento di chiara impronta scientifica come la clonazione, qui è l’aspetto squisitamente psichico a dominare negli schemi dello specchio e della funzione paterna, riassorbendo in sé la proiezione mitica e teologica (ma paradossalmente, come vedremo, mantenendola e complicandola).
In questa esuberanza psichica, Daltanious, rispetto alle precedenti produzioni di Nagahama e Yatsude, appare decisamente più complesso per la sovrapposizione e l’intreccio reciproco di piani da cui è costituito. Innanzitutto, infatti, la sua esplorazione dell’abisso coincide con una risalita di Kento su una sorta di scala patriarcale-ombra: prima affronta il doppio di suo padre, poi il doppio di suo nonno; poi a questo piano si sovrappone quello puramente affettivo, i diversi sentimenti nei confronti di Harlin e di Kloppen; a tutto ciò si aggiunge la complicazione del tema del biodroide e il suo rovesciamento; infine il rapporto tra la sovrastruttura imperiale, il sistema morale e la realtà materiale dei soggetti.
L’impero e l’ombra. Se per un momento è stato impossibile stabilire chi fosse il vero e chi il falso tra Harlin e Kloppen, a conti fatti stabilirlo appare più che mai insensato: a decretare che un biodroide sia un falso lo stesso tecnopotere che lo genera, dispone del suo corpo e lo nomina come “biodroide”; Ormen lo sa benissimo: finché il suo tecnopotere è stato superiore a quello di Helios, la retorica del biodroide non è stata usata; ora che Helios tenta di annettersi la resistenza di Kento tornando a un livello competitivo, ecco che Ormen riproduce la narrazione su(lla pelle de)l biodroide, prima sposandola e poi rovesciandola, come tentativo di aggiudicarsi l’esercizio legittimo del tecnopotere.
La radice dell’odio. Ma questo non significa che impero e impero-ombra siano uguali: apparentemente è l’impero-ombra a rappresentare, almeno esteticamente, il passato tombale che ritorna, cioè i tratti dell’avversario mecha dei primordi nagaiani, mentre l’impero possiede i caratteri incontrati nei Gaizok di Zambot: la gestione (qui addirittura generazione) dei corpi da parte del tecnopotere, e il primato dell’invenzione della retorica che legittima quella gestione degradando i detentori dei corpi a esseri inferiori e immeritevoli. Se vista così, Kento si ritrova a combattere senza volerlo dalla parte del nemico di Kappei. L’antidoto sta nel fatto che Kento è, come Kappei, un soggetto che si autodefinisce e così facendo dissolve non solo il tecnopotere ma anche la sua retorica: se, insieme a Kento, non si cede all’ipnosi, impero e impero-ombra sono entrambi da rigettare.
Al culmine della scala patriarcale. Infatti l’apparente separazione tra avversario nagaiano come eternità tombale e avversario di seconda generazione come tecnopotere e retorica si dissolve quando, al culmine della scalata di Kento, impero e impero-ombra si fondono. Facciamo un passo indietro: Kloppen può redimersi mentre Ormen annega e infine si perde nel suo irriducibile risentimento; questo perché Kloppen ha avuto modo di confrontarsi con Kento, Ormen si è rinchiuso dietro la sua maschera funeraria, è rimasto immobile e simbolicamente morto da sempre. Ma – attenzione – se Harlin resta il padre scomparso e indiscusso dell’orfano Kento almeno fino all’incontro di Kento con un aspetto del padre simbolico (Kloppen), Nishimura, di cui Ormen è il clone, non è il nonno di Kento, perché quella nicchia è già occupata dal padre adottivo, terrestre, di Harlin con cui Kento è cresciuto, un uomo che nei ricordi affettuosi di Kento appare degno, pulito e genuino; inoltre: se Harlin non era consapevole della pratica del biodroidismo, Nishimura lo era eccome, avendo fatto clonare Harlin. Dunque Nishimura è altro rispetto a Kento quanto lo è Ormen, e al culmine della scala patriarcale le due figure si confondono: in qualche modo, Ormen è Nishimura: il biodroide risentito Ormen è ora l’imperatore degli Akron che usa il biodroide Kloppen come pedina, quindi è davvero identico al suo doppio naturale; un compromesso tra Kento e Ormen non è possibile proprio perché non sarebbe stato possibile un compromesso tra Kento e il suo nonno biologico Nishimura. Ecco che l’impero può annettersi anche l’oscurità tombale, rivelandosi come il vero nemico di Kento. E ciò che salva Kento e gli permette di avere un futuro non è dunque l’aver combattuto gli Akron, bensì il non essersi mai compromesso psicologicamente con la famiglia reale e con il suo ruolo di principe erede.
Nessuna separazione. Ma questo aspetto è anche la grandezza di Daltanious, che abbatte completamente ogni tentazione manichea in un senso o nell’altro: non solo siamo tutti impero perché abbiamo tifato tutti per Kento, ma siamo anche tutti biodroidi, perché, avendo vissuto la guerra e la retorica e l’incognita con Kento, lo spettatore non riesce a scacciare del tutto una sgradevole sensazione di promiscuità con la condizione di biodroide, la sensazione di una totale casualità nel fatto di trovarsi dall’una o dall’altra parte, quella vera o quella clonata, della famiglia reale.
La teologia occulta di Daltanious. Spostando il nemico materiale (Ormen) in una posizione più prossima al varco rispetto a una radice anteriore (Nishimura), Nagahama e Yatsude possono elaborare, con la consueta attitudine gnostica – in questo caso quasi schellinghiana – il dissidio interno all’Essere originario rappresentato dall’impero. L’Essere può mutare, compiere il salto del divenire, solo se un soggetto è disposto a combattere la sua manifestazione-ombra, e se è capace di conquistarne la componente desiderante (il cuore di Kloppen) e trapiantarla al centro della legge dell’Essere (Harlin, il cui aspetto vagamente cristico forse non è del tutto estraneo al concetto di Logos).
Conquistare l’abisso. Ricapitolando. Dal passato-che-eternamente-torna Kento è aggredito come ogni eroe del mecha, ma mediante due modalità contrapposte dell’annientamento: la sparizione sotto il titolo nobiliare che implica un ordine ciclico ed eterno, senza evoluzione, e la nullificazione sotto la narrazione del biodroidismo; questo sdoppiamento permette a Nagahama e Yatsude di sottrarre il soggetto Kento a ogni inquadramento in una morale sovrastrutturale e arbitraria. Inoltre Kento, anche rispetto a Kappei, compie l’inaudito: detta le regole della definizione del sé alla componente dell’abisso con cui è in conflitto diretto (Kloppen), fornendole il modello cui rifarsi per trovare la propria identità, mostrandole come abbandonare la gabbia in cui era stata rinchiusa, dandole la possibilità di smettere di manifestarsi come abisso. Kento rovescia le parti: si sottrae a ogni sovrastruttura, e più che essere lui destinato a fare i conti con il passato, è il passato che è destinato a fare i conti con lui. Kento è l’eroe finale del mecha classico: orfano innocente di ogni scoria del passato storico-politico, privo di sensi di colpa, si libera di ogni ingiunzione, si sceglie l’ombra di suo padre come padre con cui confrontarsi, e infine la rieduca alla libertà.
Perdere contro l’abisso. La soluzione che Daltanious dà alla questione dell’abisso – il proiettarsi dell’eroe e del suo mondo nel futuro grazie al suo sganciamento dal passato, sganciamento radicale ed esplicitamente tematizzato – trova un suo quasi opposto speculare nella non-soluzione di Baldios, l’anime del 1980 che insieme a Daltanious chiude idealmente il nostro percorso nell’animazione robotica di prima e seconda generazione; il suo autore, Akiyoshi Sakai, proviene da tutt’altra storia: sceneggiatore di supereroi Tatsunoko – Gatchaman, Kyashan, Polymar, Yattaman – il suo primo lavoro come autore – e unico mecha prima di Baldios – è Daikengo.
In Baldios, il pianeta S1 è irreparabilmente inquinato dalle radiazioni; la fazione militare – orientata alla conquista e colonizzazione di un nuovo pianeta – uccide Reigan, il leader della fazione scientifica vicino alla soluzione in loco del problema ambientale. Gattler, il capo dei militari, prende il potere e si imbarca sulla nave Argo assieme a cento milioni di ex abitanti del pianeta, abbandonando dunque S1 al suo destino. Durante uno scontro tra le sue truppe e il figlio di Reigan, Marin, sia l’Argo sia il Pulser Burn di Marin vengono risucchiati da un varco dimensionale che li trascina nei pressi della Terra, nella quale Gattler vede il pianeta perfetto da colonizzare, dando inizio all’invasione, mentre Marin passa dalla parte dei terrestri divenendo il pilota del Baldios.
Dopo una guerra logorante, che ha portato anche alla distruzione di Mercurio e Venere – portando la Terra a essere il primo pianeta rispetto al Sole, cioè l’S1 del suo sistema solare – Gattler decide un attacco finale: sciogliere i ghiacci polari. Impotenti, eroi e invasori, guardano la Terra sconvolta dallo scioglimento dei ghiacci assumere la fisionomia del pianeta invasore, S1, e capiscono con orrore, che la Terra è S1 e che il varco dimensionale era un varco temporale.
Il passato-che-eternamente-ritorna dall’abisso di Marin è il futuro della Terra. Sakai risolve la struttura narrativa del mecha con una soluzione definitiva e opposta alla soluzione rappresentata dal Daltanious di Nagahama e Yatsude: in Baldios l’abisso dell’eroe è un futuro-già-stato che sempre ritorna perché sempre sarà; non lo si può cambiare, e sfugge alla cognizione dei protagonisti fino a tragedia avvenuta.
Forse un post bonus, tra qualche giorno.