Il pezzo declamato in chiusura al concerto-reading con i Lupi del bosco orientale.
Stella Rossa, il valoroso compagno d’acciaio
Non sapevamo cosa fossero i Disinfestatori. Se fossero automi, o forme di vita meccanica, o droidi pilotati a distanza, o pilotati dall’interno, da uomini, o da esseri che somigliano a uomini, o da esseri che non somigliano a uomini, se venissero da un altro paese, da un altro pianeta, o se non venissero né da un altro paese né da un altro pianeta. Non sapevamo nulla. Quelli che riuscivamo a distruggere esplodevano, quelli che riuscivamo a catturare si facevano esplodere, di essi non rimanevano che frammenti di una lega metallica nera composta di tungsteno, molibdeno e ferro.
Quando il professor Skoro mi scelse per pilotare il soldato d’acciaio Stella Rossa e il mio addestramento cominciò, erano trascorsi tre anni dalla morte del Maresciallo Tito e due anni dal pomeriggio di febbraio durante il quale i Disinfestatori erano scesi dal cielo sulle città dell’Europa e avevano aperto le bocche di fuoco dei loro lanciafiamme a petrolio; il pomeriggio di febbraio in cui avevo visto Spalato trasfigurarsi in un panico di creature incendiate, mentre, contro le nubi striate di viola, si fondeva e colava la gigantografia del Maresciallo.
Questa notte piloto Stella Rossa tra i ruderi di quella che una volta era Sarajevo. Dietro ogni angolo puoi trovare il nemico, il nemico può trovare le tue spalle in ogni istante. Muovo la sagoma nera, sessantadue metri modellati sulla figura del campione olimpico degli anelli Poviocic; muovo 633 tonnellate di robot dalla corazza composita: spessore esterno di acciaio e piastre di uranio impoverito; spessore interno di strati ceramici che aumentano la resistenza alle testate termiche e a carica cava, e strati di materiali plastici: forniscono l’elasticità necessaria per resistere alle testate a energia cinetica; i meccanismi interni rivestiti di una lega di tantalio e grafite; le giunture delle articolazioni ricoperte di kevlar a stratificazione tripla; in questo momento, quelle delle braccia, reggono un kalashnikov di ventisei metri. Muovo la sua testa nera con la stella rossa in fronte, scruto la visione notturna a caccia di Disinfestatori. Sparo.
Juraj, con il Partizan, il potente robot dal busto innestato sui cingoli, mi copre con i missili dalla collina. Sento il sibilo e appare il bagliore di un’esplosione, sempre là dove non avevo visto. Grazie Juraj.
Ci abbiamo messo anni a capire cosa fossero i Disinfestatori, nei primi giorni dell’invasione la televisione di Stato li chiamava “fascisti di ferro”, diceva che il nemico occidentale era passato ai fatti; poi si seppe che anche Tokyo e Parigi, New York e Roma erano state ugualmente arse dal fuoco. Qualcuno sosteneva che i nazisti si erano nascosti sul lato oscuro della Luna ed erano tornati per completare l’opera. Poi si parlò di alieni, ma a me avevano sempre insegnato che una civiltà in possesso di una tecnologia talmente superiore da attraversare gli spazi del cosmo non avrebbe potuto che essere pacifica e socialista. Infine la sonda sovietica scoprì il portale del teletrasporto sulla faccia nera della Luna; fu allora che i Sovietici inviarono nel mondo al di là del portale il glorioso soldato Volkov; fece appena in tempo a trasmettere un messaggio: mi trovo sulla Terra, la Terra di domani. Allora capimmo. I Disinfestatori provengono da un futuro che ha esaurito le risorse energetiche, ha avvelenato l’ossigeno; hanno deciso di disinfestare il pianeta dalle loro stesse radici e ricominciare. Sull’altra riva dell’Adriatico sostengono che il loro collettivismo, il loro farsi trucidare per il gruppo, ne tradisce la natura comunista. Noi, su questa sponda, riteniamo che la Terra da cui provengono sia il prodotto catastrofico e ovvio del capitalismo. Comunque la si veda, ognuno ha perso il suo futuro; a chi sosteneva che non fosse che questione di tempo, che il socialismo avrebbe trionfato con la certezza di una legge fisica, potremmo noi oggi impartire questa lezione: vincerà di necessità la barbarie. Ma mentre guardo la fuga di combustione sulla coda dell’ultimo missile lanciato dal Partizan ora in fiamme e sento il grido atroce di Juraj negli auricolari, e sento i passi di ferro attorno a me aumentare di numero e volume, non nascondo a me stesso la sconfitta del futuro, non nascondo a me stesso la sconfitta del materialismo storico e del proletariato universale: il compagno d’acciaio Stella Rossa, orgoglio dell’esercito della Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, combatterà fino alla disgregazione del suo corpo metallico e delle carni del suo pilota; il socialismo è, ora, per Stella Rossa e per me, non più mèta da raggiungere, ma ideale trascendente e valore assoluto, da opporre alla tirannia della storia, in spregio al principio di realtà; contro chi ha fatto dello spirito alienato lo strumento della tecnica, diveniamo noi tecnologici servi dello spirito. Morte ai Disinfestatori, morte al capitalismo eterno, qui e ora, nell’istante, dalla bocca del nostro kalashnikov.